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Tatuaggi e piercing: sono davvero innocui?  
15 gennaio 2007

La notizia diffusa recentemente da alcune riviste mediche americane secondo cui ad una ragazza italiana di 21 anni sarebbe stata lesa parte del nervo facciale (trigemino) con l'applicazione di un gioiello alla lingua, ha riacceso le polemiche, peraltro mai del tutto spente, sulla pericolosità o meno di tatuaggi e piercing, tecniche di decorazione ed “ornamento” corporei a cui, solo in Italia, si sottopongono ogni anno migliaia di persone diverse per rango, cultura, età e condizioni sociali. Del resto da sempre operatori sanitari e rappresentanti del mondo scientifico sottolineano i numerosi rischi ad esse legate, sia di carattere tossicologico perché connessi al corretto impiego delle sostanze trattate, sia di ordine epidemiologico, relativi, cioè, alle modalità di esecuzione dei trattamenti nonché alla predisposizione, all'uso corretto ed all'eliminazione dell'attrezzatura utilizzata: non a caso la fonte di trasmissione di malattie come l'epatite B, l'epatite C e l'AIDS è stata spesso riscontrata in pratiche scorrette di questo tipo, vietate anche a chi soffre di allergie ed intolleranze agli inchiostri, di malattie del sangue di ogni tipo ed ai minorenni. Certo è che operazioni di intervento e di “invasione” nel tessuto cutaneo richiedono procedure attente e delicate da parte di operatori competenti e scrupolosi in grado di lavorare in condizioni di estrema sicurezza ma anche da parte delle stesse persone che, non di rado, scelgono di sottoporsi a tali trattamenti in maniera avventata e superficiale facendo magari ricorso al “fai da te” o al sentito dire, non cautelandosi o tutelandosi in alcun modo. Chi si tatua “decora” il proprio corpo con segni, disegni, lettere, simboli e altri motivi attraverso l'impuntura dello strato superficiale della pelle e la successiva iniezione di pigmenti colorati usando una tecnica manuale antica o quella elettrica moderna: in entrambi i casi la pelle viene bucata da un oggetto molto appuntito, generalmente un ago. Un tempo veniva usato un bastoncino che aveva all'estremità uno o più aghi i quali, martellati leggermente per far penetrare le punte intrise di colore nella pelle, producevano un rumore da cui ha avuto origine l'onomatopeia polinesiana “tau tau” ed in seguito l'inglese “tattoo” quindi l'italiano “tatuaggio”. Con il termine inglese “piercing” che vuol dire “forare” si indica; invece, l'applicazione di anelli metallici o altri oggetti in varie parti del corpo attraverso tipologie di interventi più o meno dolorosi: entrambe le pratiche hanno origini remote oltre a motivazioni variamente e strettamente legate a precisi contesti storici, sociali e religiosi di uomini e popolazioni. In tempi assai lontani, ma ancora oggi presso alcune popolazioni “primitive”, il tatuaggio era considerato amuleto contro spiriti malvagi, pericoli e malanni o espressione di fede e devozione o sorta di rito iniziatico, in più poteva diventare segno nobiliare o gerarchico e stabilire ruoli nella società o nell'esercito, marchiare schiavi, prigionieri e criminali. Ma cos'è che tiene viva ed alimenta oggi la moda e la mania del tatuaggio nelle città moderne e nelle metropoli avanzate e tecnologiche, qual è lo spirito che anima gli affollatissimi convegni che periodicamente si svolgono un po' ovunque facendo vendere migliaia di riviste specializzate e portando gli appassionati a decorarsi il corpo in maniera più o meno intensa? Abbiamo deciso di chiederlo ad un tatuatore molto conosciuto ed apprezzato a Molfetta, forse l'unico, il cui studio sito in via Giaquinto, 59 sembra essere assiduamente frequentato a giudicare dal numero di giovani e adolescenti che stazionano lì avanti, osservano i monili esposti nelle vetrinette, s'informano sui prezzi, prendono appuntamento, un po' intimoriti e un po' spavaldi, convinti o speranzosi che un piercing o un tatuaggio li renderà simili agli altri e quindi parte di un gruppo che li riconoscerà ed accetterà. Il tatuaggio, quindi, come segno di riconoscimento e di omologazione, quasi un lasciapassare nell'universo sconfinato e contraddittorio delle mille realtà adolescenziali e giovanili. Alla nostra precisa domanda “Perché ti piacciono i