Vincere Vincere Vincere
Ed ecco che dopo quattro anni e mezzo di governo l’amministrazione Minervini, sostenuta dal consigliere regionale Tammacco e il Partito democratico, perde pezzi in dirittura d’arrivo. Dopo avvisi di garanzia, arresti e crisi di maggioranza, nel consiglio comunale del 18 ottobre dopo il voto favorevole sul bilancio consolidato, i gruppi Obiettivo Molfetta e Popolari per Molfetta annunciano le dimissioni dei loro assessori e la loro uscita dalla maggioranza, dopo l’annuncio di qualche settimana di uscita dalla maggioranza anche di Officine Molfetta e del Partito democratico. Insomma, la maggioranza sembra non esserci più, almeno stando alle dichiarazioni in Consiglio comunale, da qui la proposta di una mozione di sfiducia avanzata formalmente solo dall’opposizione di sinistra ai restanti 21 consiglieri comunali per sottoporre la figura del sindaco alla discussione e al voto del consiglio comunale. Dopo il consiglio comunale del 18 ottobre sono seguite dichiarazioni dei partiti e delle liste civiche nonché ridda di commenti, indiscrezioni, pettegolezzi su questa “strana” crisi dell’amministrazione Minervini. Strana perché il ritiro degli assessori viene annunciato in un consiglio comunale dopo che gli stessi gruppi politici, cui appartengono gli assessori, hanno votato a favore del bilancio proposto dal sindaco Minervini. Strana perché non essendoci i numeri per lo scioglimento immediato del Consiglio comunale, stante l’indisponibilità dell’opposizione di sinistra a questo colpo di spugna, tutti i consiglieri della “nuova opposizione” di centrodestra non sembrano propensi a presentare una loro mozione di sfiducia verso il sindaco e mandarlo a casa in trenta giorni pur avendo i numeri per farlo. Strana perché consiglieri, assessori, consulenti professionali (e non), forze politiche e liste civiche che sono stati pappa e ciccia con Tommaso Minervini individuano ora in lui l’unico capro espiatorio della stagione amministrativa che va concludendosi. L’unica cosa non strana ma consueta oramai è il tentativo di sfilarsi e cancellare il ricordo di questa esperienza amministrativa del “tutti quanti insieme appassionatamente” nel nome del trasformismo e del “vale tutto”. Un tentativo maldestro in cui la palma del topo più veloce che scappa dalla barca che affonda tocca al Partito democratico molfettese. E già ricominciano i tentativi di “green washing” e ricostruzione di improbabili verginità per ripresentarsi lindi e pinti alla prossima tornata elettorale, magari con la benedizione del presidente della Regione e la pioggia promessa di finanziamenti regionali, insomma per provare a cambiare (quasi) tutto perché niente cambi. Torneranno a essere inflazionate le parole d’ordine “mettiamoci insieme”, facciamolo per il “bene della città”, pensiamo a una “Molfetta positiva”, bisogna “vincere” solo perché gli affari dei lavori pubblici devono continuare a sostenere appalti e subappalti; le consulenze devono irrorare le parcelle dei professionisti; la mano destra degli uffici comunali non deve sapere quello che fa la mano sinistra; i patrocini, i contributi e gli interventi spot per il commercio urbano e la miriade di associazioni culturali “monopersonali” devono anestetizzare giovani e meno giovani; palazzi e grattacieli devono continuare a sorgere mentre migliaia di case e locali sono vuoti e sfitti e più di duecento famiglie aspettano da anni un alloggio popolare; monumenti illegittimi devono essere eretti, e pure benedetti, per la megalomania del sindaco di turno. Sembra incredibile ma in questa tanto decantata democrazia dell’alternanza, quella del bipolarismo, dei premi di maggioranza, degli sbarramenti elettorali per le forze alternative, nessuna alternanza può esserci. Sembra incredibile ma il pensiero semplice e lineare delle opposizioni che si coalizzano per presentarsi come alternative alla maggioranza uscente e ai suoi protagonisti non sembra avere vita facile perché sembra farsi strada l’idea atavica del “mettere insieme la qualunque” pur di vincere con un voto in più, per poi ritrovarsi il giorno dopo in situazioni di ingovernabilità e ricatti permamenti, come mostrano le vicende di questa città. Sembra incredibile ma oggi forze come il Partito Democratico e Officine Molfetta si ripropongono