RECENSIONE - "Napoli siamo noi. Il dramma di una città nell'indifferenza dell'Italia". L'ultimo libro di Giorgio Bocca
NAPOLI 3.9.2006 - Grande città europea, Napoli spesso ha richiamato l'attenzione di alcuni dei più grandi meridionalisti appartenenti a diverse e talora opposte correnti ideologico-politiche. Tra i maggiori bisogna ricordare en passant alcuni autori classici quali: Villari, White, Fucini, Salvemini e Nitti.
Nel 1875 lo storico liberale e napoletano Pasquale Villari, esule a Torino dopo la rivoluzione del 1848, invia al giornale “L'opinione” alcune corrispondenze dal Mezzogiorno. Oramai sono trascorsi sedici anni dalla proclamazione della nascita del Regno d'Italia (1861) e lo studioso napoletano non può fare a meno di denunciare la brutalità della miseria, dello sfruttamento e delle violenze da lui osservate a Napoli e in Sicilia. Nelle drammatiche condizioni sociali, economiche ed igieniche in cui versa gran parte della popolazione partenopea, egli individua le cause ultime della camorra.
«Io - sostiene Villari - non mi stancherò mai di ripeterlo: finché dura lo stato presente di cose, la camorra è la forma naturale e necessaria della società che ho descritto. Mille volte estirpata, rinascerà mille volte».
Nel 1877 la mazziniana inglese Jessie White, moglie del patriota e scrittore democratico Alberto Mario, pubblica il testo La miseria in Napoli. La scrittrice inglese mette in risalto i drammatici problemi che affliggono la città con rigore documentaristico e vivacità polemica. Alla descrizione degli squallori dei bassi - da lei direttamente visitati sia di giorno che di notte - e del peggioramento delle condizioni di vita di molti napoletani, la White accosta, cifre alla mano, l'enumerazione delle responsabilità, da lei individuate principalmente nelle disfunzioni amministrative e nella corruzione dei nuovi funzionari e dirigenti governativi.
Nel 1878 lo scrittore pistoiese Renato Fucini pubblica con il titolo Napoli a occhio nudo una raccolta di bozzetti in cui ritrae l'abiezione della plebe napoletana.
Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 Gaetano Salvemini interviene nel dibattito meridionalistico a partire da una prospettiva di socialismo intransigente, che lo condurrà ad una serrata analisi della composizione di classe del Mezzogiorno. I casi di arretratezza, corruzione, clientelismo, trasformismo politico e criminalità sono da lui inquadrati sia nella cornice della struttura sociale del Sud d'Italia sia nella formazione del blocco agrario-capitalistico a livello nazionale. Per quanto concerne la città partenopea, nel saggio La questione di Napoli (1900) lo studioso pugliese non si limita a coglierne criticamente i limiti e le contraddizioni sociali, economiche e politiche ma avanza anche un'ipotesi di soluzione incentrata su una proposta di innovazione politico-istituzionale: il federalismo delle autonomie comunali.
All'inizio del '900 inserendosi nel dibattito economico-politico dell'epoca, Francesco Saverio Nitti pubblica due importanti studi su Napoli - La città di Napoli e Napoli e la questione meridionale -, nei quali anche lui come Salvemini non si limita a denunciare le drammatiche condizioni di arretratezza e sofferenza delle diverse parti della città, ma formula una proposta di innovazione socio-economica incentrata sul dirigismo statale.
Questi appena ricordati sono solo alcuni tra gli esempi maggiormente significativi di proposte politiche ed economiche, ricerche ed inchieste giornalistiche condotte su Napoli con rigore documentaristico, lucidità di analisi e vis polemica. Rispetto a questa articolata e variegata tradizione pubblicistica sul capoluogo partenopeo come si colloca il saggio di Giorgio Bocca Napoli siamo noi? (Giorgio Bocca, Napoli siamo noi. Il dramma di una città nell'indifferenza dell'Italia, Feltrinelli, Milano 2006. 14 euro). E' un esempio di inchiesta magistrale? O è un pamphlet esclusivamente denigratorio, frutto di una posizione fortemente pregiudiziale dell'autore nei confronti di Napoli e del Mezzogiorno, come afferma gran parte della pubblicistica locale?
Ebbene, il testo pur sollevando dei problemi innegabili - l'imperversare della corruzione, della criminalità organizzata e della microdelinquenza - appare del tutto farraginoso sia da un punto di vista documentaristico, sia da un punto di vista esplicativo, sia da un punto di vista propositivo.
