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Toponimi dialettali molfettesi
15 ottobre 2007

C'è un giovane (non proprio di primissimo pelo), che adora da matti la sua Molfetta. È un grafico o, se preferite, un designer che a spezzoni fa anche il professore. È un creativo molto scrupoloso nel suo lavoro, che nel tempo libero ospita gli amici o la gente di passaggio nel suo studio in Molfetta vecchia oppure va girelloni per le contrade molfettesi, armato di fotocamera digitale, a caccia di scorci urbani e paesaggistici e di personaggi pittoreschi o significativi. Il suo nome è Pasquale Modugno, in arte Graphix. Ogni tanto, freneticamente invaghito di una sua fervida idea, irrompe a casa mia, togliendomi dal grigiore di vecchie carte o dalla tediosa correzione dei compiti in classe, per coinvolgermi in una sua nuova impresa. Il suo entusiasmo è così genuino e travolgente, che invece di raffrenarlo paternamente (per via di qualche annetto in più e dei miei peli brizzolati), invece di indurlo a più miti e lucrosi consigli, gli tengo fanciullescamente bordone, lo incoraggio e gli do pure una mano. Ultimamente ha dato alla luce col NuovoCentroStampa di Tonio Ciccolella nientemeno che Il Mercante alla Fiera di Molfetta, un “Calengiò” per il 2008, cioè un «calendario-gioco per riscoprire il dialetto e i luoghi più belli della città», che ha preventivamente ottenuto la mia più incondizionata adesione a una piccola forma di collaborazione per le dizioni e i proverbi in vernacolo. Ogni molfettese purosangue lo dovrebbe avere, perché vi troverà ritratti in stupende fotografie gli scorci più ameni o più cari della città, del litorale e della campagna molfettese. Ritagliando le foto si possono ottenere due mazzi di 48 figure per giocare al “Mercante in fiera”, ma io gli ho consigliato vivamente di realizzare a parte dei mazzi di carte plastificate di pregio da destinare ai collezionisti e agli amanti di Molfetta o da proporre come idea-regalo per una strenna di Natale o di altra festività. Approfitto di questa uscita per fare un elenco dei luoghi fotografati e dei rispettivi toponimi dialettali molfettesi, seguendo l'ordine sparso presente nel calendario. Si comincia con u Archë dë la Tèrrë, l'arco della città bassomedievale, già ricordato come porta e portarium in documenti del XII secolo. Si continua con u Calvarjë, la cuspide neogotica del 1856 disegnata dall'architetto Corrado De Judicibus. Si prosegue con la Chjesja Grênnë, la Cattedrale nuova (ex Chiesa del Gesù), affiancata visivamente dalla Chjésja Vécchjë, il Duomo vecchio, cioè la cattedrale medievale inizialmente dedicata all'Assunta in Cielo, ma dal 1785 a San Corrado. Ecco apparire la Lêndérnë, il Faro portuale borbonico, prima di rientrare ind'a la Tèrrë, nella città vecchia, dove tèrrë vale “città murata”, come in Dante Alighieri. Si vede poi u Pùërtë, il porto nuovo, seguito da Sên Dëmìnëchë, la chiesa conventuale di San Domenico Soriano, e quindi la Chjésjë dë Sêm Bìëtë, il tempio di San Pietro rifatto nel Settecento. Compaiono a loro volta u Scalë, lo scalo cantieristico e di alaggio, e la Sècchë du Palë, che in dialetto ha il complemento di specificazione al singolare, mentre in lingua viene reso al plurale con Secca dei Pali. Questo nome ha preso piede negli anni Trenta del Novecento, mentre nel primo Quattrocento la località era detta Palis (ai Pali) e quindi porto dei Pali fino al secondo Ottocento, quando questa cala riservata alle tartane e alle paranze, a causa dell'interramento, cominciò a perdere importanza a vantaggio del porto commerciale addossato al centro storico. Non poteva mancare u Sëmënêrjë, il Seminario vescovile, da cui ci si può spostare con quattro passi sóëp'o Mëràgghjòënë, sul muraglione di Molfetta vecchia, per guardare il circostante panorama. Dopo la Tòrrë du Gaddë, la Torre del Gallo, costruzione rurale forse del tardo Quattrocento, si nota u Triòënë, il cinquecentesco Torrione Passari bagnato dal mare, per poi finire a la Chjazzòddë, lo slargo di Via Piazza, che mai si è chiamata Via dei Romani o Via degli Amalfitani, ma in latino medievale platea civitatis Melficte (1235) e in volgare via Placza (1270). Usciamo poi verso l'Êndìchë dë la Chjésjë, il vicolo della Cattedrale, unica strada urbana che conserva la denominazione rustica riservata alle viottole campestri dette nel Medioevo antique (dal latino viae antiquae). Poco lontano giungiamo mmézzë o Castìëddë, in Piazza Municipio, che deve il suo nome dialettale principalmente al remoto ricordo di un fortilizio, dovuto a