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Successo della Tosca a Molfetta disturbato da un pubblico incivile, tra cicaleccio e forchettate!
24 agosto 2010

MOLFETTA - Ancora all’insegna della grande musica l’estate molfettese 2010. Per i palati musicali più raffinati, amanti della lirica, le armonie dissonanti e l’incisività tagliente della Tosca, melodramma di Giacomo Puccini in 3 atti, in scena sul sagrato della Cattedrale di Molfetta. La Fondazione Vincenzo Maria Valente ha ampliato gli sforzi anche su questo fronte musicale, con la collaborazione dall’Associazione «La Macina» e dall’Accademia Dvorak e il patrocinio del Comune di Molfetta (contributo di 10mila euro, al cap. 22382 del bilancio 2010).

Primo atto col botto: più di 2mila persone in un fazzoletto di strada, tra passanti, curiosi e amanti della musica lirica. Potato il pubblico nel secondo atto, è migliorata la fruizione e il silenzio per l’ascolto.
 
Contesto scenografico simbolista, elaborato dal regista Luigi Travaglio: la facciata della Cattedrale è parte scenica integrante della chiesa di Sant’Andrea della Valle (atto primo), con la cappella-rifugio per l’Angelotti, la statua della Madonna e il quadro dipinto dal Cavaradossi; palazzo Farnese (secondo atto), con il suo interno sontuoso con prospettiva verticale, poltrone e dormeuse di velluto rosso, lo scrittoio del barone Scarpia; la costruzione in mattoni poderosa di Castel Sant’Angelo (terzo atto) inonda la scenografia, luogo dell’esecuzione del Cavaradossi e del suicidio di Tosca.
Intelligente messa in piedi dell’inedito palcoscenico, anche se il pubblico avrebbe preferito un palco più alto e uno sviluppo lungo tutto il Corso Dante dal sagrato del Purgatorio, per maggiori posti a sedere e migliore visibilità.
Seguite le indicazioni del libretto, in modo da gustare l’originale, senza alcuna variazione. Parimenti scene e costumi stile impero. Chiarezza nello svolgimento drammatico: Cesare Angelotti, fuggito dalla prigione di Castel Sant’Angelo, durante la guerra tra truppe napoleoniche e papaline, si rifugia nella chiesa di Sant’Andrea della Valle ed è accolto dall’amico pittore Mario Cavaradossi.
Tra tensione e gelosia, dopo l’arresto di Cavaradossi con l’accusa di tradimento per aver concesso asilo all’Attavanti, Tosca accetta le avance di Scarpia, capo della polizia pontificia: l’amante pittore sarà fucilato con armi caricate a salve. Mentre Scarpia scrive un salvacondotto per la donna e il suo amato, Tosca sconvolta dall’odio, lo uccide. Intenerita, gli pone accanto due candele e gli posa sul petto un crocifisso.
Cavaradossi è condotto alla fucilazione, ma, prima dell’esecuzione, cerca di scrivere un biglietto d’addio alla sua amata. Tosca, gli si avvicina, gli fa vedere il salvacondotto e gli confessa di aver ucciso Scarpia, avvisandolo della falsa fucilazione. Freddato Mario Cavaradossi, dopo essere stata accusata dell’omicidio di Scarpia, Tosca si getta dal castello.
 
Molti i fili musicali tessuti dall’orchestra e dal Coro di Bitonto diretti dal M° Nicola Marasco. Volume al suono, con i sentimenti e le atmosfere che la musica magistralmente sa esprimere. Lettura musicale moderna ed equilibrata, capace di far percepire al pubblico le cupezze e le trasparenze, le zone d’ombra e di luce di ogni personaggio. Non secondario il gioco delle luci, giusto risalto alle scene e alle azioni dei cantanti.
A mezzo servizio le casse, che per tutta l’esecuzione dell’opera hanno prodotto un irritante fruscio di fondo.
Nel ruolo della Tosca il soprano Marilena Gaudio, tra il leggero e il drammatico: temperamento e uso sapiente del mezzo vocale la impongono al pubblico, colori e sfumature curati nel dettaglio fino al palpito di una sillaba o un gesto. Affascinante il «Vissi d’arte», quasi in punta di labbra, e un finale d’atto cupissimo, nei toni nerissimi della disperazione e del terrore. Dario Divietri (Mario Cavaradossi) tenore dalla voce generosa, potente per un’efficace prestazione. Sincera passione e nuances coloristiche nel terzo atto per «E lucevan le stelle», epifania dell’interiorità del personaggio.
Voce scura ed espressiva per il baritono Gianfranco Cappelluti (barone Scarpia), presenza minacciosa negli occhi degli spettatori. Accento misterioso tra le labbra del basso Dante Muro (Cesare Angelotti). Completano il cast Onofrio Salvemini (Sciarrone, basso), Pietro Barbieri (sagrestano, basso), Pantaleo Metta (Spoletta, tenore) e Annalisa dell’Aquila (pastore, voce bianca).
 
Scommessa riuscita: a Molfetta solo in parte. Per palati musicali raffinati, amanti della lirica: solo pochi, se si è abituati alle sagre, ai panini, alle birre. Al pubblico occorre un teatro e un biglietto a pagamento per pesare l’importanza di un evento culturale.
A ridosso della muraglia, forchettate e bicchierate, qua e là cagnesche arrabbiature per un’ostruzione visiva e un posto, prenotato dal parente, ma poi perso, inutile e fastidioso chiacchierio.
Ben vengano allora le iniziative della Fondazione Valente e del suo presidente, dott. Pietro Centrone, per spiegare che un’opera lirica così espressiva e storica richiede silenzio, intenso ascolto, emozione, sensibilità, non certo le risatine di alcuni, i versi da pappagallo di altri, il cicaleccio dei magnaccioni.
 
 
© Riproduzione riservata
 
Autore: Marcello la Forgia
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