Recupero Password
Rotary club Molfetta, le soluzioni delle imprese pugliesi contro la crisi economica
23 aprile 2012

MOLFETTA – Una crisi che in Italia durerà decenni, per una politica inefficiente e impreparata, per una scarsa cultura d’impresa e una debole coscienza civica. E in cui, tuttavia, gli imprenditori pugliesi possono diventare protagonisti grazie al loro coraggio di innovare, potendo presentare al Paese un metodo per riformare il sistema politico e sociale orientandolo a favore della crescita e della competitività. Con la consapevolezza che la soluzione, nel mondo globalizzato, può essere sempre dietro l’angolo, poiché la crescita economica non ha bisogno d’altro che d’idee, coraggio e capacità di sperimentare.
È stato questo il filo conduttore della tavola rotonda «Le imprese pugliesi di fronte alla crisi: le possibili soluzioni» (nella foto Favuzzi, Leone, de Sanctis, Aiello, De Bartolomeo, Ciccolella, Montrone), organizzata dal Rotary Club di Molfetta e tenutasi all’Hotel Garden di Molfetta con i Club di Altamura-Gravina, Bisceglie, Bitonto e Corato (programmati altri due convegni a tema).
Dopo le statistiche e i dati allarmanti sull’attuale situazione economica italiana, snocciolati dal moderatore del dibattito Felice de Sanctis, giornalista economico della Gazzetta del Mezzogiorno e direttore di "Quindici", gli imprenditori pugliesi rappresentanti i settori dell’edilizia, dell’energia, dell’information technology e dell’editoria, hanno spiegato, ognuno dal proprio punto di vista, le quotidiane difficoltà sul mercato e nel loro rapporto con la pubblica amministrazione, portando ciascuno le proprie proposte di cambiamento per tentare non solo di uscire “vivi” da questo drammatico momento, ma anche più forti e pronti a competere a livello nazionale e globale.
Domenico de Bartolomeo, presidente della sezione Edili di Confindustria Bari, non ha nascosto il senso di sconforto che pervade i suoi colleghi, costretti a fare i conti con un mercato immobiliare in costante calo e su cui l’Imu, la nuova imposta comunale, inciderà negativamente. Il settore edile ha, perciò, bisogno urgente dell’aiuto dello Stato, sia dal punto di vista dello snellimento burocratico e dell’esigenza di regole certe e coerenti, sia dal punto di vista dei fondi per lo sviluppo e l’innovazione. Non, però, lo sviluppo drogato che ha portato al collasso della crisi finanziaria globale, ma uno sviluppo che prenderà necessariamente la forma di un’edilizia nuova, energeticamente ed economicamente sostenibile. Un’edilizia che non si nutrirà più di cementificazione selvaggia, ma di progetti di riqualificazione urbana e sostenibilità ambientale.
Anche il mercato dell’energia in Puglia ha subito pesantemente le sconfitte di una politica miope e di una programmazione produttiva del tutto inadeguata. Secondo Vincenzo Ciccolella, presidente della sezione Energia di Confindustria Bari, la Puglia è stata negli ultimi anni soltanto «terra di conquista per i gruppi stranieri, i quali, con manodopera straniera a basso costo hanno sottratto ricchezza alle imprese e ai lavoratori del territorio».
A Ciccolella ha fatto eco Donato Leone, rappresentante di Enel in Confindustria Bari, che ha condiviso le critiche alla errata pianificazione produttiva dello scorso decennio, sottolineando le enormi potenzialità che la Puglia potrebbe, invece, sfruttare a proprio vantaggio grazie ai venti e al forte irraggiamento solare di cui gode. Basterebbe, ad esempio, un serio programma d’incentivazione all’autoproduzione di energia elettrica per le aziende pugliesi per contribuire ad abbattere i costi di produzione, rendendo tali imprese più competitive.
Che la Puglia sia dotata di preziose risorse è anche l’opinione di Domenico Favuzzi, amministratore delegato dell’azienda molfettese Exprivia Spa. Risorse umane, soprattutto, risorse che i cosiddetti Paesi emergenti ancora non hanno. L’Europa, e in genere le nazioni industrializzate, dispongono di competenze nell’information technologies, nei servizi e nei beni immateriali che, con coraggio e spirito d’impresa, anche le aziende pugliesi possono sapientemente “vendere” alle nazioni in grande crescita come Cina o Brasile.
Il capitale umano è, dunque, il fattore più importante, perché la crisi si tramuti in opportunità per il Sud Italia e per la Puglia. La formazione di cittadini informati, la promozione del senso civico e dei valori della comunità di cui la crescita economica non può fare a meno sono ben presenti anche alla industria editoriale pugliese, come ha testimoniato Luca Montrone, presidente del Gruppo Telenorba.
La sua proposta, audace e attuale, di un settore radiotelevisivo nazionale realmente liberalizzato, dove gli investimenti pubblicitari non siano più drenati dal duopolio Rai-Mediaset, ma diventino un volano dello sviluppo per le emittenti locali, per le imprese del territorio e per lo sviluppo dei consumi interni, è un altro esempio di quanto lo spirito imprenditoriale nella nostra terra certamente non manchi, anzi sia frenato da una pubblica amministrazione (locale e nazionale) corrotta e inadeguata, da riformare con urgenza per il bene di tutta la comunità e dei giovani del Sud in particolare.
                                     
