Riflettendo sul Referendum del 21-22 giugno
C'è un'intima ambizione, che di tanto in tanto nasce nei partiti più in voga, quasi a voler evadere le leggi che associano, in proporzione, i seggi in Parlamento ai voti della gente.
Nel 1953, con la cosiddetta “legge truffa”, la DC tentò di ottenere il 65% dei voti qualora avesse superato il 50% dei voti validi.
Ma, correndo indietro nel tempo, ai tempi di Mussolini, la legge Acerbo attribuiva i due terzi dei seggi in Parlamento alla lista che avesse ottenuto anche solo il 25% dei suffragi. Fu con questa legge che Mussolini pose le basi della dittatura fascista.
Il primo e il secondo quesito del Referendum del 21-22 giugno, riguardano il premio di maggioranza alla lista più votata e l'innalzamento della soglia di sbarramento rispettivamente per la Camera e per il Senato. Essi propongono l'abrogazione di quelle parti della legge Calderoli (la cosiddetta "porcellum") che prevedono il collegamento tra liste e la possibilità di attribuire il premio di maggioranza alle coalizioni di liste.
Se passasse il referendum, il premio di maggioranza non andrebbe più alla coalizione, ma i 340 seggi, cioè il 53,9% del totale dei seggi della Camera e il 55% dei seggi del Senato, verrebbero attribuiti alla lista che raccoglie più voti delle altre, anche se questi voti dovessero corrispondere al 25%, o anche meno, dei voti validi.
In questo modo, inoltre, la soglia di sbarramento per l'accesso delle liste si porterà al 4% per la Camera e all'8% per il Senato.
La legge, paradossalmente, elimina anche il vincolo del 25%, presente nella legge Acerbo, legittimando una notevole sproporzione fra la percentuale dei consensi di un partito e la percentuale dei seggi che esso otterrebbe in Parlamento.
Comprendiamo l'attrazione che il bipartitismo suscita nei sostenitori del PD, che tanto palpitanti hanno accolto la proposta del PdL, intravedendo la possibilità di eliminare di fatto dalle competizioni elettorali i partiti che raggiungono fino all'8% delle precedenze.
Tuttavia, una democrazia rappresentativa esige che la composizione del Parlamento rispecchi la volontà popolare.
Una legge che arbitrariamente riconosce al partito eletto un numero sproporzionato di seggi, indipendente dall'espressione popolare, rischia di tradire i principi liberali su cui si fonda la democrazia, generando una grave asimmetria fra i rappresentanti politici e le esigenze della gente.
Senza voler additare riferimenti libertari o comunque distanti dal contesto politico liberale in cui viviamo, i cinque “beni primari”i che il filosofo John Rawls, tra i padri del pensiero liberal-democratico del XX secolo, poneva alla base della giustizia sociale, sono libertà, opportunità, reddito, ricchezza e le basi sociali del rispetto di sé. Sembra che almeno due di questi principi vengano traditi da questa legge: l'opportunità della gente di essere rappresentata in relazione alle proprie scelte e, di conseguenza, la libertà di espressione. Essa, infatti, resterebbe puramente teorica e astratta, in quanto, tralasciando demagogie devianti, la libertà richiede che siano disposte le condizioni materiali per la sua attuazione effettiva.
Del resto, la dimensione politica e legislativa deriva la propria legittimità dal voto che le è concesso, come unico mezzo di partecipazione diretta che ci viene riservato.
Ma, indubbiamente, la possibilità di “scavalcare” una buona percentuale di seggi, per approssimarsi indiscriminatamente all'autosufficienza politica, spinge a tradire persino le tendenze democratiche insite nelle proprie stesse definizioni nominali.
Si sa, più le poltrone sono facili da raggiungere, meglio è.
Il terzo quesito referendario, invece, chiede l'abrogazione della facoltà di presentare candidature multiple, sia alla Camera che al Senato. Un agile “specchietto per le allodole”, quasi ad addolcire la proposta del prossimo week-and, fino a renderla vagamente democratica.
La rappresentazione è una delle prerogative della democrazia. Queste “intime ambizioni”, sono più nocive che attraenti.
Autore: Giacomo Pisani