Una processione tra fede e speranza
È fresco di stampa il volume curato da Gio- vanni Antonio Del Vescovo e Gaetano Magarelli Memorie fotografiche dell’Arciconfraternita della Morte di Molfetta dal ‘900 ad oggi, edi- to dallo stesso sodalizio. La nostra città vanta ormai numerose pubblicazioni di questo genere, che costituiscono una sorta di archivio fotografico delle nostre tradizioni pasquali. Esse sono il frutto del paziente lavoro di raccolta, della fedeltà ad un co- mune sentire e del superamento di malintesi steccati ideologici. Queste tradizioni sono “tràdite”, vale a dire “consegnate”, “affidate”, da chi ci ha preceduto, e come tali vanno custodite, per quanto è conces- so dall’ inesorabile trascorrere del tempo e dei costumi, senza stravolgimenti. “Nihil novetur!”, tuonava mio nonno Ignazio, a propo- sito di un maldestro tentativo di fusione della Confraternita di Santo Stefano con quella di San Carlo. Le foto pubblicate van- no dal 1909 al 2021, e testimoniano mutamenti avvenuti nella struttura urbana dei percorsi processionali, nelle fogge d’ abbigliamento, nella loca- lizzazione di caffè, negozi, sedi di associazioni: insomma, im- magini di un mondo che non c’è più e che rivive accanto alle due ali di confratelli. È eviden- te che lavori di questo genere, altamente meritori, trascendono la testimonianza religiosa, che resta pur sempre fondamentale, per assurgere a do- cumenti visivi di un tessuto umano e materiale altrimenti irreperibile. Il volume si conclude con un saggio di Giovanni Anto- nio Del Vescovo, stilato con la consueta dottrina: Musica sacra e pietà confraternale. Per una storia della cultura e dell’e- stetica musicale a Molfetta fra Ottocento e Novecento. Come afferma l’Autore: “A fine Ottocento e per buona parte del Novecento, la musica scrit- ta per la liturgia, la cosiddetta musica sacra, fu informata ai canoni dell’estetica del teatro, dell’opera lirica, e della drammaturgia e ciò appariva asso- lutamente normale ai musicisti di quegli anni”. Tuttavia “Non va sottaciuta la presenza a Molfetta di alcuni preti musicisti, i quali, compo- nendo in canto fermo e fratto, non composero secondo lo sti- le teatrale dominante”. Questa duplicità di fondo ed il contrasto tra la formazione contrappuntistica palestriniana e la pratica quotidiana “de- finirono l’estetica musicale di tutto l’Ottocento: un rapporto antinomico tra l’idea di musica assoluta strumentale e quella di musica vocale”. La pietà e la devozione confraternale si resero evidenti nei “pii esercizi”, che non si limitavano soltanto alle processioni, ma che in forma di oratori o strofette, commentavano le preghiere e interpretavano la ritualità legata al ricordo della Passione di Cristo. Come ricordava Francesco Peruzzi, protagonista indiscusso della musica molfettese di quei tempi, i fedeli accorrevano numerosi nelle chiese, in trepida attesa e compartecipa- zione emotiva alle esibizioni di dilettanti molfettesi, e spesso napoletani. Si eseguivano abi- tualmente l’oratorio “La Passione” di Giuseppe Peruzzi, il “Settenario dell’Addolorata”, le “Tre ore di agonia”, ed altre composizioni. “Rimane tuttavia fuor di dubbio – continua Del Vescovo – che fu il panorama di esercizi devozionali legati alla Quaresima ed alla Settimana Santa, ad offrire in primis et ante omnia il materiale ai compositori locali Sergio Panunzio, Vincenzo Valente, Giuseppe de Candia, Giuseppe Peruzzi, Saverio Calò, Francesco Peruzzi, divenuti i creatori inconsapevoli dell’estetica musicale molfettese”. Al termine del suo saggio, Del Vescovo pone una domanda fondamentale, si domanda cioè se questi nostri autori che musicarono quei testi religiosi, servendosi di un linguaggio musicale in linea con l’estetica operistica ottocente- sca, raggiunsero altri esiti, oltre quelli squisitamente artistici e, opportunamente, cita un saggio di Monsignor Luigi Michele de Palma, che in merito si chiede: “Quale amore suscitavano questi pii esercizi per rendere presente Dio nella vita degli uomini? I compositori volevano fare soltanto teatro, oppure la loro inventiva mirava a stimolare ed accrescere la pietà? Erano anch’essi uomini pii, come l’intende De Luca, cioè avevano presente in sé Dio? Erano credenti capaci di espri- mere il loro amore per Dio e di trasmetterlo, di suscitarlo ed alimentarlo in chi ascoltava le loro musiche?”. È evidente che qui si pone il dilemma tra un’idea di este- tica musicale assoluta, che inglobi in sé, anche se non esplicitata, la dimensione religiosa, ed un’altra che distingue programmaticamente e soggettivamente i diversi percorsi ed esiti creativi. Questi ed altri interrogativi suscita un volume che ci induce ad esortare gli autori a proseguire nelle loro pregevoli ricerche. Segue una breve considerazione personale. Quest’anno, la statua dell’Addolorata, a metà di via Margherita di Savoia, probabilmente per una distrazione dei portatori, ha perso parte dell’appoggio e si è pe- ricolosamente inclinata per qualche secondo. Dalla folla si è levato un grido di dolorosa sorpresa, seguito da un concitato vocio. Da tempo im- memorabile, la religiosità popolare interpreta questi eventi come “segni” della “sofferenza” del Divino, o come presa- gi di prossime sciagure. Non è dato sapere cosa ci riservi il futuro. Di certo, ora, ci sono dei responsabili in questa folle corsa al massacro. I credenti preghino per la pace, i laici si siedano sulle panchine della Banchina San Domenico ed aspettino, senza speranza e senza timore, che si levi ad Oriente uno splendido fungo atomico, quale apoteosi della Civiltà Umana. © Riproduzione riservata