Varchi
Il racconto
Sai chi ho visto dopo tanti anni, Ma’? R., te la ricordi? Era seduta al Bar sulla statale, di fronte al Supermercato, io ero in macchina, ma avevo appena parcheggiato quando mi sono accorta di lei. Non è cambiata, la stessa chioma fitta e crespa, gli occhiali spessi come fondi di bottiglia, il sorriso che preannuncia sempre una calda risata di gola, che non sarebbe arrivata perché era sola. L’immancabile sigaretta fra le dita. Ero sul marciapiede opposto, le ho fatto cenno con la mano, anche se difficilmente mi avrebbe vista, data la sua miopia, poi un autobus di linea si è frapposto fra noi e quando è ripartito, dandomi la possibilità di attraversare la strada, non c’era più. Ieri è stato divertente, ero sul Corso e mi ha sorriso, cordiale come sempre, il dottor C., superandomi a passo svelto. Ho girato l’angolo e l’ho rivisto all’altro lato della strada, con un impermeabile blu stretto in vita da una cintura, gli occhi furbi dietro gli occhiali, mi ha sorriso ancora e quando ho preso la parallela della strada dove mi trovavo, era già lì e mi ha guardata ancora, divertito. Non gli ho risposto, ho lasciato perdere e ho continuato per la mia strada. Mamma mi guarda con occhi sorridenti che si fanno pensosi quando le dico che vicino alla pizzeria, in controluce, stamattina c’era G., l’ho guardato ma non mi avrà vista perché aveva il sole di fronte. So che è una persona che non le è mai piaciuta e che l’ha resa sempre diffidente, ma che problema c’è? “Dai, Ma’, non essere prevenuta!”. Ho idea che si sia infastidita, quindi la pianto lì. Ieri ho finalmente suonato il mio amato, trascuratissimo pianoforte. Ho sempre mille cose da fare, fa buio ancora relativamente presto e poi esco e quando rientro sono stanca. Ieri, invece, ho deciso di restare a casa e suonare. “Sai, Ma’ nella mia grandissima presunzione ho provato a “leggere” qualche battuta della Wanderer fantasie, dal volume di Schubert, quello rilegato in cartoncino verde, – capirai, assolutamente al di sopra delle mie capacità tecniche – amatissima da Papà. Ho rinunciato subito e ho cercato nello stesso volume (non mi ricordo mai il numero della pagina), l’intermezzo n. 3 op. 90, quello che piaceva tanto allo Scultore, chiedeva sempre a Pa’ di suonarglielo, nelle nostre serate. Lo rivedo, seduto nella poltrona vicino al pianoforte, con il volto serio, non ricordo di averlo mai visto ridere, solo sorridere, più che serio, concentrato, come di chi sia stato trasportato dalla musica in una regione incontaminata, fuori dalle piccole cose a volte fastidiose o volgari di ogni giorno. Questo lo suono bene, è come lo scorrere continuo di un ruscello che si nasconde fra l’erba – i pianissimo così difficili da fare “puliti” – si insinua fra le pietre e poi erompe dalla cavità di una roccia, e il suono si fa vibrante, fortissimo, per tornare improvvisamente ad essere come un mormorio, una nostalgica eco, un ricordo. Ho sentito entrare Pa’. Ho continuato a suonare, anche se la sua presenza mi ha sempre inibita, perché talmente bravo lui che io mi blocco. Tranne quando suoniamo a quattro mani, lui mi trascina, mimetizza i miei errori, “Dai, lo so che vuoi che ripetiamo questo passaggio, piace tantissimo anche a me”, lo ripetiamo anche tre o quattro volte e quando suoniamo insieme siamo due persone completamente libere e felici. Lei sorride paziente, non si è mai stancata di ascoltarmi, anche quando mi ripeto o dico cose assurde a volte la provoco, ma lei non ci casca mai. “Allora, Pa’ da uno a dieci che voto mi dai? Dai, non l’ho suonato male, eppoi ho il tocco leggero! Vabbè, dammelo un sei di incoraggiamento!” (quanto sono noiosa), ma lui evidentemente è andato via. “E’ stato bellissimo, Ma’, ma devo suonare più spesso. Sai, - dico saltando da un argomento all’altro – ne sto incontrando tanti in questi giorni, non capita sempre, a volte per mesi non ne vedo nessuno. Li vedo dappertutto, anche dopo anni da quando li ho incontrati o pensati per l’ultima volta, sto per avvicinarmi e mi accorgo che la persona che ho scambiato per uno di loro non è neanche lontanamente somigliante. O li sogno, come se li avessi visti il giorno prima. Credo che quando si fanno vedere è perchè vogliono una preghiera o almeno un pensiero. Mamma sorride appena dal ritratto che le ho fatto ed è nel mio soggiorno, sempre sotto i miei occhi. Lo dicono tutti che il suo sguardo segue chi la guarda, come avviene per molti ritratti, e che cambia espressione. “So cosa pensi – le dico – che in fin dei conti sono solo dall’altra parte e per loro è molto più facile trovare un varco”. La sua espressione, ora, è indecifrabile.
Autore: Marisa Carabellese