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Teatro Alberghiero: successo dell'Elisir d'amore
15 giugno 2014

“Destrutturare un’opera lirica”, mantenendone salva l’essenza e rendendola al contempo fruibile ai giovanissimi è l’impresa meritoria in cui si è cimentato, con successo, quest’anno scolastico, il “Laboratorio di arti sceniche” dell’Istituto Alberghiero di Molfetta, nel corso della XIV edizione della “Giornata dell’Arte e della Creatività studentesca”. In presenza del dirigente scolastico, il prof. Antonio Natalicchio, e di un pubblico nutrito ed entusiasta, è stato rappresentato “Il filtro d’amore”, liberamente ispirato all’immortale “Elisir” di Gaetano Donizetti. Composto in tempi record dal musicista bergamasco, su libretto di Felice Romani, dopo aver esordito sulle scene nel maggio 1832, l’”Elisir d’amore” ha presto ricevuto la definitiva consacrazione tra le opere più celebri del repertorio belcantistico italiano. A curare egregiamente la messinscena sono stati i docenti dell’istituto Adelaide Altamura, Teresa De Leo, Annamaria Russo, Carla Calò e Rosita Napoletano, insieme al prof. Antonio Allegretta, coordinatore musicale, che ha diretto l’ottimo “Alter Chorus” (accompagnato al pianoforte dal maestro Giuseppe Sterlacci) nell’esecuzione dei brani corali dell’opera. Anche gli studenti Torre e Bellifemine, sotto la guida di Allegretta, si sono cimentati con bonomia e autoironia nella graziosa barcarola “Io son ricco e tu sei bella”. Le coreografie, essenziali e coinvolgenti, sono state ideate da Daniela Logrieco e i bei costumi, accanto alla scenografia, sono stati curati dalla professoressa Antonietta Travaglini. Un team, insomma, di docenti entusiasti, che è riuscito a coinvolgere nella realizzazione numerosi studenti del biennio, inducendoli a confrontarsi con un testo non semplicissimo. L’“Elisir d’amore” è una sarabanda di equivoci che vedono irrompere, nella quiete agreste, pregna di motteggi e allusioni erotiche, la passione d’amore, con i suoi sconvolgimenti. Il plot è anticipato nella prima scena, che vede la bella fittavola Adina (Noemi Bellifemine) illustrare a contadini e contadine la trama del romanzo di Tristano e Isotta. L’idea del “galeotto” filtro d’amore suscita un lampo di “genio” nell’ingenuo Nemorino (Valerio Giancaspro), perdutamente innamorato della ritrosa giovane. L’arrivo del millantatore Dulcamara (Francesco Torre) completerà l’opera: egli venderà allo sprovveduto protagonista una bottiglia di buon bordeaux, spacciandola per un filtro magico, in grado, nell’arco di una giornata, di far innamorare qualsiasi fanciulla. La sicurezza datagli dal possesso della “magica panacea” e l’abbraccio dell’ebbrezza cagionano l’effetto di rendere Nemorino più spavaldo; è affettando indifferenza che, gradualmente, indurrà al cedimento la riottosa Adina. Prima di capitolare definitivamente alla legge dell’”amor ch’a nulla amato amar perdona”, la bella cercherà di far ingelosire il contadino, offrendosi - apparentemente - alle lusinghe del piacente e spavaldo sergente Belcore (Giuseppe Marchitelli). A complicare ulteriormente la già ingarbugliata situazione interverrà l’eredità milionaria di uno zio di Nemorino, di cui tutto il villaggio sarà a conoscenza, con l’eccezione del diretto interessato (come sempre avviene), di Adina e di Dulcamara, il quale si meraviglierà di vedere, d’improvviso, tutte le giovinette contendersi l’ingenuo protagonista e arriverà, per assurdo, a credere all’efficacia del suo inutile preparato. Le implicazioni metaforiche ed etiche sono molteplici. Trionfa l’adagio secondo il quale, in Amore, la palma della vittoria spetta a chi fugge ed emerge nitida l’idea che la forza del desiderio e la fiducia in sé stessi possano produrre veri e propri miracoli. Non manca, nel capolavoro donizettiano, un retrogusto di sapore amaro: in certi momenti dell’intreccio, quando le contadine gareggiano nell’attrarre l’attenzione dell’inconsapevolmente ricco Nemorino, sembrerebbe insinuarsi l’assunto che il vero elisir d’amore sia il danaro. Eppure il messaggio si apre a una speranzosa fiducia nella purezza del sentimento: è la “furtiva lagrima”, spuntata negli occhi di Adina in virtù di un amore forse dispettoso, ma limpido, a dirimere il garbuglio e a condurre all’happy end. Vincente la scelta di non eseguire vocalmente la romanza di Nemorino (troppo impegnativa per i giovanissimi interpreti), che, accennata dal pianoforte, mentre la contadina siede, pensosa, in scena, pennella un’atmosfera di struggente malinconia ed emoziona. Un plauso va a tutto il cast, costituito da Antonio Bellifemine, Gianluca Casertano, Alessandro Fucci, Giovanni Gaudio, Simone Lobascio, Stefan Mastandrea, Cristiano Messina e Marco Palombella, nei ruoli di soldati e contadini; dalle “contadine” Giulia Carpiati, Alessia Castellana, Michela Dascoli, Paola De Pinto, Luisa Lacerenza, Simona Matteucci ed Emanuella Salvini; da Domenico Matera, il simpatico aiutante di Dulcamara, e dal trombettista Antonio Capriati. Molto bravi i protagonisti: frizzante e spiritosa risulta Annalisa Amorese nei panni di Giannetta; Giuseppe Marchitelli è assolutamente a suo agio nell’interpretare Belcore e si segnala per la baldanza, la presenza scenica e la dizione curata. Francesco Torre è un bonario Dulcamara, che già nell’artefatto timbro di voce evidenzia la natura giocosamente ingannevole del ciarlatano; Valerio Giancaspro è un Nemorino tenero e sprovveduto al punto giusto; Noemi Bellifemine dona alla fittavola protagonista un’impeccabile grazia ruspante. Così, al termine della pièce, resta l’impressione che, al di là delle fortune economiche, effimero e capriccioso dono di una sorte ambivalente, sia l’Amore di niveo candore la “vera fenice” e l’unico farmaco in grado di alleviare le melanconie esistenziali.

Autore: Gianni Antonio Palumbo
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