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Storia di un garibaldino
15 luglio 2011

All’alba del 23 giugno 1866 si suicidava in Molfetta il colonnello garibaldino Eliodoro Spech, Comandante dell’8° Reggimento del Corpo Volontari Italiani, di stanza nella nostra città, e in procinto di partire per il fronte della Terza Guerra di Indipendenza. Questo fu il tragico epilogo di una vita spesa interamente per la musica e per l’Italia, narrataci dal nostro Marco Ignazio de Santis nella sua ultima fatica: “Un amico di Garibaldi: Eliodoro Spech, cantante, patriota e soldato”, edita a Molfetta dalla Inprinting. Nato a Bologna nel 1810 da Giuseppe e Maddalena Pietralia, entrambi cantanti lirici, l’ambiente familiare e l’educazione ricevuta lo condussero quasi naturalmente a calcare da giovanissimo le scene del dramma lirico, insieme alla sorella Adelina, che sposò nel 1834 il famoso tenore Lorenzo Salvi, abbandonando qualche anno dopo l’Opera, per dedicarsi interamente all’insegnamento del bel canto. Per circa un quarto di secolo Eliodoro si esibì nei teatri di mezzo mondo, senza eccellere, ma esercitando con grande studio e dignità la propria arte, riscuotendo più volte discreto successo. Bisogna dar atto a de Santis di aver condotto una ricerca di grande originalità e diffi coltà. È noto infatti che la storia del melodramma ottocentesco italiano, che abbracciò due continenti, coinvolse centinaia di artisti e impresari, e che suscitò deliranti consensi, è ancora tutta da scrivere. La ricerca dello studioso, condotta su decine di testi e periodici, la maggior parte stranieri e di diffi cile reperibilità, ci introduce, grazie agli ingaggi di Eliodoro, attraverso la Spagna, il Portogallo, l’Uruguay, la Russia, gli Stati Uniti, Cuba, Messico, in un universo di forti e spesso fragili sensibilità emotive e aff ettive, dove i confi ni fra vita e arte diventano labili, e dove il destino di un tenore o di un soprano si gioca tra un grande applauso e un tragico fi asco. Ma in quell’ambiente di artisti, e in quel periodo, si agitava oltre la musica un altro demone, quello della politica, che voleva dire nazione, indipendenza, libertà. Interpretando le cosiddette opere verdiane “patriottiche”, ma non solo quelle (pensiamo soltanto ai cori della “Norma”), le Compagnie italiane suscitavano entusiasmi e veicolavano in quei teatri idee di rivolta. E non pochi degli stessi musicisti, per autonoma convinzione, o forse per infl usso della materia della quale quotidianamente si nutrivano, si imbevvero di quegli stessi ideali che aleggiavano fra le note, li trasfusero nel proprio sentire, li trasportarono dall’arte alla vita. Eliodoro Spech fu tra quelli. Dobbiamo purtroppo delineare sommariamente una vita avventurosa che, come quella di altre migliaia e migliaia di giovani di quegli anni, sembra condotta con lo stesso ritmo e passione dell’Ouverture de “La Forza del Destino”, autentico ed inimitabile Inno del nostro Risorgimento. Nella primavera del 1843, mentre canta in Spagna, partecipa alla difesa di Granada, assediata dal dittatore Espartero, e viene per questo decorato. Nell’estate del 1846, aggregato alla Legione Italiana, combatte in Uruguay contro gli assalitori argentini. Probabilmente in quell’occasione conosce Garibaldi. Nell’aprile dell’anno dopo, incontra a Londra Giuseppe Mazzini. Il 27 ottobre del’48, volontario nel 1° battaglione della Legione Bolognese, partecipa alla battaglia di Mestre contro gli austriaci. Il 15 giugno del ’49, accorso in difesa della Repubblica Romana, riprende di slancio il ponte Milvio, scacciandone i francesi e restando ferito. Dopo pochi mesi la Rivoluzione è sconfi tta in Europa. Inizia in Italia quel decennio che