di Giulio Calvani
Alla fine la bomba è deflagrata in città, prima ancora che al Palazzo, con roboante irruenza. E non poteva essere diversamente grazie ai manifesti che hanno tappezzato i muri di Molfetta in questi giorni e che hanno inopinatamente creato un clima di allarmismo generalizzato che, alla luce dei fatti e dello stesso articolo pubblicato dagli artefici del suddetto manifesto, non aveva alcuna ragion d’essere. Nessuno infatti ha mai preso in considerazione l’ipotesi di abbattimento di ben undici palazzine del Lotto 10, per ragioni che sono nella evidenza prima ancora che nel diritto, così come ha con chiarezza confermato il sindaco Guglielmo Minervini durante una apposita conferenza stampa, dal momento che un provvedimento di tal genere avrebbe lasciato privi di abitazione ben 81 famiglie e interrotto drasticamente tre attività economiche che si svolgono nei locali al piano terra di tali edifici.
Ma riepiloghiamo i fatti così come sono stati ricostruiti durante la suddetta conferenza stampa alla presenza oltre che del sindaco, dell’assessore all’urbanistica Franco Cives e dell’assessore ai lavori Pubblici, Matteo Innominato. Cominciamo col dire che l’intera vicenda è decisamente complessa, dai molteplici risvolti giuridici, costellata da numerose pronunce giurisprudenziali che si sono susseguite, spesso in maniera contraddittoria, nell’arco dei circa vent’anni che ci separano dall’approvazione, da parte della Regione, dell’ultimo Piano Regolatore Generale, avvenuta nell’aprile del 1975.
Una storia complicata
Allorchè vennero proposti i piani di lottizzazione di quel rione, il presidente della Giunta Regionale dell’epoca rilasciò il nulla-osta, però impose come condizione che la convenzione venisse integrata, ponendo a carico dei lottizzanti il costo delle aree da adibire a verde e servizi: in sostanza l’impostazione presentata prevedeva esclusivamente le indicazioni volumetriche degli edifici da realizzare, mancando del tutto quelle da adibire a verde pubblico e a standard urbanistici. A quel punto sorse il problema di dotare quelle aree del Lotto 10 di tali imprescindibili elementi. La soluzione adottata fu, anziché una di tipo interno, cioè di reperire tali aree da destinare a quello scopo, nello stesso rione, di tipo esterno, individuando i 27.000 mq necessari per i servizi al di fuori del rione preso in considerazione, a sud dello stesso, in una zona vincolata dallo stesso strumento urbanistico a parco urbano.
Questa è la necessaria premessa per comprendere i problemi che ne conseguirono. Il Comune di Molfetta adottò un piano particolareggiato di esecuzione del Lotto 10, nel quale si individuavano tanto le aree da destinare a verde quanto quelle da adibire a servizi (scuole elementari, scuole materne, biblioteche e mercati rionali), ma queste erano indicate all’interno di quello che sarebbe dovuto essere un Parco Urbano.
L’impugnazione delle concessioni edilizie
A questo punto nasce la vicenda che ci interessa. I proprietari dei suoli, Sig.ri Capochiani, soggetti alle espropriazioni da parte della Pubblica Amministrazione per la realizzazione del parco urbano nel 1983 impugnarono le concessioni edilizie che dopo l’approvazione del piano particolareggiato erano state rilasciate dall’amministrazione comunale dell’epoca, lamentando il fatto che mutava la destinazione a verde per la quale erano espropriate le loro proprietà, dal momento che il piano prevedeva la costruzione di stabili a servizio del lotto 10, ed in tal modo evidentemente la ragione alla base del provvedimento espropriativo veniva meno, dal momento che non più di parco verde si poteva parlare.
A questo era da aggiungere il fatto che tali aree venivano poste all’esterno del lotto 10 e quindi si poneva non solo una questione di opportunità ma anche di danno patrimoniale, di sperequazione nella distribuzione dei benefici, per i proprietari dal momento che mutava la destinazione di quelle zone.
Il Tar (Tribunale amministrativo regionale), chiamato ad esprimersi sulla questione, respinse i ricorsi presentati da questi proprietari espropriati contro le concessioni edilizie, per ragioni d’ordine procedurale, ma in sede di Appello, il Consiglio di Stato nel 1997 ha emesso una sentenza diametralmente opposta, per cui tali ricorsi sono stati accolti, questo perché (così come spiegato nella sentenza del supremo organo di giustizia amministrativa) nel frattempo lo stesso Tar, aveva accolto i ricorsi proposti contro il piano particolareggiato del lotto 10 (che reperiva le aree da adibire a sevizi) e quello relativo al parco urbano, annullandoli. In tal modo venivano meno i presupposti stessi, tecnici e giuridici, formali e sostanziali, per rilasciare quelle concessioni edilizie, che quindi venivano annullate.
