Ricordi di Torre Schirone
Era situata a sinistra all’inizio del viale che va al Cimitero. Il complesso era costituito da un corpo centrale formato da un ampio vano al piano terra con volta a crociera; per mezzo di una scala esterna si accedeva al primo piano. Poco distante, un camerone con volta a botte era adibito a stalla per i buoi. Nel 1980 in questa torre fu riportato alla luce un affresco raffigurante una Madonna in trono con Bambino e Santi, attribuibile al sec. XVI. Nel 1674 era di proprietà di Marzio de Luca. I suoi eredi, nello stesso anno, vendettero il fondo con la torre a Giovanni Schirone da cui deriva il relativo toponimo. Nel Catasto Terreni di Molfetta del 1930 ricade nella contrada Fondo Giuggiole (anticamente lama Giancarlo) al Foglio 8, particella 66. E’ stata demolita nel 2009. Prima della demolizione rientrava nella proprietà della attigua fonderia Palberti. Questa torre nel passato veniva spesso utilizzata per le quarantene durante le varie epidemie e viene ricordata per due avvenimenti storici locali legati alle incursioni della pirateria corsara e barbaresca che per diversi secoli ha imperversato il mare Adriatico, attività molto lucrosa recando danni e pericoli sia per i naviganti che per la popolazione rivierasca. Rileviamo la prima vicenda dal manoscritto del notaio Don Giovanni Muti: si racconta di un tale Leonardo Moccola, originario di Acquaviva, ma residente a Molfetta, che esercitava l’arte marinaresca. Durante un viaggio fu fatto schiavo dai turchi; rinnegò la fede cattolica e si fece corsaro. Un giorno con una barca turca giunse a Molfetta per mettere in atto alcuni suoi piani, ma essendosi attardato, i turchi se ne andarono via. Riconosciuto, fu messo in quarantena nella torre di Schirone ai Pali, poi fu rinchiuso nella torre del Sale. Una notte fuggì e sopra la muraglia uccise Giuseppe Carlo Santoro. Arrestato, fu condannato a morte e impiccato il 9 luglio del 1713. La seconda vicenda è il naufragio di una barca corsara avvenuto il 2 novembre del 1720 mentre sulla nostra costa infuriava una burrasca Rescich Borasca di Dulcigno (città ora in Montenegro) comandava la barca, egli cercava una rada sicura ma finì sulla riva della cala dei Pali. A bordo c’erano altri cinque turchi, che formavano l’equipaggio, e 24 cristiani incatenati in stato di schiavitù. Chi vigilava la costa, dette l’allarme e subito i turchi e i cristiani schiavi furono rinchiusi nella torre di Giovanni Schirone situata nella vicina cala per la quarantena. Il mattino seguente i deputati alla Salute e un notaio si portarono alla cala dei Pali per redigere un atto pubblico dell’avvenimento. Fu dato avviso alla Regia Udienza di Trani per ricevere adeguate istruzioni su come comportarsi e sulla sorte dei cristiani schiavi. Gli schiavi furono separati dai turchi, annotando nome e cognome, il loro paese d’origine, se avevano parenti, quanto si chiedeva per il loro riscatto. I turchi non erano tanto inclini a perdere gli schiavi pur sempre dietro il pagamento di un riscatto. Il 22 gennaio del 1721, terminata la quarantena, i turchi e i cristiani schiavi vennero trasferiti sotto scorta nel castello di Trani. Frattanto dal calefato Battista Poli fu riparata la barca e il fabbro Crescenzo Vitovisit dette un’ancora nuova. Nei primi giorni di aprile del 1721 furono consegnate ai turchi la barca riparata e la loro roba recuperata e subito salparono da Molfetta. Una breve nota di precisazione: molti lettori che leggono Quindici gradirebbero che i miei articoli di storia locale siano a volte più completi. Essendo Quindici periodico di informazione locale sulla vita della città, gli articoli a carattere storico sono un’aggiunta. La mia scelta di occupare una sola pagina ha lo scopo di raccontare gli avvenimenti inediti in modo più semplice per non tediare il lettore. Chi vuol approfondire i vari argomenti non ha che da leggere la bibliografia che con senso di professionalità sempre accludo alla fine dei miei articoli.