fu detto di preparazione, durante il quale si consolidò l’insanabile dissidio tra moderati e democratici, imperniato soprattutto sul rifi uto di quest’ultimi di delegare ai Savoia l’egemonia del moto unitario, ed inasprito dal passaggio di campo di molti repubblicani. Eliodoro torna nei teatri, si sposa nel 1851 con la cantante Sidonia Costini, riannoda e rinforza i suoi contatti con Garibaldi, incontrandolo in diversi paesi, e divenendone intimo e fi dato amico. Condivide con il nizzardo, eletto vice presidente della Società Nazionale Italiana, l’adesione al programma sabaudo, e si distacca da Mazzini e dal suo Partito d’Azione. Intanto la guerra incombe. Nominato sottotenente, Eliodoro è aggregato al 1° Reggimento Cacciatori delle Alpi, comandato da Enrico Cosenz. Il 15 giugno 1859, a Treponti, copre con grande coraggio una precipitosa ritirata degli uomini di Istvan Turr, e salva l’onore dei Cacciatori sotto gli occhi ammirati di Garibaldi. E siamo ai Mille. Eliodoro, rimasto in forza all’esercito sardo, non fu tra gli uffi ciali che l’Eroe richiamò per il primo imbarco: ne rimase profondamente deluso, ma non recriminò mai con il Generale. Il 2 luglio 1860, col grado di capitano, si imbarcò da Genova con la spedizione Cosenz. Si distinse a Milazzo, combatté eroicamente a Solano, in Calabria, e il 2 ottobre, tenente colonnello del 2° battaglione della Brigata Assanti, fu al Volturno. L’immediato scioglimento dell’esercito meridionale garibaldino, ed il mancato riconoscimento dei suoi meriti militari, sdegnano Garibaldi e lo inducono a tornare a Caprera. Anche Spech tornerà a Millesimo, piccolo centro montano piemontese che aveva eletto da anni a sua dimora: il suo matrimonio era ormai fallito da molti anni. Non parteciperà al doloroso fatto di Aspromonte, mirabilmente raccontato da Martone nel suo fi lm “Noi credevamo”, e vero spartiacque del Risorgimento. Negli anni che seguirono, il nostro tornò spesso a Caprera, con immutata fedeltà al suo Generale. E siamo all’epilogo. Il 6 maggio 1866 un regio decreto, in vista dell’imminente guerra all’Austria, istituiva il Corpo Volontari Italiani e nominava una Commissione per l’arruolamento degli uffi ciali garibaldini. Eliodoro Spech, promosso colonnello, per espresso volere di Garibaldi ebbe il comando dell’8° Reggimento Volontari di stanza a Molfetta. De Santis delinea da par suo il prologo del dramma: il pessimo equipaggiamento dei volontari, l’armamento scarso e desueto, la disorganizzazione dei comandi, il malcelato sabotaggio delle autorità militari regie, la confusione nello scaglionamento delle partenze. Il 22 giugno Menotti Garibaldi, amatissimo da Eliodoro, parte da Molfetta per il fronte alla guida dei suoi battaglioni. I suoi uomini hanno in dotazione i fucili già destinati all’8° Reggimento di Spech, che ne resta sguarnito. All’alba del giorno dopo, Eliodoro si suicida in casa Pappagallo, al numero 31 dell’attuale Via Margherita. Delusione per l’aff ronto subito dal fi glio del venerato Comandante? Timore di non essere all’altezza in una situazione di grande confusione? Una forte depressione? Non lo sapremo mai, né lui volle che si sapesse, restando fedele alla consegna di soldato e alla Causa di garibaldino. Raccomando a tutti la lettura di questo pregevole volume di Marco Ignazio de Santis. Ricerche come questa, condotte con rigore storico ed equanimità, scevra da intenti agiografi ci, dissolvono le imposture del revisionismo e ridanno dignità e Memoria a migliaia di giovani caduti per la Democrazia. Con un monito anche per il presente: perché i regi fucili di Aspromonte sono sempre carichi e puntati.

Autore: Ignazio Pansini
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