© Riproduzione riservata
Autore: Vito Angione
Nominativo  
Email  
Messaggio  
Non verranno pubblicati commenti che:
  • Contengono offese di qualunque tipo
  • Sono contrari alle norme imperative dell’ordine pubblico e del buon costume
  • Contengono affermazioni non provate e/o non provabili e pertanto inattendibili
  • Contengono messaggi non pertinenti all’articolo al quale si riferiscono
  • Contengono messaggi pubblicitari
""
Filosofo vale “amatore della saggezza”, cioè della verità”. Tutti i filosofi hanno avuto questo doppio carattere. Non c'è filosofo dell'antichità che non sia stato esempio di virtù agli uomini e non abbia insegnato loro delle verità morali. Tutti hanno potuto ingannarsi nelle cose della scienza; ma la scienza fisica è poco necessaria al ben vivere, e i filosofi non avevano bisogno di lei. Ci vollero dei secoli per arrivare a conoscere una parte delle leggi della natura. Un giorno basta al saggio per conoscere i doveri dell'uomo. Il filosofo non è un entusiasta, e non si erige a profeta, non si dice ispirato dagli dèi. Così io non metterò nella schiera dei filosofi né l'antico Zoroastro, né Ermete, né l'antico Orfeo, né alcuno di quei legislatori della Siria, dell'Egitto e della Grecia. Quelli che si dissero figli degli dèi erano padri dell'impostura, e se si servirono della menzogna per insegnare alcune verità, erano indegni di insegnarle: non erano veri filosofi, erano tutt'al più dei savi mentitori……….Dobbiamo andare fino all'estremità dell'Oriente per trovare un saggio semplice; questo saggio è Confucio il quale, pur non essendo un legislatore, non accondiscese mai a ingannare gli uomini. Quale più bella regola di condotta è stata mai data dopo di lui in tutta la terra? “Governate uno Stato come governereste una famiglia: non si può governare bene la propria famiglia se non dando noi stessi il buon esempio”. – “La virtù dev'essere comune al bracciante e al monarca”. – Affatìcati nel prevenire i delitti, per diminuire la fatica di castigarli”. – “Fa' per gli altri quello che fai per te stesso”. – “Ama gli uomini in genere; ma prediligi i buoni. Dimentica le ingiurie, non dimenticare mai i benefici”. - “Ho visto uomini incapaci di coltivare la scienza, non ne ho mai visti di incapaci di seguire la virtù”. Bisogna ammettere che non c'è legislatore che abbia annunciate verità più utili al genere umano. Ci sono tra noi dei devoti: dove sono i saggi? Dove sono le anime incrollabili, giuste e tolleranti?.......(Voltaire)

DISINFORMATJA-…Parliamo terra terra: il nostro modello di sviluppo pone al centro l'ECONOMIA. E' evidente che è fallimentare e non è più possibile sostenerlo. Chi asserisce il contrario, proponendo pannicelli caldi, è in malafede perché mente sapendo di mentire. Dunque, cosa fare??? Facciamo un'ipotesi: che cosa sarebbe successo in un'economia tradizionale, pre-industriale, se su un campo in cui vivevano 10 (dieci) persone si fossero accorti che 8 (otto) erano sufficienti non solo per mantenere tutti ma anche per realizzare un discreto guadagno sul mercato mentre il lavoro di 2 (due) era, in pratica, improduttivo? Avrebbero cacciati a pedate nel sedere quei due dicendogli di andarsi a cercare impieghi più produttivi? Nient'affatto. Si sarebbero divisi il lavoro in 10 (dieci), approfittando del maggior tempo libero per andare all'osteria, a giocare a birilli, a corteggiare la futura sposa. Per quegli uomini e quelle donne, una volta assicurato il FABBISOGNO essenziale, erano importanti i legami affettivi, emotivi, sentimentali, esistenziali che li univano sulla stessa terra che un eventuale guadagno da realizzare sul mercato. Perché, egregi, al centro di quelle società non c'era l' economia ma l'UOMO. Cosa voglio dire con questa mia bella storiella bucolica? Che la tragedia dei nostri tempi risiede nella incapacità di elaborare un pensiero che pensi alla modernità!! Non c'è più una FILOSOFIA che dia un orientamento. Perché, cari Signori, chi crea lavoro non è l'imprenditore idolatrato dalle domestiche liberali, ma il FILOSOFO…non dimenticatelo mai!!!