Raimondello Del Balzo Orsini, abbattuto durante i disordini del 1416. Da u Pënnìëddë, dal molo Pennello, si salta a la Chjésjë du Prëgatórjë, la secentesca Chiesa di S. Maria consolatrice degli afflitti col portale sormontato da un bassorilievo con le anime purganti, che ha determinato il nome popolare. Tiene dietro la Parrëcchjéddë, cioè la chiesa di Santo Stefano, detta “la parrocchietta” in opposizione a la Parrócchjë o San Gennaro (terza parrocchia molfettese) e alla Chiesa matrice (prima parrocchia storica). Si balza quindi in piena campagna, nella voragine del preistorico Pulo, u Pàulë, per poi tornare in città a la Zëcchëlêndë, S. Bernardino, già chiesa degli Zoccolanti o Frati minori osservanti, a cui fa riscontro la Chjésjë dë lê Mórtë, ossia la chiesa dell'Arciconfraternita della Morte o di S. Maria del Pianto. Venendo da dréëtë o Mùëlë, dal lato esterno del Molo, si può arrivare mmézz'o Vurghë, in via del Borgo o più pomposamente Corso Dante Alighieri, per poi piombare nuovamente nell'agro presso la Tòrrë de Nêvaràilë, la Torre di Navarino associata a un supplizio di briganti nel 1749. C'è poi la Chjésjê nòëvë, la Chiesa nuova del tardo Ottocento, cioè la chiesa parrocchiale dell'Immacolata, seguita da u Pëzzëlëchênë, contrada detta nel Cinquecento Pozzo de li cani. Proseguendo si giunge a la Mêdónnë dë lë Mêrtërë, cioè a S. Maria dei Martiri nel suo rifacimento ottocentesco neoclassico della chiesetta romanica fondata nel 1162. Dalla parte opposta ci troviamo mmézz'a la Villë, nella Villa Comunale, località fino al primo Novecento chiamata la Frëttëcéddë, alterazione fonetica di Prëttëcéddë, già Largo della Porticella, con riferimento alla porta minore di levante dell'antica cerchia muraria. Chiude la serie la Mêdónnë dë la Róësë, la chiesetta- torre di S. Maria della Rosa (o delle Rose), centro di fede e di attrazione residenziale. Un altro toponimo è Dréët'o Spëtàlë, l'attuale Via Cifariello, detta in passato Strada Ospedale, con riferimento al vecchio Ospedale della Confraternita della Carità. A un dipresso stanno rë Cchêmërë Nòëvë (o rë Cchêmbrë Nòëvë), le Camere Nuove del cosiddetto rione Catacombe. Poi si va mmézz'o Paddòënë, a Piazza S. Michele, già Largo del Pallone, perché negli ultimi lustri del Settecento vi si svolgeva il gioco del “pallone grosso” o “pallone al bracciale” (v. il mio Dai perastri allo sferisterio: il Largo del Pallone, in «Quindici giorni», a. V, n. 11, 15 nov. 1999, p. 10). Da la Primê Calë, Prima Cala, si vola a la Nënziatë, in Via Annunziata, per finire sòtt'o Vichë, deformazione popolare di sottovia per il sottopassaggio ferroviario di epoca fascista. Poi si torna indietro, mmézz'o Cùchëmë, nella piazzetta all'incrocio fra Via Madonna degli Angeli e Via S. Paolo, per risalire successivamente a la Cappëcciàjnë, la cinquecentesca Chiesa dei Cappuccini, e quindi ridiscendere per andare a sbucare nnênz'o Rré, di fronte alla statua di Vittorio Emanuele II, che una delle meno riuscite epigrafi di Vito Fornari ricorda come “Raro uomo, rarissimo Re”, praticamente uno scioglilingua per prendere in castagna i blesi e i francesi, per via della erre moscia. E dalla Francia non poteva che venire il nome dato al postunitario rettifilo alberato di Corso Umberto I, detto u Bbulëvàrë, appunto dal francese boulevard. Di origini più dimesse, invece, è il toponimo sòtt'a la Pórtë, lo slargo di affaccio, su via Annunziata, dell'uscita urbica detta porta Terlizzi, presso la quale ancora nell'Ottocento andavano i braccianti di sera o di prima mattina ad acchjà, cioè a trovare l'ingaggio giornaliero. Poi le immagini del calendario propongono u Stratòënë dë la Cappëcciàjnë, cioè Corso Margherita di Savoia, cui segue il piazzale di soëp'a Trè Cavaddë, nome alterato di un'estensione incolta che nel secondo Quattrocento e nel Cinquecento era detta semplicemente Terra cavata. Chiudono la galleria u Funnë dë don Garluccë, bassura sotto il ponte della strada campestre Venere-Piscina D'Amato, denominazione già in uso dalla seconda metà del Settecento come Fondo di don Carluccio, e la Pësscina Chëmêunë, dopo la prima guerra mondiale ribattezzata Largo Domenico Picca, ma prima tradizionalmente chiamata Piscina Comune, nome in voga già nel primo Quattrocento per la presenza di una grande cisterna comunale in pietra. L'ideale sarebbe muoversi di persona tra questi luoghi, ma i Molfettesi lontani da casa o impediti dalle intemperie non potranno fare a meno di questo calendario.
Autore: Marco I. de Sanctis
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