Così si è posto il problema per l’amministrazione comunale attuale di rendere esecutiva la sentenza, anche alla luce di una ulteriore pronunzia del Consiglio di Stato del giugno 1999, con la quale si disponevano termini ristretti per la stessa esecuzione.
Cosa accadrà ora?
Qual è la soluzione pratica per venire fuori da questa vicenda? Per trovare una soluzione l’amministrazione comunale ha chiesto il parere del professore Massimo Severo Giannini (difensore della stessa amministrazione), il quale, constatando l’impossibilità di restituzione in pristino delle aree (dal momento che questa prevederebbe la demolizione delle undici palazzine in questione, con gli incalcolabili danni di ordine sociale che ciò comporterebbe, mettendo per strada ben 81 famiglie), ha consigliato il Comune di attivare immediatamente il procedimento amministrativo di sanzione contro le imprese (Nicola e Antonio Ayroldi; Nicola Bartoli; Luciano Gadaleta; Rodolfo, Giuseppe e Bonifacio Pansini) che hanno costruito (e non contro gli attuali proprietari degli alloggi, i quali, è bene specificarlo, non corrono nessun pericolo) previsto dall’articolo 11 della legge 47/85, considerando tali edifici abusivi, in quanto privi di concessione, in un’area nella quale non si poteva costruire.
Sanzioni miliardarie ai costruttori
E’ bene specificare, inoltre, che la sanzione sarebbe decisamente ingente, pari al valore venale degli edifici, si parla di circa 3 miliardi e mezzo per palazzina. Tale procedimento è stato attivato dal Comune di Molfetta, in modo da tutelare la propria posizione e scongiurare il rischio di un commissario ad acta, peraltro già indicato dal Consiglio di Stato.
Ma vi sarebbe un’altra soluzione che costituirebbe il male minore e che tira in ballo la definitiva approvazione del tanto agognato Piano Regolatore Generale, panacea per molti mali della nostra città e ora anche di questa intricata questione. Laddove in tempi brevissimi giungesse a compimento l’iter di approvazione presso la Regione del fondamentale strumento di pianificazione urbanistica per la nostra città, si passerebbe a prendere in considerazione non più l’art. 11 della suddetta legge in materia urbanistico-edilizia, bensì l’art. 13, il quale prevede l’ipotesi di una oblazione da versare sempre a carico delle imprese titolari delle licenze, ma il cui ammontare sarebbe decisamente minore (nell’ordine, stando alle voci, di poche centinaia di milioni). Questo perché il Prg prevedendo, tra le altre cose, di adibire alcune zone residue, all’interno di quel rione, sulle quali non si è edificato, a servizi e verde pubblico, andrebbe a sanare la situazione che rende illegittime le concessioni, costituendo il presupposto per la loro esistenza.
L’approvazione del Prg, unica via d’uscita
E questa è la strada che intende percorrere l’amministrazione comunale, cercando in tal senso il confronto con le imprese costruttrici implicate nella vicenda, verso le quali, è stato specificato dal sindaco, non c’è alcun intento persecutorio, bensì il desiderio di collaborare, nel rispetto delle regole, per la definizione di questa complessa vicenda. Ma come detto per prendere in considerazione tale ipotesi il presupposto principale è l’approvazione da parte della Giunta Regionale del Prg, che stando alle voci che circolano, dovrebbe essere davvero imminente, in quanto già all’ordine del giorno della stessa Giunta, ma spesso rinviato per inspiegabili motivi (ci sono pressioni politiche per evitarne l’approvazione?).
Quali responsabilità?
