Tosca Tantini nacque a Bologna il 16 novembre 1913. Nel 1930 raggiunge in Francia il padre, già espatriato per motivi politici. Nell’agosto del 1936 è in Spagna con il fratello Ferruccio, per battersi contro i ribelli fascisti di Franco. I due, di fede anarchica, si arruolano nella Sezione Italiana della Colonna “Fraancisco Ascaso”, organizzata dalla CNT-FAI di Barcellona. Tosca combatte in prima linea nelle battaglie di Huesca e Almudevar; nel primo di questi scontri cade il suo compagno Bruno Gualandi. Si reca spesso a Parigi per contatti con il Centro Libertario Francese. Nel maggio del ’37, insieme a Fosca Corsinovi, è testimone dell’arresto a Barcellona di Camillo Berneri e Francesco Barbieri da parte di agenti stalinisti. La Corsinovi, compagna di Barbieri, militava anch’essa nella “Ascaso”, sul fronte di Aragona. Berneri e Barbieri saranno ritrovati alcuni giorni dopo crivellati di colpi. Alla fine di quell’anno, Tosca torna in Francia, dove, secondo alcune notizie, sarebbe morta il 29 marzo 1940. Ma la notizia non è sicura. Il 27 dicembre 1936, Tosca aveva inviato da Parigi una lettera al Comitato Anarchico di Difesa di Barcellona dalla quale riportiamo qualche stralcio: «Certo, bene sarebbe che un fronte unico proletario per una socializzazione e cooperazione fraterna si realizzasse, e forse se i capi dei partiti ambiziosi di potere e vanitosi non mettessero il becco, sono certa che la classe operaia riuscirebbe ad accordarsi in una fraterna collaborazione… Nel caso dovessi essere utile, nelle mie modeste capacità, in un prossimo avvenire costì, scriveteci che si verrà, sebbene non sia un guerriero, non avendo mai preso un fucile nelle mani, ma so bene che ci sono tanti altri lavori necessari nella Rivoluzione… pregovi portare i miei sentiti fraterni saluti di solidarietà, come pure senza distinzione e parzialità a tutti i combattenti ed interessati al movimento rivoluzionario, a tutti i sinceri di tutti i partiti che lottano per una causa comune, e per l’abbattimento del mostro fascista. E’ inutile che mi dilunghi. Salutandovi tutti fraternamente, e sempre per la nostra causa di Giustizia e Libertà. Vostra Tosca». Segue ora una brevissima premessa storica. Come è noto, alla notizia della sollevazione di Franco, il 18 luglio 1936, ci fu in Spagna una immediata reazione popolare che, almeno a partire dalla distribuzione delle armi al popolo da parte del Governo, riuscì a contrastare l’avanzata dei ribelli, che avevano inaugurato la loro “crociata”, fucilando cinquemila prigionieri civili dopo la conquista di Badajoz. Da quel momento in Spagna non si fecero più prigionieri. Le numerose Colonne anarchiche, quali la “Ascaso”, la “Durruti”, e la “Ortiz”, raggiunsero il fronte di Aragona, sostenendo il primo urto e difendendo eroicamente le posizioni, pur inferiori di uomini e mezzi. Insieme ai libertari, si schierarono dopo qualche esitazione gli aderenti al POUM (Partido Obrero de Unificacion Marxista), una formazione politica comunista trotzchista indipendente ed in forte contrasto con Mosca. Il partito comunista spagnolo, filosovietico, in quel momento molto debole, stava fermo, ed aspettava come al solito gli ordini del baffone del Cremlino, allora occupatissimo a pianificare il massacro di decine di migliaia di comunisti, veterani della rivoluzione del ’17. Nelle colonne anarchiche che accorsero ai diversi fronti, erano presenti moltissime donne. In coerenza con uno dei fondamenti della concezione libertaria, la parità di genere, vollero essere inquadrate con le stesse divise, le stesse armi, e gli stessi compiti degli uomini. E così le possiamo vedere in migliaia di foto scattate in quei mesi, e conoscere nelle testimonianze dei giornalisti e scrittori stranieri che accorsero in Spagna