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Trascolora l'ora, nuove poesie di Jole de Pinto
15 gennaio 2014

Con Trascolora l’ora, edito sotto l’egida dei Poeti della Vallisa, la scrittrice molfettese Jole de Pinto compie un’operazione importante, attestando il proprio impegno culturale ed etico e offrendo al pubblico della poesia primizie di versi inediti, in continuità con l’itinerario creativo già tracciato nella biografia ...E la vita continua. Affascinante lo schizzo in copertina, opera dell’architetto Fabrizio Minervini, figlio dell’artista; esso rimodula due dei temi portanti della piccola silloge a conclusione del volume e, più in generale, della produzione della de Pinto: l’inesorabile fluire del tempo e il panico abbraccio delle acque. Il ricavato delle vendite del volume sarà devoluto in beneficenza, a favore di due famiglie molto indigenti della città, che saranno designate in collaborazione con il Comune. Il volume si connota, come ben sottolinea Daniele Giancane nella lucida prefazione (dedicata al “mondo inesauribile di Iole de Pinto), quale “corpus assai variegato e complesso”. Scritti - come sottolinea la scrittrice - “apparsi qua e là su riviste molfettesi, pugliesi, nazionali nel corso degli anni” (tra queste “Quindici”, “l’altra Molfetta”, “Luce e Vita” e il periodico barese della “Vallisa”) conoscono una felice riedizione; dopo una prima miscellanea, i saggi si susseguono ripartiti nelle sezioni di “critica pittorica”, “letteraria”, “affabulazioni poetiche”, “lettere ai poeti” e “affabulazioni teatrali”. L’impegno della de Pinto si manifesta a tutto tondo in pagine acute (come le definì lo stesso Giancane), che, caratterizzate da una prosa ariosa e raffinata, commentano gli scritti di Marco I. de Santis, Ada de Judicibus Lisena, Dino Claudio, Daniele Giancane, Gianna Sallustio, e molti altri, sino alle recenti pagine su Maria Addamiano, o ancora meditano sulle opere di Quasimodo, Ruffilli, Raccioppi e Maria Marcone. L’artista recensisce mostre, soffermandosi su opere di artisti come Ida Caradonna, Marisa Carabellese, Cosimo Allegretta, Anna Rita Spezzacatena, Michele Paloscia, Pina Pisani o magari contempla le Ore della Passione di Natale Addamiano, “sull’onda di un’emozione estetica”. Fine penetrazione psicologica, per esempio nell’attento esame del “fremito ulissico” nell’opera di Dino Claudio, si coniuga con un’attenzione filologica finalizzata a considerazioni di critica stilistica, come nello studio variantistico di alcuni testi della De Judicibus Lisena. L’amorevole studio delle lettere classiche emerge ovunque, ma segnatamente nella bella relazione di convegno sulle “Donne di Orazio”, in cui, alla luce di un’attitudine da “melancholicus” del poeta di Venosa, la de Pinto rilegge il femminino oraziano, da Mirtale alla cortigiana Cinara, per poi concludere con l’ormai leggendaria Leuconoe, indimenticabile nella sua, vana, tensione alla conoscenza del futuro mediante pratiche divinatorie. La fede emerge nitida e battagliera, non soltanto nella rammemorazione della figura di Mons. Bello (i suoi funerali hanno ispirato alla de Pinto una lirica di arcana fascinazione), ma anche nell’esame delle scritture, vivido nel saggio sulle figure femminili evangeliche, da Maria di Magdala, “luminosa” interprete dell’amore come sublime motore delle azioni umane, alle sorelle di Lazzaro, emblemi del “dilemma di cui si è fatto carico nei secoli la donna” (essere “angelo del focolare” o perseguire la “promozione intellettiva e dello spirito”?). La scrittrice prende anche posizione contro la guerra e si lancia in dichiarazioni programmatiche, come nell’intervento del 1996 per “La nuova Tribuna Letteraria”. In esso, sintesi e tensione all’oraziano os rotundum sono additati come obiettivi di un poetare che persegue (è quanto emerge anche in “Intellettuali del Sud”), nel rispetto della migliore tradizione europea, l’alta espressione di “un nuovo Umanesimo”, “reso forte dall’umile, costruttiva deontologia del proprio ruolo e del quotidiano”. L’appendice offre un pregevole florilegio di rime, in cui l’autrice avverte il “trascolorare” dell’ora e coniuga meditazione melanconica sullo scorrere del tempo e contemplazione, ora estatica ora dolente, di un mondo-caleidoscopio di emozioni contrastanti. Come una moderna sacerdotessa della Bellezza, la poetessa deplora i veleni di un progresso che deturpa la natura. Avverte, come in versi di precedenti opere, il “refolo dell’oltre” e capta squarci d’infinito all’orizzonte. Ecco che allora s’immagina operosa, a ‘noverare’ le stelle, sino al loro fatale discendere sulla sua soglia. Di grande dolcezza e malinconica grazia sono gli epicedi, tra cui spicca quello del 20 gennaio 2013 per l’amica Rosa Racanati Gadaleta (delicata poetessa), in cui il dolore per l’evento induce l’autrice a una meditazione di respiro universale sull’illusione dell’esistere. È qui, come nel rimpianto per il “ruggito” del mese di luglio, mentre “smuore l’estate”, o nel “buon presagio” di nuove stagioni, a declinare - inesausto - il dolceamaro ritmo della vita, che la poesia tocca le sue note più luminose, in equilibrio tra l’attitudine comunicativa e l’eleganza di uno stile sorvegliato ed evocativo.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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