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Varata la nuova PAC: ridotti gli aiuti all'agricoltura
15 ottobre 2011

La Commissione Europea ha varato nei giorni scorsi la riforma della PAC. La PAC rappresenta la Politica Agricola Comune, ovvero una delle politiche di maggior peso gestite dell’Unione. A titolo indicativo, considerando la programmazione 2007-2013, la PAC impegna il 34% del bilancio dell’UE. Nata mezzo secolo fa, al fine di garantire una ripresa delle produzioni agricole in un continente martoriato dalla seconda guerra mondiale (con evidenti mancanze di generi alimentari), nel tempo si è trasformata in un sussidio alle coltivazioni ed ultimamente in una spinta all’innovazione e alla crescita. Negli scorsi anni la sola incentivazione è servita a rendere meno competitive numerose aziende del settore che, grazie agli aiuti economici, hanno goduto di una posizione di favore, falsando gli equilibri del mercato.

In termini quantitativi, la riforma varata prevede un taglio dei fondi che, per l’Italia, si aggirerebbe sul 6% nel periodo 2013-2020, pari a 285 milioni di Euro. Una sensibile riduzione derivante da una distribuzione da effettuarsi non più su 15 ma bensì sugli attuali 27 membri dell’Unione. I maggiori rappresentanti dell’agricoltura nazionale hanno manifestato tutte le perplessità derivanti da tale manovra con forti preoccupazioni. Sicuramente una prospettiva del genere crea tensioni e accomuna i vari attori coinvolti, politici soprattutto, nella ricerca di possibili soluzioni. Quanto esposto può essere ritenuta la prevedibile conclusione di un processo che ha visto un comparto importante dell’economia forse troppo sovvenzionato, in cui determinate logiche di impresa non si sono sviluppate.
Da anni infatti si chiede a gran voce all’agricoltura una maggiore professionalizzazione, non solo in termini di innovazione tecnologica ma anche in termini manageriali. Soprattutto nel nostro territorio sono ancora poche quelle realtà organizzate sui parametri della concorrenza. Assistiamo ad una estrema parcellizzazione delle aree coltivate con piccoli imprenditori che, in mancanza di una politica commerciale adeguata, svendono il proprio prodotto. Prodotto che subisce differenti passaggi di proprietà prima di giungere al consumatore finale. Un sistema in cui la produzione e il produttore non sono affatto tutelati e il guadagno principale si concentra nelle sole attività di intermediazione.
Manca un’adeguata valorizzazione e promozione delle produzioni tipiche, destinando ancora poca attenzione alle attività di marketing (soprattutto in chiave export). Il ruolo della politica dovrebbe relegarsi ai controlli e alla tutela di quel patrimonio unico di cui si è dotati. Nel contesto attuale, in cui ormai non è più possibile proteggersi dalla concorrenza con gli stanziamenti pubblici, sia per l’apertura dei mercati che per la graduale riduzione delle risorse disponibili, è urgente una riforma dell’agricoltura dal punto di vista gestionale. Il percorso virtuoso è quello della differenziazione del prodotto locale mediante l’esaltazione delle caratteristiche altamente positive.
La terra, il sole e il microclima che il nostro territorio garantiscono sono gli ingredienti principali per delle coltivazioni di elevata qualità. Elementi imprescindibili da tutelare e comunicare efficacemente. Altro passaggio fondamentale è quello dei processi di trasformazione. Essi contribuiscono ad aumentare quel valore aggiunto che tuttora manca all’intero settore agroalimentare. Un esempio è quanto avvenuto negli ultimi anni nel comparto vitivinicolo. Le nostre uve finalmente sono state apprezzate nel giusto modo, con vini che esaltano non solo la materia prima, ma anche l’intero territorio da cui derivano.
Il fattore di svolta è quello di avviare un percorso di crescita che ponga al centro il prodotto agricolo con tutte le attività correlate. Occorre rimodulare l’intera gestione in una prospettiva ampliata. Alla politica la tutela e i controlli, ma all’imprenditore l’utilizzo degli strumenti per rendere l’impresa autonoma e indipendente.  
Autore: Domenico Morrone
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" I prodotti della tecnologia agraria stanno sconvolgendo la base su cui tale tecnologia si fonda. E' come prendere pietre dalle fondamenta per riparare il tetto." Prof.Garrison Wilkes, Università del Massachusetts.- La distruzione degli habitat non è l'unica minaccia al processo evolutivo. C'è anche l'erosione genetica, che impoverisce i geni fondamentali di molti vegetali e animali ad uso alimentare. Alla varietà produttiva si sostituisce una pericolosa omogeneità, che minaccia gli sviluppi futuri. La portata di questa potenziale perdita è evidenziata dalla recente storia della "Zea diploperennis", una rara verietà di mais perenne scoperta nel 1978. Questa varietà fino a quel momento sconosciuta, trovata in alcuni ettari di terreno agricolo nella Sierra de Manantlan in Messico, era ridotta a2 mila piante e l'eliminazione del suo habitat continua. I suoi geni tuttavia, potrebbero aprire la prospettiva della produzione di mais con un'accrescita resistenza ad almeno quattro delle sette principali malattie del mais. Ma ci sono altri esempi. Prendiamo la Stazione di ricerche di Rio Palenque nell'Equador, la cui estensione è di soli 170 ha, ma che ospita ben 1.025 specie vegetali. Purtroppo quest'ultimo appezzamento di foresta tropicale è costantemente aggredito dalle popolazioni locali, che distruggono la foresta per farne legna da ardere e materiale di costruzione. Se domani i raccolti di mais scomparissero, i danni non sarebbero solo alimentari, ma si rifletterebbero su molti