di Paola Natalicchio
Autunno 2000. Il vento della trasformazione scompiglia i corridoi vetusti delle scuole italiane. E’ suonata, infatti, la campanella dell’autonomia, quell’autonomia tanto contestata dai movimenti studenteschi dell’ultima generazione, ma che alla fine è arrivata comunque, inevitabilmente, ad attuare gli intenti messi nero su bianco dalla Riforma Berlinguer. Ed è arrivata con le sue regole e con le sue scadenze. Nonché accompagnata da uno slogan che incute timore e mette in agitazione gli addetti ai lavori. “Il pesce più grande magia il pesce più piccolo”. E’ così, indiscutibilmente così, e non resta che correre ai ripari.
Più finanziamenti agli istituti popolari
Accade, innanzi tutto, che la partita dell’autonomia si giochi sui finanziamenti che ogni istituto ottiene dallo Stato, una cospicua parte dei quali sono “per alunno”. Ciò comporta che l’istituto più popoloso avrà più finanziamenti di quello meno popoloso, che si tradurranno, come è logico, in maggiori potenzialità di investimento. Potrà organizzare un numero maggiore di attività extracurriculari, acquistare più computer e più abiti per la rappresentazione teatrale di fine anno, invitare più soggetti esterni per una migliore offerta formativa. Inoltre, in un secondo momento, nessuno esclude (anzi la profezia generale guarda proprio in questa direzione) che l’istituto che avrà operato meglio e avrà lasciato passare un’immagine di sé molto più appetibile sul mercato, possa avvicinare partner esterni che potrebbero sovvenzionarlo ulteriormente, o come si dice in gergo “sponsorizzarlo”, aiutandolo a compiere un passo in avanti rispetto a chi, per un motivo o per un altro, “non riesce a tenere l’andatura”.
Il piano Fitto
Accade, inoltre, che dal 1° settembre tutte le scuole sotto le 500 unità non hanno più diritto di sopravvivenza e devono accorparsi ad altri istituti che permettano loro di “essere a norma”. C’è stata, quindi, un’operazione formale (che ha avuto, però, ricadute decisamente sostanziali) propedeutica all’autonomia, di dimensionamento scolastico, della quale per la Regione Puglia (il cui Consiglio Scolastico ha versato in gravi difficoltà) si è occupato Raffaele Fitto, nelle vesti di commissario ad acta.
Il piano generale di dimensionamento stilato da Fitto, che ha coinvolto le scuole elementari, medie e superiori, è stato approvato il 2 agosto e attuato di conseguenza nelle settimane seguenti dai Provveditori agli Studi provinciali, che si sono limitati a darne esecuzione.
Status quo nelle elementari
Nel caso delle scuole elementari, il piano ha operato seguendo quasi sempre un criterio di verticalizzazione con le scuole medie. Ciò vuol dire che in molti casi una elementare è stata accorpata, piuttosto che ad un’altra elementare, ad una media. La finalità evidente di questo tipo di operazione è quella di rendere “indolore” l’imminente riforma dei cicli del 2001. Non è, tuttavia, questo il caso di Molfetta, dove sono rimasti in vita i 5 circoli didattici elementari (Manzoni, Battisti, San Giovanni Bosco, Rione Arbusto e Scardigno) e le quattro scuole medie (Pascoli, Giaquinto, Savio e Poli) dell’anno precedente.
Accorpati i due licei
Nel caso delle superiori, invece, il Piano Fitto ha proceduto seguendo un criterio puramente numerico, e quindi congiungendo sotto un’unica dirigenza (unico preside) gli istituti meno popolosi. Quasi sempre si è trattato di unire fra loro i licei, in netto decremento, come è accaduto a Molfetta, in cui sono stati accorpati (tornando alle origini) i due “rivali storici” della cittadina, il Classico “Da Vinci” e lo Scientifico. Dando vita ad una pioggia di polemiche che da giorni coinvolgono studenti, docenti, famiglie e, non ultima, la preside, la professoressa Maria De Palma, designata all’arduo compito di gestire al meglio le sorti dei due istituti in crisi della cittadina Classico e Scientifico in declino.
E’ cosa nota che da qualche anno a questa parte i due Licei “storici” molfettesi non versino affatto in buone acque. Questo, è bene specificarlo, è un dato assolutamente in linea con le tendenze nazionali e quindi non imputabile solo a fattori “locali” e contingenti legati ai due istituti molfettesi. E l’analisi, in merito, è lineare. Nel bombardamento continuo che subiamo dai mass media sull’esigenza di metterci al passo con la new economy e con le istanze del villaggio globale, una cultura che strutturalmente privilegia le umanae litterae o la “matematica pura” alle lingue o a internet è di per sé reputata perdente. Giudizio assolutamente discutibile, che richiederebbe una approfondita analisi, purtroppo proposta solo di rado.