tatuaggi o i piercing?” alcuni non rispondono, altri alzano le spalle un po' infastiditi, altri ancora dichiarano “per moda” o “mi piace essere guardato” oppure “è un modo di comunicare con i miei coetanei”. Un ragazzo che se n'è stato a lungo in disparte e che ha diversi piercing sul volto di cui uno alla lingua dice: “Mi piacciono perché mi fanno sentire meno timido ed imbranato. I miei genitori all'inizio non volevano ma poi hanno capito che non c'è nulla di male: vado a scuola e non mi drogo, quindi….” All'esterno del “body art-tattoo studio” gestito dal signor Vincenzo Petruzzella sono affissi, come per legge, i certificati di autorizzazione rilasciati dalle ASSL di Bari e Molfetta, un elenco dei diritti di chi si sottopone a tatuaggi, l'indicazione a richiedere il modello con il consenso prestampato da far firmare ai genitori in caso di minore età. L'ambiente interno, munito di video-sorveglianza per evitare furti e danneggiamenti, è costituito da una sala d'aspetto, una sala lavoro ed una sala sterilizzazione: quest'ultima fase, molto importante,relativa alle apparecchiature usate, viene effettuata con liquido sterilizzante, vapore (autoclave) ed ultrasuoni. Gli aghi sono rigorosamente monouso e “non si praticano fori con la pistola di nessun tipo, neanche per lobi ad orecchie” per ragioni d'igiene. Il signor Petruzzella, assai restio a parlare di questa attività che svolge da trent'anni anche se è solo da sei che ha aperto lo studio, ribadisce che il tatuaggio è, a tutti gli effetti, una forma d'arte e che oggi incontra un consenso assai diffuso in tutti i ceti sociali, a differenza di un tempo in cui veniva considerato simbolo di emarginazione e trasgressione per certe frange sociali come marinai, carcerati, prostitute. “È una passione che mi porto dentro da quando ero ragazzo e scoprii che mi veniva spontaneo e naturale tatuare così come mi piaceva dipingere quadri. Ho cercato di coltivare nel tempo questa mia attitudine, d'informarmi e di aggiornarmi continuamente per poterla far diventare una vera e propria attività professionale”. Pare che non ci sia una normativa nazionale a riguardo ma solo disposizioni regionali relative alla formazione di chi opera nel settore ed all'indicazione di misure preventive di tipo sanitario. Non esiste neanche un albo professionale ma solo annuari ed almanacchi ed un numero infinito di pubblicazioni contenenti le ultime tendenze, le date ed i luoghi delle convention, pubblicità di materiali ed attrezzature. “Vorrei diffidare la gente - continua il signor Petruzzella - a rivolgersi a persone non qualificate come certe estetiste che vengono qui a carpire informazioni di ogni tipo azzardandosi poi a mettere in pericolo la salute della gente e la reputazione degli operatori seri ed onesti con pratiche improvvisate ed incomplete. Io uso,inoltre, apparecchiature e sistemi di sterilizzazione che molti dentisti qui a Molfetta non hanno, però lavoro tra pregiudizi e diffidenza mentre loro sono considerati seri professionisti.Operare in questo settore non è facile perché si è continuamente attaccati su più fronti. Ad esempio, i colori che si usano oggi in Italia sono più sicuri e non cancerogeni, a differenza di quelli di molte altre nazioni ma ciò non viene mai sottolineato dai media che tendono sempre ad usare toni allarmistici quando parlano del nostro settore. Inoltre vorrei ricordare che, da 10 anni, è possibile cancellare i tatuaggi, basta andare da un dermatologo che 'spolverizzerà' l'inchiostro con un particolare tipo di laser in varie sedute”. Il signor Petruzzella ha molto da fare e ci fa capire che l'intervista si è conclusa. Avremmo voluto chiedergli come può la cultura del tatuaggio, retaggio di ritualità ataviche e primitive, continuare a vivere nelle società moderne ed avanzate, in continua evoluzione, dove regna incontrastata la moda dell'effimero e perché la figura del tatuatore, un po' misteriosa ed indefinita, colpisce così tanto l'immaginario collettivo. Lui non parla, preferisce salutarci in fretta e correre ad imprimere sulla pelle di qualcuno che lo sta aspettando, un segno o un sogno colorato per fermare un ricordo o un'emozione che il tempo, volendo, non scalfirà.
Autore: Beatrice De Gennaro
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