altri prodotti a cui il mais dà il suo apporto, come aspirina, penicillina, gomme d'auto, plastica..... L'erosione genetica colpisce le zone più ricche di varietà. La Grecia ha perso in solo 40 anni il 95% delle sue varietà native di frumento: in tutto il mondo squillano campanelli d'allarme. Attualmente noi stiamo perdendo piante selvatiche e "semidomestiche" i cui geni sono essenziali per la conservazione delle nostre principali colture. Contemporaneamente c'è stato un parallelo declino nei ceppi genetici di molti animali da allevamento. L'industri del bestiame tende, nella sua ricerca di profitti immediati, a concentrarsi su un numero limitato di razze, col risultato che ci stiamo avviando verso livelli d'emergenza di un "allevamento forzato omogeneizzato". In Europa e nel bacino del Mediterraneo, sono minacciate 118 varietà di bovini e solo 30 resistono bene. Come hanno detto i biologi Soule e Wilcok: "LA MORTE E' UNA COSA, MA LA FINE DELLA NASCITA E' UNA FACCENDA BEN DIVERSA".
Molti moderni agricoltori praticano una sorta di “finanziamento in disavanzo”: Per ammortizzare gli interessi passivi dei prestiti sfruttano all'eccesso le risorse, distruggono il patrimonio genetico sia selvatico che non, usano troppo il combustibile fossile e le falde freatiche, e spruzzano troppe sostanze chimiche tossiche. Perdiamo circa metà dei raccolti a causa dei parassiti resistenti e del cattivo magazzinaggio, produciamo laghi di latte di cui non sappiamo come liberarci, e utilizziamo terre fertili per coltivare cereali foraggeri. Nel frattempo i paesi più poveri hanno meno cibo, inadeguati centri di ricerca e ineguaglianza sociale. Se la nuova agricoltura vorrà sollevare il Sud dalla sua condizione di svantaggio, dovrà essere rivoluzionaria. Occorre privilegiare l'agricoltura anziché l'industria, soddisfare le esigenze alimentari locali invece di coltivare prodotti da esportare, e favorire più i piccolo proprietari dei grandi. I piccoli agricoltori dovranno essere aiutati dagli enti regionali per poter disporre di strumenti essenziali come credito, possibilità di prezzi e smercio migliori, servizi di trasporto, di consulenza e di ricerca, e accesso a terre fertili. Bisognerebbe seguire l'esempio della Cina, che nutre il 22% della popolazione mondiale sul 7% della terra arabile del pianeta. Un altri problema è l'indebolimento del suolo. La medicina per curare il suolo indebolito dell'agricoltura industrializzata è, di primo acchito, sgradevole: più lunghi periodi di maggese e totale riposo delle terre più erose. Come nutrire allora un mondo affamato? La risposta è semplice. Un cittadino americano medio consuma oggi circa 800 kg. di cereali all'anno, quasi tutti, indirettamente, sotto forma di carne: dal 1960 l'aumento è stato di 160 kg., quasi il totale consumato da un africano ben nutrito. Se il Nord tornasse alle diete di 20 anni fa, la salute ne godrebbe, si potrebbero cedere grandi quantità di cereali, e liberare parte della terra. Il governo norvegese è stato il primo ad adottare questo sistema, ricorrendo a incentivi agricoli e sensibilizzando la gente. Già a livello individuale molti mangiano meno carne. E qui sta la speranza per il futuro.
In agricoltura occorre una nuova rivoluzione, sia scientifica che politica. Per fortuna il germe di quella scientifica c'è già. Politicamente, invece, la volontà e i mezzi per metterla in atto esistono solo a metà. Finora il metodo seguito è stato di “piegare” l'ambiente perché si adattasse alle nostre coltivazioni. Adesso, grazie agli interventi di ingegneria genetica sui vegetali, potremo invece “piegare” le piante, manipolare le colture in modo che prosperino in armonia con l'ambiente, anziché nonostante esso. Già ora invece di riempire il terreno di fertilizzanti, acqua, diserbanti e antiparassitari, possiamo coltivare piante capaci di provvedere a se stesse, abitanti del deserto come la joioba, nuove fibre adatte alle terre aride come il fagiolo “morana “ o il “buffalo gourd” (specie che sopportano temperature molto alte), e anche determinate varietà di grano, orzo e pomodori che tollerano l'irrigazione con l'acqua di mare. Usiamo già legumi che producono da soli fertilizzanti attraverso batteri simbiotici azoto fissatori, che si trovano nelle loro radici. Entro la fine del secolo riusciremo forse a trasmettere ad altre piante questa caratteristica, dopo di che gli agricoltori non dovranno più temere i prezzi sempre più alti dell'azoto sintetico. I ricercatori stanno anche studiando la resistenza alle malattie tipica delle specie selvatiche, per cercare di creare nuove piante con autonomi meccanismi di difesa. E stanno tentando di correggere geneticamente determinate varietà di vegetali perché effettuino più rapidamente il processo di fotosintesi e crescano più in fretta. Per ottenere i risultati sperati, occorrerà potenziare la ricerca più di quanto si sia mai fatto, e adottare una serie di nuove strategie economiche atte a sollevare l'agricoltura dalla sua condizione di Cenerentola. Ma occorrerà soprattutto una nuova strategia politica, un mutamento così radicale da avere influenza su tutti gli individui: perché finchè i cittadini dei paesi industrializzati, con le loro diete ad alto contenuto di carne, incoraggeranno l'assurda coltivazione di cereali foraggeri, la terra verrà troppo lavorata, e la gente continuerà ad avere fame. E finchè certi paesi in via di sviluppo privilegeranno l'industria, l'urbanizzazione e i raccolti da esportare, senza curarsi delle esigenze alimentari della popolazione locale e delle condizioni dei piccoli agricoltori, si avranno le stesse conseguenze.


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