per arruolarsi, o come semplici corrispondenti di guerra. Agli inizi del 1937 alcune disposizioni governative vietarono la presenza femminile nelle formazioni di prima linea, accampando necessità sanitarie, di sussistenza, e in altre attività di supporto alle attività operative. Nelle Brigate Internazionali, a prevalente influenza comunista, non vi furono miliziane. Quest’ultime si ostinarono a combattere nei battaglioni misti, dove la presenza anarchica era consistente. Fra le libertarie italiane che si arruolarono nelle colonne anarchiche, ricordiamo Armida Prati ed Emilia Napione. La prima, nata in Francia da una famiglia italiana il 24 gennaio 1918, si arruola nella sezione italiana della Colonna “Ascaso”, e partecipa in prima linea a varie operazioni militari come servente di artiglieria. Dopo i fatti di Barcellona, cui accenneremo, lascia la Spagna e raggiunge prima la Francia e poi il Belgio. Si allontana da Bruxelles nel marzo del 39 e da quel momento non si hanno più notizie di lei. La seconda, nacque nel 1901 in Svizzera da famiglia italiana. Più volte arrestata nel primo dopoguerra per attività sovversiva, espatria clandestinamente in Francia nel 1923. Inizia allora per lei una inesausta peregrinazione in numerosi paesi d’Europa e del Nord Africa. Nel 1936 accorre in Spagna e si arruola nella Colonna “Ortiz”. Nel 1937 è costretta a partire dopo aver scontato cinque mesi nelle prigioni del governo spagnolo ormai filocomunista. A differenza delle Brigate internazionali, le formazioni anarchiche, finché restarono autonome, e cioè fino alla primavera del 37, non ebbero dei registri di arruolamento e di servizio, in base ai quali poter ricostruire la consistenza, la nazionalità, la durata della permanenza e la sorte di propri combattenti. Questo è dovuto in parte alla fretta con la quale si formarono le colonne per accorrere a fermare i fascisti, in parte alla mentalità libertaria, radicalmente ostile a qualsiasi forma di coercizione fosse pure l’obbligo di restare nel proprio reparto se il comandante fosse ritenuto autoritario. Si verificarono così gravi episodi di indisciplina, conditi magari da sberleffi ed insulti nei confronti di ufficiali ritenuti incapaci o politicamente sospetti. Di questo approfittarono naturalmente i comunisti per imporre alle Colonne, anche con le armi, di sciogliersi, e di confluire nelle Brigate internazionali, o nei reparti dell’esercito regolare repubblicano. Torniamo ora a Tosca Tantini, ed alla sua testimonianza sull’arresto di Camillo Berneri. Questi era nato a Lodi il 20 maggio 1897. Dopo una breve adesione al socialismo, maturò quelle convinzioni anarchiche che mantenne per tutta la vita. Nel 1919, ancora in servizio militare, fu confinato a Pianosa, in occasione dello sciopero di quello stesso anno. Iscrittosi all’Università di Firenze, si laureò in storia discutendo la tesi con Gaetano Salvemini. La sua attività antifascista lo costringe ad espatriare e a pellegrinare per l’Europa, insieme alla moglie Giovanna Caleffi, ed alle figlie Maria Luisa e Giliana. Nel luglio del 1936 è a Barcellona, dove, insieme a Carlo Rosselli e Mario Angeloni organizza la Sezione Italiana della Colonna “Francisco Ascaso”, che combatte a Monte Pelato, presso Huesca. Fisicamente inadatto alla vita del fronte, ritorna a Barcellona, e vi svolge una intensa attività politica e pubblicistica. Nel maggio del 1937 vi fu nella capitale catalana un violentissimo scontro armato fra due fazioni contrapposte nel campo antifascista. Da un lato la CNT e la FAI, anarchiche, e il POUM, uniti nella persuasione che la rivoluzione sociale fosse essenziale per vincere la guerra, dall’altra i comunisti filosovietici e i nazionalisti catalani, convinti che l’ordine istituzionale centralizzato, ed