Resta il fatto che a Molfetta i due licei in questione siano in declino, e siano stati, come detto, gli unici istituti costretti all’accorpamento. Il Classico “Da Vinci”, in particolare, vive una situazione assolutamente critica. Anche quest’anno si sono con fatica costituite solo due nuove sezioni (si sono perdute, quindi, tre sezioni in tre anni) e questo viene ulteriormente a penalizzare l’immagine esterna del Liceo, già di per sé provata dalle insistenti voci che circolano, almeno da due anni, sul suo conto. Voci pesanti, vere o presunte che siano, ma che mortificano l’operato di una docenza rispettabile, già di per sé in difficoltà, ma da cui il Liceo non riesce a difendersi.
Studenti demotivati
Si è parlato perfino di voti “gonfiati” per incentivare le iscrizioni, di un ambiente interno immobile, che demotiva fortemente gli studenti, di un decremento dell’afflusso di studenti forestieri, che prima accorrevano da Terlizzi, Bisceglie e Giovinazzo alla ricerca di una scuola da sempre reputata “di prestigio” e che ora, invece, cercano altre soluzioni. Se a questo si aggiunge qualche scelta poco mirata nella promozione di sé (puntare poco su un’offerta culturale completa e a 360 gradi, a favore di iniziative criticate dall’opinione pubblica come il Millennium Party), e una dirigenza spesso discussa, non sorprende che i conti non tornino. Non avendo raggiunto le 500 unità, il Liceo Classico è stato accorpato, tra le polemiche, allo Scientifico, altro istituto, negli ultimi tempi, in declino.
La concorrenza del Tecnologico
Quest’ultimo ha formato, rispetto al 1999, una sezione in meno, scendendo a cinque, e dimostrando palesemente di soffrire soprattutto la concorrenza del vicino Liceo Tecnologico, “ospitato” dall’I.T.I.S. (Industriale) “Ferraris”, che invece ha festeggiato la formazione di due sezioni in più dell’anno scorso. Che al Tecnologico non ci sia il latino, a favore di un più approfondito studio delle lingue e dell’informatica, può essere una spiegazione.
Ma onore al merito va anche al professor Salvatore Colonna, dirigente scolastico anche quest’anno riconfermato, per alcune scelte innovative che il “Ferraris” sta compiendo già da qualche anno, dai corsi di lingue pomeridiani con rilascio di attestato e aperti all’esterno ai corsi post diploma, a laboratori di teatro e informatica reputati vox populi di ottima qualità. La speranza di noi vecchi “nostalgici”, paladini di un’offerta didattica che per molti ha fatto il suo tempo, resta tuttavia quella che, come per la telefonia e per i trasporti aerei, la concorrenza faccia bene e ben riflettere sulla pianificazione d’offerta formativa i soggetti a cui la rinascita di Classico e Scientifico è affidata.
La rivincita di arti e mestieri
Sulla scia del “Ferraris”, un trend positivo di iscrizioni permane in tutte le scuole di matrice professionale cittadine. Buoni dati sembrano registrare l’I.T.C.G (Tecnico Commerciale e Geometra) “Salvemini”, diretto da Giuseppe Morrone, bene l’I.P.S.C. (Professionale per il Commercio) “Mons. Bello”, diretto dal professor Giorgio Felicetta e l’I.P.S.I.A.M. (Attività Marinare), diretto dal professor Pasquale Gagliardi. Un vero e proprio boom di iscrizioni, poi, all’I.P.S.S.A.R. (Alberghiero), che forma ben 16 nuove classi, dove arriva il nuovo preside, professor Rino De Pietro, ad incarico annuale. Cambio di dirigenza anche al Magistrale “Fornari”, dove termina ( si dice con sollievo) l’epoca Gelao, e arriva il professor Filippo Elia.
Non è inutile fare l’elenco dei dirigenti scolastici degli istituti superiori molfettesi. Saranno loro, infatti, i nuovi “presidi-manager”, a dover assolvere al compito non facile di gestire la trasformazione in corso. E ogni errore di troppo, a partire da adesso, sarà una mossa sbagliata sulla scacchiera, che potrebbe costare pedine importanti.