La globalizzazione significa centralizzazione. Si tratta di un processo che nello stesso tempo individualizza e centralizza. Agenzie e realizzazioni intermedie (ovvero la società civile in generale) in qualche misura ostacolano la piena globalizzazione. C'è un senso in cui la competitività sui mercati mondiali contribuisce a distruggere le comunità, ma ciò non è necessariamente vero. Le pressioni simultanee verso l'individualizzazione e verso la centralizzazione possono essere contrastate valorizzando il potere locale. La parola “locale” è il frutto di una scelta deliberata. Le nazioni esistenti all'interno di nazioni più vaste (come il Galles, il Quebec o la Catalogna) non hanno lo stesso potere. Esse conferiscono bensì alle persone un senso di appartenenza generale, ma come principi di organizzazione sociale e politica dividono e producono dannose rigidità (la cosiddetta Europa delle regioni da questo punto di vista è, nella migliore delle ipotesi, un'idea irrilevante, nella peggiore, un errore). Le comunità locali, al contrario, possono fornire occasioni pratiche di addestramento professionale, di iniziative economiche piccole e medie, di coinvolgimento e partecipazione personale, di valorizzazione della sfera pubblica, in breve, di inserimento nella società civile - e ciò senza nulla togliere alla forza degli imperativi economici. Alcuni paesi, per esempio la Svizzera e alcune regioni della Germania, hanno fatto esperienze notevoli in questo campo; altri, come la Francia e la Gran Bretagna, (l'Italia?) hanno ignorato le potenzialità del potere locale e hanno pagato le conseguenze di questa loro scelta. Come sempre, non ci sono ricette generali per il potenziamento delle comunità locali; ma certe forme di identità politica, dall'imposizione fiscale locale all'elezione dei sindaci, sono indubbiamente utili. Il potere locale non è che un fatto del più vasto concetto di economia degli “stakeholder” (cioè l'insieme di coloro che a vario titolo hanno interesse a un'impresa economica: dipendenti, fornitori, clienti, banche, comunità locali, ecc.) Alcuni economisti, specialmente negli Stati Uniti, non amano questo concetto; secondo loro i soli veri stakeholder sono gli azionisti e sono le loro scelte a garantire il successo degli investimenti. Ora, a parte le enormi differenze culturali tra gli uni e gli altri, e a parte anche il fatto che oggi per lo più a detenere le azioni non sono persone singole, ma istituzioni, il punto è che gli stokeholder, diversamente dagli azionisti, non possono mettere all'asta il loro interesse per le aziende. Forza-lavoro, comunità locale ma anche banche e perfino fornitori e clienti in qualche misura fanno tutt'uno con le aziende a cui sono legati. Questo si potrebbe considerare una rigidità indesiderabile solo in un mondo disumano in cui, purchè l'investimento fornisca la rendita più alta per gli azionisti, non conti nulla il fatto che le aziende siano acquistate o vendute, controllate o assorbite, ampliate, ridimensionate o chiuse. In verità tutto questo conta davvero. Ma c'è di più: l'assenza di coinvolgimento non incrementa affatto la competitività, specialmente se le aziende decidono di imboccare la strada di una produzione altamente specializzata , anziché quella di una produzione basate su retribuzioni basse. I governi non esulano da questo quadro. I governi hanno speciali responsabilità nella sfera pubblica. Spettano per definizione ai governi il finanziamento e l'organizzazione dei servizi pubblici. Forse alcuni Paesi hanno usato il modello del servizio pubblico più di quanto potessero permettersi di fare o addirittura più di quanto potesse essere funzionale alla qualità del servizio stesso. Forse alcuni, per reazione a questa esperienza,, hanno tradotto nella sfera pubblica i cosiddetti valori dell'efficienza e del profitto al punto di incrinare sia il servizio che intendevano offrire sia la disponibilità della gente a dedicargli il proprio impegno. Occorre trovare un nuovo equilibrio.

Quindici OnLine - Tutti i diritti riservati. Copyright © 1997 - 2024
Editore Associazione Culturale "Via Piazza" - Viale Pio XI, 11/A5 - 70056 Molfetta (BA) - P.IVA 04710470727 - ISSN 2612-758X
powered by PC Planet