Riempi/menti, collettiva tra pittura fotografia e arti grafiche
Spazi e pensieri urbani”, “visioni contemporanee” rappresentano il magma cui la collettiva Riempi/menti , inaugurata il 3 settembre presso la Sala dei Templari, ha cercato, felicemente, di dar forma, in differenti e interessanti declinazioni, tra pittura, fotografia e arti grafiche. A inaugurare la collettiva Clara Spagnoletti; l’organizzazione è avvenuta per opera dell’associazione “Alberto Caracciolo”, presieduta da Domenico Facchini, con la curatela di Michele Amato. Il percorso si apre con l’arte murale di Pin e l’immagine ‘tentacolare’ della “pescatrice”, che ben riconduce a un preciso prototipo urbano, delineato con innegabile ironia e levità, non disgiunte da intenti satirici. A Domenico Angione si dischiudono spazi silenti, umbratili, in cui l’assenza di profili umani fa risaltare le architetture come la nitida immagine della cementeria, pregna di un fascino di dismissione. L’aura del silenzio contorna anche i “particolari” di Vito Gianfreda, che, nelle sue geometriche impressioni della controra, ci restituisce lo charme della città vuota, giganteggiante nella calura. La figura umana ricompare nelle passeggiate e negli squarci di vita sul lungomare Colonna di Corrado Befo, ma si tratta di creature espressionisticamente distorte, parossistici attori di una quotidiana tragicommedia intrisa di noie e afa. Pino Spadavecchia realizza un fecondo connubio di linguaggi e, attraverso la tecnica mista e l’inchiostro su carta, intreccia una profonda meditazione sul destino dell’uomo, evocando - nel topos del destino/partita a scacchi - l’icona della Regina Nera, “orologio o Venere” , signora del tempo edace. Il fotografo Francesco Mezzina intesse, in polittico, un ispirato elogio della lentezza, eleggendo a campo d’indagine il mare al mattino e scrutandone, con sguardo amorevole e atmosfera di sospensione, le sparute, discrete presenze. Nicola Gaudio sottopone ad “analisi critica e sistematica” il paesaggio urbano, soffermandosi sul degrado che spesso ne deturpa l’immagine, sui muretti che sembrano scandirne gli spazi, sulle architetture, con le finestre che suggeriscono infinite - ma forse solo teoriche - possibilità di fuga. Fabrizio Annese schiude, con le sue fotografie digitali, una serie di stimolanti interrogativi: si sofferma su una natura esuberante, in cui misura e dismisura non conoscono soluzione di continuità e il garbuglio appare eletto a sistema. Dario Bovenga, con estro e ironia, decostruisce spazi e figure, sussumendo l’immaginario pop come l’aerea fantasia calviniana e soffermandosi con grazia sulla babelica natura delle nostre “città invivibili”. Francesco Cantatore sperimenta linguaggi e soluzioni stilistiche per dar voce al “fastidio” di arabescare sulla propria città come soggetto e, al contempo, al virtuosismo di trarne plurime ed efficaci rappresentazioni. Mauro Domenico Bufi affida ai domini dell’informale il compito di scandagliare il paesaggio urbano e lo fa con solidità e padronanza dei mezzi espressivi. Serena Nocera sceglie la strada di un insolito dittico, per estrinsecare, con piglio sicuro, istanze satiriche sulle storture di una società che ci riduce a burattini. Umorismo smagato e slancio utopico coesistono nell’opera di Fabrizio-Phaber Petruzzella, che, con Bovenga, sembra condividere la tensione al postmodernismo critico. Nico Ciccolella realizza una pregevole riflessione sull’identità e la sorte dell’uomo, sul mosaico che diviene correlativo oggettivo della sua essenza inafferrabile, sull’inconoscibilità del reale attraverso il linguaggio della mera razionalità. Arianna Nocera materializza, nella sua visione, l’incubo di Psicopolis, efficacissima ipostasi dell’intrico straniante in cui s’invortica e perde l’uomo contemporaneo. Maria de Gennaro, al contrario, sembra coltivare il sogno che un filo d’Arianna possa condurre all’uscita dal labirinto e opporre rimedio al male di un mondo stravolto: è la memoria, è il legame con i lari del passato a suggerire una via d’uscita. Michele Amato prosegue nella sua estrosa ricerca estetica e nella fusione dei linguaggi e, nella sua “direttiva riservata”, ripropone l’idea del “garbuglio”, del caos, che pure pare tutt’uno con la realtà stessa della natura. È forse la mente umana a ricercare, in perenne tensione, un ordine in ciò ch’è al contempo cenacolo e babele. Ad affannarsi a riempire un vuoto solo apparente, a dischiudere alla visione città in cui coesistono il giardino di delizie e il roveto.
Autore: Gianni Antonio Palumbo