MOLFETTA - La gelosia è una qualità intrinseca di Dio, fuoco che divora e non sopporta altri rivali: qui nascono i nomi con cui è indicata la divinità nel Vecchio Testamento, secondo il prof. Damiano d’Elia, presidente del Centro Culturale Auditorium. Con la conversazione «Io sono un Dio geloso: i nomi di Dio nella Bibbia», tenutasi nell’auditorium di San Domenico, «vogliamo porre le basi per una lettura illuminata dei testi biblici e per avvertire il nome divino quando non è esplicito - ha esordito il prof. D’Elia - oltre a pensare a Dio come grande mistero, a rapportarci a lui per evitare di nominarlo o addurlo come scusante per fini blasfemi e peccaminosi».ù
Nome di dio come esperienza storica. Primo nome della divinità nella Bibbia è la forma plurale «Elohim», probabile residuo politeista perché «è quel dio che si manifesta al popolo tra tutti gli altri dei,venerato in Medio Oriente - ha spiegato il prof. don Sebastiano Pinto (foto), biblista e docente di esegesi biblica alla Facoltà Teologica Pugliese - è il dio nomade dei padri, che non ha un santuario e si muove insieme a coloro che lo venerano». Questo dio si rivela come creatore e dominatore della terra: nella Genesi è «El eliyon» (Dio altissimo), «El sadday» (Dio onnipotente) e «El olam» (Dio eterno).
La liberazione dalla schiavitù dall’Egitto identifica la divinità come guerriero e liberatore d’Israele, che continua a monopolizzare la religione ebraica: «si passa dal politeismo diffuso all’enoteismo, forma di culto intermedia, che prevede la preminenza di un dio senza negare l’esistenza di altri dei che le sono inferiori - ha aggiunto don Sebastiano Pinto - la fede ebraica lega l’esperienza del nomadismo a quella della liberazione». Infatti, nell’Esodo la divinità si rivela come «Elohim», divinità cosmica, e «Adonai» (con cui è letto il tetragramma divino YHWH, altrimenti impronunciabile perché senza vocali), il dio di Mosè, colui che interviene nella storia, forte perché difende il suo popolo.
Da «Adonai» a «Jahvè». Impronunciabile il tetragramma divino (il nome di Dio non poteva essere pronunciato, dunque se ne perse nel tempo la forma verbale), su questo furono inserite le vocali di «Adonai», uno spostamento illecito per ottenere «Jahova» (attuale Geova).
«È evidente che il nome di Dio sia legato al suo essere e agire nella storia, non al suo essere anagrafico - ha sottolineato don Sebastiano Pinto - infatti, dopo la liberazione dall’Egitto la sua denominazione esprime un dio che libera il popolo e combatte direttamente». Dopo l’esilio babilonese (spoliazione del culto), si ripensa la figura della divinità e si ricerca una fede più autentica: «è il passaggio a monoteismo, perché la sconfitta contro i Babilonesi e la deportazione sono letti dagli ebrei come la ponunizione di dio per aver adorato altre divinità e idoli - ha continuato - è un dio che gli appartiene (esclusivismo giudaico, ndr), un dio geloso, esigente, che ha scelto il suo popolo e non tollera concorrenza». Una novità assoluta, eredita dal Cristianesimo.
«Joshua», rivelazione cristiana. «Dio salvatore», l’epiteto del Nuovo Testamento, traslitterato in «Iesus» (da «Joshua», dio è salvezza): «Gesù raffina teologicamente Dio, compiendo le promesse dell’antico testamento - la chiosa di don Sebastiano Pinto - non è il dio punitore di Giovanni il Battista, bensì colui che salva dalla schiavitù del peccato». È il «dio con noi», l’«Emmanuele»: la divinità è esperienza storica di liberazione (cammino di fede) e Gesù è il dio-persona che ha rivelato la volontà di salvezza universale.
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