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Viaggio a Parigi - III
15 maggio 2012

A Pigalle incontrai Enatalem, era un pittrice di colore che stanca dell’Italia e del suo paese si era trasferita a Parigi; ero andato per vedere qualche nudo di donna e invece ritrovai la donna nera. Femme noire Donna nuda, donna nera Vestita del tuo colore che è vita, della tua forma che è bellezza. Io sono cresciuta alla tua ombra, la dolcezza delle tue mani bendava i miei occhi. Nel cuore dell’estate io ti scopro terra promessa in cima ad un alto colle bruciato. E la tua beltà mi ferisce il cuore, come lo sguardo di un’aquila. Donna nuda, donna scura. Frutto maturo dalla polpa soda, scura estasi del vino nero, bocca che rende lirica la mia bocca. Savana dagli orizzonti puri, savana che freme alle carezze ferventi del Vento dell’Est. Tam, tam ritmato, tam tam che suona sotto le dita del vincitore. La tua voce grave di contralto è il canto spirituale dell’amata. Donna nuda, donna scura. Gazzella del cielo, le perle sono stelle sulla notte della tua pelle. All’ombra della tua chioma si attenua la mia angoscia in presenza dei tuoi occhi. Donna nuda, donna scura. Io canto la tua bellezza che passa, forme che io affido all’eterno prima che il destino geloso non ti riduca in cenere per nutrire le radici della vita. (Poémes di L. C. Senghor ). Dopo vent’anni era comparsa di nuovo la donna nera, l’avevo incontrata a rue de Rivoli nel Novanta oppure prima nell’infanzia, forse perché la donna nera è nata con me, è in me, desiderio, voglia di vivere e di sognare, senza divieti, inibizioni, i verdetti di interdizione che in ogni campo accompagnano la vita di ciascun individuo, di ciascun uomo quando vuole essere uomo. I quadri di Enatalem erano esposti in atelier vicino al Moulin Rouge ed erano un fantastico viaggio nella vita che non abbiamo vissuto, nella vita che ci è stata negata, nell’amore che non ci è stato dato. I meravigliosi colori dell’alba del mondo a volte diventano grigi, si traducono in sofferenza, la sofferenza di chi ha teso inutilmente la sua mano. In quei quadri gli stranieri del mondo, questi falsi fuggenti a volte si tengono per mano, ciascuno nelle braccia dell’altro; essere stranieri in due e tremare sotto il vento è la condizione dell’amore, la condizione amorosa. Il nero è il colore della sofferenza, della caduta, della privazione; sia in campo teologico che nella psicoanalisi al nero vengono associate le forze istintive incontrollabili, quelle forze da rimuovere e cacciare nell’inconscio. E’ per questo – sosteneva Antonin Artaud – che tutti i grandi miti sono neri e non si possono immaginare le splendide favole che raccontano alle folle la prima divisione sessuale e il primo massacro fuori da una atmosfera di strage, di torture e di sangue. Si nasce bagnati di sangue, espulsi dal ventre nero della propria madre e gettati in un mondo in cui appaiono molte zone oscure. La vita di Artaud, che è la vita di tutti coloro che varcano la soglia della follia, la vita di tutti i sognatori, la vita degli artisti e dei poeti, il loro urlo, il loro canto, il canto di Enatalem, sono la tragica esperienza di esistenze che sfuggono ad ogni forma di esemplificazione, esistenze che rifiutano di significarsi come esistenze. Esistenze che vogliono esprimersi come vita. Enatalem mi disse di tornare in Italia dalle dee, dalle donne del mare, dalle donne dell’amore; mi disse che nei giorni che restano della mia vita avrei dovuto portare la domanda teutonica sul senso dell’essere sulle rive del Mediterraneo, nella Puglia che vuol diventare un territorio di frontiera, una terra dell’accoglienza come per molti aspetti è diventata Parigi. Il giorno dopo, eravamo verso la fine del 2011, rividi Silvie nel piazzale della Sorbonne dove c’è una brasserie di fronte alla libreria. Quel giorno avevo deciso, volevo pollo con le patate fritte, con tutti i croques Monsieur e Madame che avevo mangiato, volevo il poulet con un succo d’arancia. Le parlai dell’incontro con Enatalem e mi fece notare che la cultura francese aveva meglio recepito la contaminazione con le culture altre. Lévi-Strauss e Derrida erano l’espressione più alta di questa contaminazione che ancora oggi da noi viene guardata con sospetto. In effetti bisogna riconoscere che la filosofia in pantofole che da vent’anni vanno proponendo i filosofi italiani ha dimenticato la funzione svolta da Internet e dai processi di omologazione culturale che la comunicazione in rete induce sul piano globale. Una linea di fuga, la linea di fuga tentata in questo testo, può essere l’immersione della ontologia grigia di Heidegger nel mare e nel sole del Mediterraneo. Dopo il frugale pasto ci stendemmo al sole nei giardini del Luxembourg e dopo visitammo il Pantheon. Altri richiami, altre assonanze, altri ricordi: la tomba di Rousseau, il pendolo di Foucault, scoprii anche chi era Coualaincourt, un alto generale imperiale che aveva generato una stirpe di generali e marescialli di Francia, anche da loro c’è il nepotismo, non quello straccione dei baroni universitari nostrani. Il nepotismo, è come un ritornello, una litania, San Michele aveva un gallo, perché non riesco a rivedere San Michele aveva un gallo e per addomesticarlo gli dava pane e miele, perché in quel film c’era la litania di San Michele che aveva un gallo e un prigioniero cantava di San Michele e del gallo, come io descrivo e per dieci anni ho descritto i lacché di regime. Devo dire a Massimiliano di scaricare da Internet San Michele aveva un gallo. Boulevard San Michel avevo male ai piedi, un inizio di gotta, come i protagonisti dei romanzi russi, quelli che avanzano scatarrando con la gotta, e comprai delle scarpe, erano beige con l’elastico come quelli dei potatori degli alberi di olive pugliesi che si infilano facilmente. Li infilai nel negozio e mi sentii meglio. Passammo dal Collège de Philosophie per vedere i programmi che quell’anno avevano come tema i movimenti in Africa ed incontrammo una studentessa argentina che faceva un dottorato a Parigi che ci raccontò dei movimenti di massa del suo paese e della situazione favorevole che si stava creando per l’emancipazione dei popoli altri in tutto il mondo. Era il tema dell’ultimo numero di Terre libere, una rivista che ha il progetto di diventare una tribuna per le voci del dissenso del Sud. Ci aggredì una donna di colore che aveva vissuto per vent’anni in Italia ed aveva sposato un italiano, ma era fuggita per il razzismo invadente e sentendo che parlavamo italiano disse che il decennio di Berlusconi e della Lega era stato deleterio per i migranti e che noi, i nuovi straccioni d’Europa, non potevamo permetterci di fare trasmissioni paternalistiche come Chi la visto?, mentre mandavamo in giro persone ad ammazzare gente di colore, e infatti un mese prima un pazzo aveva ammazzato a Firenze dei senegalesi. Concludemmo quella giornata all’ultimo piano del Beaubourg dove delle ragazze ben curate ed eleganti ci servirono a quei tavoli eleganti da dove, attraverso i vetri, si vede tutta Parigi.

Autore: Marino Centrone
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