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Rotary: olivicoltura tra innovazione e immobilismo
15 aprile 2011

Non è rosea la situazione dell’olivicoltura italiana, in particolare di quella pugliese, costretta ad affrontare molte difficoltà e problematiche, dibattute nella conferenza «L’olivicoltura pugliese tra valorizzazione e innovazione», organizzata dal Rotary Club di Molfetta nel Garden Hotel. La Puglia conta oltre 300mila ettari di olivo, che portano ad una produzione di più di 11milioni di giornate lavorative, ha spiegato il dott. Pietro Preziosa, agronomo e rotariano. «Ma l’azienda olivicola è un’impresa che necessita di un tornaconto, - ha continuato il dott. Preziosa - purtroppo da parecchi anni l’imprenditore agricolo non riesce a raggiungere un reddito sufficiente a compensare i costi di produzione». La Puglia è una terra ricca di oliveti, che però non conferiscono più nessun guadagno. Per questa ragione, il mercato pugliese rischia di essere completamente soppiantato dal mercato globale. Purtroppo la Puglia non è l’unica regione a trovarsi in questa situazione di crisi. «Tutta l’olivicoltura italiana non sta bene, non solo quella pugliese», ha chiarito il prof. Angelo Godini, docente di coltivazioni arboree. L’Italia ha una superficie di circa 1milione di oliveti, con una produzione media di olive di circa 3t/ha e una produzione media di olio di circa 0,6 t/ha, ha aggiunto il prof. Godini. Solo l’Italia meridionale e insulare produce circa l’85% di olio e la Puglia il 35% di olio che si produce in Italia. La Puglia, ha precisato il prof. Godini, si divide in due parti ben distinte: la parte centro settentrionale, caratterizzata da oliveti piccoli, in cui la raccolta è effettuata manualmente e produce circa l’80% di olio extravergine di oliva; la parte meridionale, distinta per alberi molto grandi e secolari, dove la raccolta si esegue da terra. La produzione totale pugliese è di circa 215mila ton di olio, di cui il 60% olio extravergine, che può essere “di nicchia” o “di massa”. L’olio extravergine di nicchia riesce a essere commercializzato da canali privilegiati e venduto a prezzi notevoli. Chi produce questo tipo di olio riesce a compensare i costi di produzione senza alcuna diffi coltà. L’olio extravergine di massa, al contrario, non è apprezzato sul mercato e chi lo produce non ricava un reddito adeguato a bilanciare i costi. La CEE, secondo il prof. Godini, accortasi della diffi coltà di produzione di olio di oliva che molto spesso nei negozi di alimentari non vinceva la concorrenza dell’olio di semi, ha deciso negli anni passati di aiutare i produttori con dei sostanziosi sussidi (280mila euro per la Puglia), ma per ottenerli e necessario tenere in vita l’oliveto e potare gli alberi ogni 5 anni. Tale normativa scade il 2013, ma a Bruxelles si stanno già adoperando per rinnovarla. La situazione rimane comunque precaria, produrre olio di oliva con i sistemi attuali costa troppo, nessun frantoio può ridurre il prezzo dei concimi e delle macchine agricole. Secondo uno studio effettuato in Umbria, il costo di produzione di olio di oliva in Italia meridionale va da 3,7 euro/kg per la raccolta meccanica a 6,2 euro/kg per la raccolta manuale. Sul costo di produzione incide molto la manodopera, con una notevole differenza tra i paesi italiani e non. Come ha chiarito il prof. Godini, nella Puglia centrale il lavoro dell’operaio è retribuito a circa 8 eur/h, in Marocco e in Tunisia a circa 60 cent/h. Inoltre, dal 2010 è stata avviata l’aria del libero scambio: l’Europa esporta in Nord Africa auto, computer, prodotti farmaceutici, cellulari e tutti prodotti dell’industria, mentre il Nord Africa esporta i prodotti dell’agricoltura, tipo olio e uva da tavola. Per cercare di risollevare le sorti della nostra olivicoltura, secondo il prof. Godini, occorre una nuova olivicoltura da affi ancare a quella tradizionale. Una nuova soluzione può essere individuata nell’olivicoltura superintensiva, capace di apportare signifi cativi vantaggi. Innanzitutto si riduce il costo di raccolta, si migliora la produttività e la qualità dell’olio, intesa dal prof. Godini come la capacità di produrre un prodotto sano, che soddisfi una clientela vasta e che sia alla portata della sua borsa. Con l’olivicoltura superintensiva si riesce a triplicare la produzione per ettaro, laddove con l’olivicoltura intensiva si parla solo d’ipotesi di lavoro: la stabilizzazione della produzione avviene solo dopo 10-12 anni dall’installazione. Il primo impianto di olivicoltura superintensiva è nato in Spagna, ha aggiunto il dott. Salvatore Camposeo, ricercatore di coltivazioni arboree, mentre l’Italia e la Puglia dimostrano ancora una grande inerzia di fronte a tale innovazione che potrebbe produrre numerosi miglioramenti. Innanzitutto, si tratta d’impianti a basso impatto ambientale dal punto di vista ecologico: la difesa fi tosanitaria si realizza con circa 23 insetticidi e 2 fungicidi. Si riscontra una grande effi cienza della raccolta, effettuata “in continuo” con macchine estremamente delicate nei confronti dei rami e dei frutti, e si riducono i costi della manodopera, dato che è richiesto il lavoro di soli due operai per guidare le macchine. Considerati tutti questi vantaggi, l’olivicoltura superintensiva può davvero essere considerata un’ opportunità da seguire per cercare di salvare l’olivicoltura nostrana

Autore: Loredana Spadavecchia
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