Per quanto concerne il piano documentaristico, sorprende che un giornalista come Giorgio Bocca riporti notizie del tutto errate e compia dei madornali errori sulla geografia della città: gli scippi ai danni dei pedoni sulla tangenziale (ivi, p. 5); i quattro carabinieri trucidati a Scampia (ivi, p. 46); le centinaia di automobili rubate che ogni giorno partono da Ponticelli per l'estero (ivi, p. 52); la confusione tra Monte di Dio e Capodimonte (ivi, p. 9); la scivolata su Scampia ora quartiere di Napoli ora città collocata sulle falde del Vesuvio, (ivi, p. 81). Madornali errori di documentazione frutto non di un'inchiesta magistrale, ma di un lavoro frettoloso e superficiale su una città, i cui innegabili problemi meritano di essere analizzati con i giusti approfondimenti e le debite documentazioni.
Se non si conosce bene la geografia della città e si riportano delle notizie del tutto infondate o palesemente contraddittorie, come si può pretendere di analizzare ed individuare in modo rigoroso le cause prossime e remote dei problemi che attanagliano Napoli? In effetti, anche sul piano esplicativo la tesi di Giorgio Bocca appare del tutto infondata: la corruzione, il clientelismo, la criminalità e la miseria vengono spiegate a partire dall'atavica furbizia e dallo sfrenato individualismo dei napoletani (ivi, p. 5).
Ma la mentalità tipica dei napoletani è davvero un dato antropologico? O deve essere considerata il frutto di una particolare organizzazione socio-economica da analizzare sia da un punto di vista diacronico che da un punto di vista sincronico? Relativamente a questo punto, Bocca è ambiguo. Mentre alcune sue espressioni sembrano rimandare ad un dato antropologico naturale (ivi, 5), altre sue affermazioni, invece, rinviano al tentativo di un'analisi socio-economica (ivi, p. 5). Tuttavia, anche questi ultimi spunti interessanti rimangono tali e non vengono per nulla approfonditi. L'idea predominante rimane quella stereotipata di una città-paradiso – per i suoi ameni paesaggi – abitata da diavoli e pertanto condannata da millenni ad una storia di corruzione, violenza e disgregazione.
Rispetto al pessimismo di fondo che scaturisce da queste tesi le conclusioni di Bocca sono palesemente contraddittorie:
[…] rinunciare alla rivoluzione dei proletari che non ci sono più e puntare su quella dei giovani che ci sono e che non ne possono più di vivere da ladri e da bugiardi, qui e nel resto di Italia, che vogliono essere cittadini di un paese civile (ivi, p. 132).
Un appello moralistico del tutto fuorviante ed infondato rispetto alle tesi di fondo che caratterizzano l'infelice inchiesta di Bocca, che a tratti sembra riecheggiare le posizioni della scuola antropologica di lombrosiana memoria, limitandosi così ad alimentare i pregiudizi su Napoli, invece di analizzare storicamente e criticamente una realtà complessa come quella del capoluogo partenopeo. Sono questi i motivi per cui non si può non essere d'accordo con il giudizio espresso da Gofferdo Fofi a proposito del libo di Bocca: «La debolezza dell'inchiesta di Giorgio Bocca sta tutta nella sua superficialità […]. Bocca continua a pensare i Savoia e gli Agnelli come dinastie straordinariamente migliori delle meridionali, e non come, nei confronti del Sud, anche come storiche imprese coloniali». (Goffredo Fofi, «Un sabaudo tra i Borboni», in Il Sole-24 Ore, 29 gennaio 2006, p. 34).
In altri termini, a Bocca sfugge del tutto il nesso dialettico tra sviluppo ed arretratezza, tra benessere diffuso al Nord e condizioni di marginalità e sofferenza diffuse al Sud. Per cogliere criticamente tale legame da un lato bisogna volgere lo sguardo verso il passato e recuperare le analisi critiche espresse dal meridionalismo classico. Dall'altro, bisogna seguire con attenzione il dibattito contemporaneo, per individuare in entrambi i casi le linee analitiche foriere di sviluppi pratico-teorici di innovazione socio-politica da contrapporre alle semplici denuncie dell'esistente o peggio ancora alle critiche superficiali, che non solo non fanno chiarezza sui problemi del capoluogo partenopeo ma contribuiscono anche ad alimentare ulteriormente i pregiudizi su Napoli e sul Mezzogiorno.
Salvatore Lucchese