una serie di riforme moderate che tranquillizzassero la borghesia fossero l’unica via per sconfiggere Franco. Nonostante la mobilitazione libertaria, il golpe stalinista ebbe la meglio. Ci furono oltre cinquecento morti, in maggior parte anarchici. Seguirono centinaia di arresti e di assassinii, compresi quelli di Berneri e Barbieri. Le giornate di maggio scavarono un fossato tra i due schieramenti antifascisti, minando la compattezza della lotta, e l’autorevolezza del governo repubblicano. In una lettera inviata ad Adalgisa Fochi, madre di Camillo, Tosca Tantini scrive tra l’altro: «Poiché il mortaio tirava verso la nostra casa, egli per distrarci faceva dello spirito e ci raccontava delle storielle divertenti. In quelle condizioni di spirito lo trovarono i carnefici, quando, verso le sette, vennero a prenderlo. Si vestì con la massima calma, e tranquillamente sulla soglia ci strinse la mano sorridendo, come per incoraggiarci. Che nobiltà d’animo! che coraggio! Dopo due giorni di ricerche l’ho visto all’ospedale clinico crivellato di pallottole. Gli occhi erano spalancati, ed in essi si leggevano non la paura, ma il disprezzo. Il pugno alzato era chiuso, come volesse colpire qualcuno. Quella tragica visione è scolpita nella mia memoria». Lasciamo ora la parola a Gaetano Salvemini, con alcuni brani tratti dal suo articolo “Donati e Berneri”, apparso ne “Il Mondo”, del maggio 1952, e raccolto poi nell’ottavo volume, “Scritti Vari”, delle “Opere” di Feltrinelli: «Berneri venne a trovarmi nel 1919, cioè nell’immediato dopoguerra vestito da soldato. Poche volte ho visto un soldato più scalcinato di quello. Pallido, magro, timido, parlava a bassa voce… Berneri si dischiudeva a poco a poco. Ed era allora un’anima candida, dolce, desiderosa di lealtà e di affetto. Nei suoi occhi chiari, grigi, si leggeva la bontà… Nella Spagna, Berneri fu assassinato la notte del cinque maggio 1937 da agenti comunisti. Ed ecco quanto lasciò scritto in un “credo”, trovato nelle sue carte dopo la sua morte: “Fa che il mio cuore non si inaridisca mai, che possa sempre continuare ad amare gli uomini, così come sono, deboli e cattivi, come dei bimbi e dei malati, che vanno aiutati ad uscire dalla barbarie ed a guarire; che possa sempre sentire la pioggia delle lacrime del mondo, anche nel tepore luminoso dei momenti di gioia”. E’ terribile pensare che anche dopo la sua morte, la calunnia abbia continuato ad addentare la sua memoria». Della morte di Berneri, Salvemini aveva già parlato tre anni prima, il 16 novembre 1949, nel discorso tenuto all’Università di Firenze, al momento di riprendere l’insegnamento di storia moderna, dopo ventiquattro anni di esilio: «Qui, insegnante, ebbi come alunni ed amici Nello Rosselli e Camillo Berneri: il primo con suo fratello Carlo, doveva essere assassinato nel 1937 da sicari francesi per mandato italiano; il secondo doveva essere soppresso in Spagna dai comunisti nel 1937. I ricordi si affollano alle porte del cuore». Nel marzo del 1950 Palmiro Togliatti ribatteva stizzito su “Rinascita” alle accuse di Salvemini: «O quest’uomo le beve veramente tutte le panzane, purché siano di marca americana e anticomunista, o è disonesto». Sta di fatto che tredici anni prima, il 29 maggio 1937, il “Grido del Popolo”, giornale del Partito Comunista Italiano, con un corsivo anonimo intitolato “Bisogna scegliere”, rivendicava l’assassinio, dichiarando che Berneri “era stato giustiziato dalla Rivoluzione democratica, a cui nessun antifascista può negare il diritto di legittima difesa”. Per una spiacevole astuzia della storia, il macabro ma veritiero annuncio dello stalinista “Grido del Popolo”, diventa tredici anni dopo la “panzana” dell’ “anticomunista” Gaetano Salvemini. © Riproduzione riservata