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Tu scendi dalle stelle o White Christmas?
15 dicembre 2010

Lo scopo di questo breve articolo sui canti di Natale è quello di effettuare un distinguo significativo tra repertori e tradizioni diverse,le cui peculiarità sono spesso ignorate. Mi soffermerò, per fugaci cenni, sulla cultura musicale anglosassone, su quella propriamente americana ed infine su quella dell’Italia meridionale, tre mondi musicali completamente diversi, ma tutti caratterizzati da un’altissima dignità cultural-musicale e da una storia che merita di essere approfondita in altre sedi scientifiche. L’Inghilterra, quindi: chissà se Ebenezer Scrooge, il misantropo protagonista di A Christmas Carol di Charles Dickens, abbia cantato anche lui (non visto) God rest you, merry gentlemen, antica carol medievale; quel brano che ancora oggi è cantato per le strade londinesi può essere definito uno degli emblemi del caroling, intima essenza del Natale anglosassone. Il repertorio delle carol, nato come canto popolare tardo medievale, è stato riscoperto nell’Ottocento grazie anche a pubblicazioni di carattere antologico come quella dell’avvocato inglese (solicitor) William Sandys, Christmas Carols Ancient and Modern (London, Richard Beckley, 1833) e Christmas- tide,its history festivities and Carols, with their music (London, John Russell Smith, 1852), quella di Joshua Sylvester, Christmas Carols-ancient and modern (London, John Camden Hotten, 1861 ristampata da A. Wessels Company, New York, 1901 e 1905) e quella divulgata nel 1853 da John Mason Neale (sacerdote e compositore di inni), Piae cantiones, compilata dal musicista seicentesco svedese Theodoricus Petri Rutha. E’ di quello stesso periodo (metà Ottocento) la composizione di The first Noel ed a quel repertorio appartiene anche la celeberrima We wish you a merry Christmas. La riscoperta ottocentesca delle carol medievali va inquadrata nell’ambito del movimento oxfordiano, che tentò di restituire la dignità al culto anglicano attingendo al repertorio del passato: a quel lavoro di riscoperta e di valorizzazione contribuirono lo stesso Neale ed il reverendo George Ratcliffe, compositore inglese. Altri si affiancarono in quell’operazione filologica di riscoperta del patrimonio inglese delle carol, Robert Lucas de Pearsall, che nel 1832 arrangiò In dulci jubilo, Henry John Gauntlett che compose Once in Royal David’s City e E. F. Rimbaud che raccolse dalla viva voce del popolo God rest, you merry gentlmen. Alla fine degli anni Venti del Novecento vide la luce un’altra opera fondamentale per la conoscenza delle carol, l’antologia di Percy Dearmer, Ralph Vaughan Williams (musicista, dal 1904 membro della Folk Song Society, dedicatosi alla raccolta dei canti popolari inglesi) e da Martin Shaw, The Oxford Book of Carols (Oxford, 1928). Altro caposaldo (tra centinaia) delle carol è Adeste fideles: testo e musica risalgono al Settecento. E’attribuita a John Francis Wade (1711-1786) che pare adattò le parole ad una melodia di John Reading; secondo quanto scrisse nel 1947 dom Jean Stèphen (abbazia di Buckfast nel South Devon) la data di composizione risalirebbe al lasso di tempo compreso tra il 1740 ed il 1745. Fu poi pubblicata nel 1782 in «An essay or instruction for learning the church plainchant » di Samuel Webbe. Il testo inglese fu realizzato da Frederick Oakley, canonico di Westminster; quel canto entrò a far parte del rito anglicano come inno del giorno di Natale. Di Adeste fideles si era già occupato, all’inizio del Novecento il Gastoué, monaco della abbazia di Solesmes, culla della rinascita del canto gregoriano nell’Ottocento: egli, nel 1913, aveva attributo per primo Adeste a Wade. In seguito, in molti libri di canto pubblicati sotto l’egida solesmense comparvero trascrizioni di quel canto divenuto uno delle icone del Natele non solo anglicano. Un portato della cultura mitteleuropea ottocentesca è Silent Night, composta nel 1818 (sul testo di Joseph Mohr, curato di Obendorf) dall’organista Franz Gruber nello stile dei Weihnachtslied (O Tannembaum risale addirittura al 1799 circa). La cultura americana ha contribuito, su versanti completamente diversi per storia e contesti alla idealizzazione musicale del Natale: alcuni esempi eclatanti (tra i più conosciuti ed eseguiti in tutto il mondo occidentale) sono Jingle Bells, composta da John Pierpont, pastore ed insegnante a Boston, nel 1857 e White Christmas scritta nel 1940 da Irving Berlin (1888-1989), musicista ebreo di origine russa; quest’ultima canzone, celeberrima, fu presentata durante il programma radiofonico The Kraft Music Hall nel 1941 e l’anno successivo inserita in Holiday Inn, in cui accanto a Bing Crosby recitava e ballava Fred Astaire. Ha sostenuto Paolo Prato che «ne risultava trasformata, in tutto l’Occidente, la percezione stessa del Natale: da questo punto di vista White Christmas è l’icona della globalizzazione musicale ». Lontano anni luce é il repertorio napoletano settecentesco: mi riferisco a quello idealizzato in Tu scendi dalle stelle, composta secondo la tradizione popolare nel 1754-1755 da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori in casa di don Michele Zambardelli (e pubblicata nel 1769); parimenti andrebbero citate le canzoni popolari Quanne nascette ninno (che come sostengono alcuni studiosi, fu composta da S. Alfonso) e La Santa Allegrezza. In particolare quest’ultimo canto (destinato all’oblio?) è conosciuto oltre che a Molfetta anche a Giovinazzo e a Barletta. Il discorso sull’origine e sulle prassi esecutive della Santa Allegrezza esula, tuttavia, da questo scritto.

Autore: di Giovanni Antonio del Vescovo
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