Ora si pongono riflessioni di diverso ordine che coinvolgono più parti della vicenda. In primo luogo, come si è potuto concepire un intero quartiere del tutto privo di servizi urbanistici e di zone adibite a verde, dal momento che proprio da questa deficienza nasce l’intera querelle? A chi va attribuita questa perniciosa scelta politico-urbanistica? Dalla risposta a questo interrogativo (che lasciamo alle “ricerche” del lettore) deriva immediatamente un altro: che credibilità politica possono avere le critiche piovute contro le scelte urbanistiche di questa amministrazione, mosse da chi è nei fatti responsabile di quanto è oggi all’attenzione di tutti? Come si è potuto continuare a rilasciare concessioni edilizie e poi nei fatti a costruire, stante l’alea di un giudizio in corso, promosso tempestivamente, che avrebbe (come poi è avvenuto) potuto creare problemi di tali dimensioni? Perché, sempre in considerazione del forte dubbio che aleggiava sull’intera vicenda, i costruttori non hanno provveduto, laddove fosse stato possibile, a sanare la situazione tramite il condono edilizio (elemento sottolineato dallo stesso Consiglio di Stato: “le costruzioni (…) non risultano essere state oggetto di condono edilizio”?
Nessun rischio per i proprietari delle case
Le valutazioni le lasciamo al buon senso dei lettori, ma un ultimo quesito vorremmo porre e tentare di dargli una risposta: da tutta la vicenda chi ci guadagna e chi ci perde? Chi si accollerà gli inevitabili costi che, in un senso o in un altro dovranno essere pagati? Orbene, in primo luogo occorre sgomberare il campo dai dubbi che hanno creato un certo diffuso allarmismo, dicendo che gli attuali proprietari degli alloggi non dovrebbero correre alcun rischio. Stando a quanto sancito dalla legge presa in considerazione per dirimere la vicenda gli unici indiziati a pagare l’oblazione prevista dall’art. 13 (qualora fosse approvato in tempi brevissimi il Prg) o la sanzione prevista dall’art. 11 (qualora l’approvazione del Piano non arrivasse prima della fase esecutiva del procedimento avviato, evenienza che speriamo non si realizzi), dovrebbero essere i titolari delle concessioni edilizie in questione, cioè i costruttori degli edifici. Questi sono coloro i quali sono posti oggi maggiormente sotto pressione, e con i quali il Comune ha avviato un confronto serrato per giungere ad una soluzione non traumatica.
La sensazione è che, così come affermato dallo stesso sindaco, laddove a questa soluzione non si riuscisse ad arrivare, si aprirebbe un’altra intricatissima vicenda giudiziale che si potrebbe protrarsi chissà per quanti anni ancora. E in effetti non si piò negare che i titolari delle licenze, sebbene possano avere qualche responsabilità (come detto in precedenza, perché non hanno provveduto, nell’incertezza, a sanare la questione con il condono edilizio?), hanno costruito in virtù di un atto all’epoca a tutti gli effetti valido ed efficace; a ragion veduta non si può, a distanza di circa vent’anni, pretendere una prestazione patrimoniale di tale rilevanza.
I danni economici rischiano di ricadere su tutti i cittadini
Appare concreta la possibilità che, nel caso in cui non fosse possibile una soluzione compromissoria, i costruttori saranno costretti a versare le somme indicate, per poi avviare un’azione di risarcimento dei danni contro il Comune di Molfetta.
E allora dovrà essere la comunità tutta a pagare per degli eventuali errori commessi vent’anni fa? E’ un rompicapo dal quale non se ne esce. Non è neanche escluso che gli amministratori dell’epoca (a nostro sommesso avviso, e per quanto ci è dato capire, gli unici veri responsabili, pure anche in buona fede) si troveranno a dover rispondere dei danni patrimoniali arrecati alla comunità dinanzi alla Corte dei Conti (e forse l’intero consiglio comunale che ratificò la decisione).
Ma questi sono scenari lontani, non sappiamo fino a che punto possibili o fantasiosi.
SCHEDA
Queste le palazzine interessate dalla sentenza del Consiglio di Stato
Concessione edilizia 646, rilasciata a Pansini Rodolfo (palazzina 9) Via Ungaretti, 55.
Concessione edilizia 643, rilasciata ad Ayroldi Nicolò (palazzine 1, 2, 3, 4, 5), 1^ traversa normale a sinistra via Terlizzi (attuale via Del Vescovo) numeri civici 3, 5, 9, 69, 74.
Concessione edilizia 644, rilasciata a Bartoli Antonio e Nicola (palazzine 3, 4), Via Ungaretti 20 (palazzina 3), Via Ungaretti 28 (palazzina 4).
Concessione edilizia rilasciata a Pansini-Gadaleta, Via Ungaretti 31 e 43. Concessione edilizia 652, rilasciata a Pansini Bonifacio (palazzina 6), Via Ungaretti, 23.
Le concessioni edilizie furono rilasciate nel 1982 dal sindaco di Molfetta dell’epoca prof. Beniamino Finocchiaro.