alla guida della città come risolutori dei guasti che insieme a Tommaso Minervini e al consigliere regionale Tammacco hanno contribuito a creare. Parliamo di un Partito democratico, quello molfettese, che in questi anni ha svolto il ruolo di assemblaggio di gruppi stori-ci e gruppi nuovi in forza di un simbolo nazionale in cui riuscire a far convivere senza grandi problemi ex-iscritti al Partito comunista, ex-iscritti alla Democrazia cristiana, ex-iscritti al Partito socialistia, ex-iscritti a parecchi partiti della Seconda Repubblica (Alleanza Nazionale, Forza Italia, Sinistra Ecologia e Libertà, Verdi). Un contenitore che riesce a garantire l’esistenza di gruppi di interesse e di potere che si contendono semplicemente spazi di gestione amministrativa delle risorse. Un contenitore fortemente instabile al suo interno proprio per questa sua particolare costituzione. Un contenitore la cui instabilità e frammentazione correntizia interna si traduce in instabilità anche per le amministrazioni a cui concorre, in tal senso, come già detto in altri momenti, è stata rivelatrice a Molfetta l’esperienza del Partito democratico come elemento cronico destabilizzante durante l’esperienza amministrativa della giunta Natalicchio. Come si possa guardare a un soggetto di tal fatta per riorganizzare un campo politico alternativo all’attuale amministrazione risulta davvero arduo. Come sia possibile questo mistero della logica, prim’ancora che della politica, nessuno lo sa... eppure a onor del vero un primo passo per la comprensione sarebbe quello di rendersi conto che in queste vicende, nelle logiche politiche e nelle dinamiche isituzionali relative, non ci sono specificità locali molfettesi che spiegano da sole la stranezza. Queste specificità locali vanno ricondotte a logiche di sviluppo generali, quelle per cui ormai le grandi coalizioni di centrodestra e centrosinistra convergendo su alcune politiche economiche di fondo – neoliberali, filopadronali, privatizzatrici – non possono che competere solo attraverso la conquista della gestione degli spazi di potere che da strumento per realizzare programmi politici differenti diventano obiettivo in sé. In altre parole, a programmi sovrapponibili per larghe parti, corrisponde una rivalità interpersonale molto accesa proprio perché mancando la visione politica vera e la passione autentica (nonché il rispetto tra le parti) il confronto non può che scivolare in rivalità interpersonali, logiche di clan, occupazione di posti di gestione e sottogoverno, consulenze e incarichi professionali. Questo copione non imperversa solo nella nostra città ma anche in altre e le crisi delle amministrazioni comunali sono quasi sempre legate a motivazioni inconfessabili o comunque non confessabili pubblicamente e trasparentemente nelle aule del Consiglio comunale, tant’è che da più parti – anche insospettabili – si spinge per lo scioglimento degli organi del Consiglio comunale direttamente davanti al segretario comunale o dal notaio quasi a sancire il fatto che la discussione pubblica oramai è completamente sequestrata e asservita a logiche imperscrutabili e motivazioni inconfessabili. Poi si dirà che non bisogna consentire al “despota” di turno, al nemico “assoluto” di rimanere in carica un minuto di più, ma quanti sostengono questa via per la liquidazione di un’amministrazione non si rendono conto del danno che procurano alla credibilità delle Istituzioni. Del resto, per i meno giovani, ricordiamo che già una volta nel 2000 è stato sciolto il consiglio comunale con le dimissioni della maggioranza dei consiglieri, defenestrando il sindaco dell’epoca, Guglielmo Minervini. All’epoca la “congiura” fu organizzata e capitanata proprio da Tommaso Minervini, l’attuale sindaco, e l’operazione politica fu bollata comprensibilmente dalla sinistra dell’epoca – dalla sinistra tutta, sia quella moderata sia quella radicale – come un tradimento del mandato elettorale e uno sfregio istituzionale. Non si capisce perché mai oggi il giudizio dovrebbe essere cambiato ma si sa, in vent’anni tante cose cambiano e anche i princìpi, a sinistra, sono diventati ondivaghi, perché l’importante è vincere... Vincere per chi? Non si dice. Vincere per cosa? Non si sa. Vincere con chi? Non importa affatto. © Riproduzione riservata