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Sicuri da morire: Linea5 ricorda a un anno dalla tragedia della Truck Center
07 marzo 2009

MOLFETTA - Rabbia, amarezza, ma anche tanta voglia di capire, nella sala conciliare “G. Carnicella” del municipio di Molfetta. All'iniziativa organizzata dall'associazione culturale Linea5 dal titolo “Sicuri da morire” erano presenti i familiari delle vittime della tragedia della Truck Center, da cui è passato un anno. Morti bianche dunque, di cui spesso i giornali parlano, cavalcando l'onda della pressione mediatica, e che tuttavia nel tempo sfumano, e vengono dimenticate, spiega il presidente dell'associazione, Onofrio Pappagallo (in foto, partendo da sinistra: il giornalista RAI Francesco Votano, Daniela Bellino, Onofrio Pappagallo e Ernesto Palatrasio). “L'iniziativa ha lo stesso nome di un anno fa, poiché le cose non sono cambiate, e la situazione dei lavoratori continua ad essere precaria, come lo era già in precedenza”. La necessità diviene quindi non solo di commemorare, ma di ricordare, discutere, “verificando ancora la mancanza di norme di sicurezza, che si potranno sensibilizzare le istituzioni e la popolazione del luogo, per far capire l'importanza del problema”, dalle parole di Vito Panunzio, socio dell'associazione. A parlare ci sono la madre e il padre di Biagio Sciancalepore, morto nella cisterna della Truck Center all'età di 24 anni, a esprimere il loro dolore per una vicenda su cui ancora non c'è chiarezza, ma soprattutto “l'amarezza per l'inerzia da parte delle istituzioni”. (nella foto, i familiari delle vittime) È stato presentato il documentario di Daniela Bellino, dal titolo “Legami d'acciaio. 626 dove sei…? ”, in riferimento al decreto legge 626 introdotto nel 1994 per regolamentare la sicurezza sul posto di lavoro. Nel documentario, girando l'Italia, dalle Marlane di Praia a Mare fino a Torino, vengono raccolte storie, testimonianze, riflessioni di ex operai e familiari di vittime. L'autrice commenta: “Perché girare questo documentario? Perché troppa retorica è stata fatta sugli incidenti sul lavoro, e nonostante tutto continuano ad esserci morti. Volevo entrare nelle case delle persone, e parlare con gente la cui vita è stata sconvolta, vedere come le aspettative di vita, i progetti, vengano infranti in fabbrica”. Ha proseguito l'autrice: “Non voglio che si tiri in ballo la fatalità. Davanti a noi ci sono delle vite infrante, persone che devono convivere con un vuoto, e persone che devono convivere con malattie dai contorni struggenti. C'è molta retorica negli incidenti del lavoro, e ho cercato di fare un percorso nella quotidianità in questi eventi”. Franca Caliolo (nella foto), vedova di Antonino Mingolla, operaio di Mesagne, morto per una fuoriuscita di gas all'Ilva di Taranto il 18 aprile 2006, ha ricordato come in tre anni, solo adesso si svolga l'udienza preliminare per il processo della morte di suo marito. Dalle sue parole, ricorda come “molto spesso questi sono processi che si trascinano per anni e che dopo sette anni e mezzo vanno in prescrizione”. Problemi che agitano molte altre organizzazioni, soprattutto al Sud, “la Puglia nei primi mesi di quest'anno, è la regione italiana che ha avuto più morti sul lavoro”, secondo Ernesto Palatrasio, della Rete Nazionale Sicurezza sui Posti di Lavoro: “Questo sistema ci porta a considerare il lavoro non come affermazione, crescita umana e professionale, perché sui posti di lavoro si sta male. Le fabbriche utilizzano gli operai come automi. Venendo meno i legami di solidarietà operaia, per interessi di contrasto, i risultati sono le morti. La rete si è stesa mettendo in comunicazione i lavoratori, attivisti familiari, perché il problema dei morti sul lavoro è percepito nella stessa maniera: necessità di avere giustizia e offrire garanzia, per chi va a lavorare, di tornare a casa”. Ha continuato Palatrasio: “Mio figlio l'ho perso ormai, ma non voglio che accada per tanti ragazzi. Ritardare l'applicazione della sicurezza sul posto di lavoro, è costituire nuovi pericoli, la legge 626 di fatto non c'è. Non si può parlare di fatalità, perché in quella fabbrica e in molti altri posti di lavoro è prevedibile che ci possano essere dei morti” . Ha rammentato poi la difficoltà di svolgere il dovere di rappresentanti per la sicurezza in fabbrica, poiché spesso si viene isolati dai sindacati e dalla fabbrica, cercando di celare i reali problemi e le reali cause di morte. Il processo per la Truck Center inizierà il 28 aprile, ma ci sono molti altri casi in cui i processi iniziano con notevole ritardo, magari spesso per una questione di rilevanza mediatica. Palatrasio ha parlato anche degli organi di controllo, “gli ispettori del lavoro guadagnano, coprono le aziende e le avvisano prima dei controlli. Pochi ispettori fanno il loro mestiere e vengono isolati. Per l'ILVA esistono solo tre ispettori sul lavoro, e ricevono pratiche inutili, come controllare se gli operai in cassa integrazione svolgono un altro lavoro”. L'importanza della sinergia, tra le organizzazioni, i lavoratori stessi, e i familiari delle vittime, in questo momento è fondamentale, perché oggi, dopo tante parole spese, in fabbrica si muore.
Autore: Corrado la Martire
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