Quel povero affamato in una domenica assolata
Speciale Don Tonino
Don Tonino non c’è più. Eppure risuonano ancora i suoi passi di Pace in Sarajevo e per le vie di Molfetta in occasione della marcia nazionale della pace del 31 dicembre, sotto un forte temporale. Eppure le sue parole rimbalzano da uno schermo ad un altro, da un giornale ad un altro. In questo momento, quando mi accingo a riversare sulla carta qualche memoria su di Lui mi perdo in mille rivoli, in mille ricordi e, curiosamente, non so da dove cominciare. L’esistenza di mons. Antonio Bello, vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi e presidente nazionale di Pax Christi è destinata a lasciare una traccia indelebile in questa nostra città e in tutto il territorio della Sua diocesi. Sono sotto gli occhi di tutti le Sue iniziative, il C.A.S.A. (Centro Assistenza Solidarietà Apulia) per tossicodipendenti. Ma di Lui spesso amo ricordare un episodio. Un povero gli aveva chiesto da mangiare, una domenica pomeriggio assolata. Con sgomento don Tonino si accorge di non avere nulla in casa. E che i negozi erano chiusi. Che fare? Non si perde d’animo, raggiunge il ristorante “Magnolia” dov’era in pieno svolgimento un matrimonio e chiede del cibo ai camerieri. Questi, sbalorditi, lo riconoscono, nonostante fosse in maniche di camicia, e con una reazione che contraddistingue gli uomini semplici, gli portano dal più umile dei cibi a quelli più sofisticati, da bere ed altro. Insomma, tutto quanto disponibile. E don Tonino che si scusa, ringrazia e dice che è troppo. Lui, quando chiacchierava con amici, ci teneva a sottolineare questo episodio per mostrare quanto sia, in fondo, buona la gente. E certo non aveva tutti i torti. Ma ora le Sue parole non si potranno moltiplicare, la loro fonte si è prosciugata. Certo hanno dissetato tanti che le ricorderanno sempre. Come sempre io ricorderò d’averlo visto l’ultima volta la sera precedente il Suo trapasso. Erano le 20,30, poche ore prima della morte (don Tonino spirò alle 15,35 del 20 aprile). Era nel suo letto con al capezzale il fratello medico Marcello, che gli teneva una mano mentre con l’altra gli asciugava il sudore sulla fronte, ed un diacono di Ruvo, che gli teneva l’altra mano. Fui uno dei pochissimi ad essere ammesso nella stanza da letto di don Tonino, grazie soprattutto a don Gennaro Farinola, che volle portarmi con sé. Don Gennaro s’inginocchiò accanto al suo letto e io rimasi muto ai suoi piedi, fissando continuamente quel volto, una volta tanto dinamico, con gli occhi chiusi, che ogni tanto si torceva per gli spasimi dei dolori lancinanti che lo attanagliavano e che fino al giorno prima aveva cercato di nascondere agli occhi di centinaia di persone, soprattutto giovani, che andavano a trovarlo per dirgli una parola di conforto ma che, invece, erano confortati da Lui. La stanza da letto era illuminata solo da una fioca lampadina messa sul comodino che lasciava appena intravedere i volti di don Tonino, del fratello dr. Marcello Bello e del diacono. Rimasi pietrificato e riandai con la mente ai dieci anni vissuti a contatto con don Tonino, dal momento del suo ingresso a Molfetta, al colloquio avuto qualche giorno dopo unitamente a mio figlio Felice, redattore della “Gazzetta”, quando entrambi ne uscimmo letteralmente esterrefatti per la sua forte carica di simpatia e di umanità che ce lo fece apparire subito come un uomo straordinario. Da allora non c’era manifestazione a Molfetta in cui non c’incontravamo: Lui vescovo della Diocesi, io corrispondente della “Gazzetta del Mezzogiorno” e dell’Agenzia ANSA. Guardando fisso don Tonino seguii tutto il suo cammino pastorale al servizio dei più deboli, degli emarginati, degli sfrattati (per costoro aveva aperto subito le porte dell’episcopio per dar loro un tetto), dei tossicodipendenti. Non si sapeva mai quando rincasava. La sua giornata era tutta piena d’impegni. La cognata, moglie del fratello grande, Trifone, ci diceva il giorno dopo la morte, che lo vedeva sempre percorrere di corsa i lunghi corridoi dell’episcopio per guadagnare tempo, quegli stessi corridoi, anch’essi illuminati da una fioca luce, in cui sostavano quella sera i parenti in attesa, purtroppo, che il volere di Dio si compisse. Avevo visto don Tonino anche il giorno del suo compleanno, il 18 marzo, quando, lui a letto, sorridente ma sempre sotto il vigile sguardo di Trifone, attorno dei sacerdoti che celebravano con il nostro amatissimo presule una messa e alcuni parenti ed amici. L’omelia la fece Lui come pure impartì ai presenti la Sua benedizione, la stessa benedizione che Egli rivolse, autografa, ma con mano ferma, ai fedeli della Diocesi, attraverso il “Luce e Vita insieme”, il giorno di Pasqua, e cioè due giorni prima della morte. «Vi benedico da un altare scomodo - scriveva don Tonino - ma carico di grazia. Vi benedico da un altare coperto da penombre, ma carico di luce. Vi benedico da un altare circondato da silenzi, ma risonante di voci. Sono le grazie, le luci, le voci dei mondi, dei cieli e delle terre nuove che, con la Risurrezione, irrompono nel nostro vecchio mondo e lo chiamano a tornare giovane. Auguri. Vi abbraccio con grande affetto. Vostro don Tonino, vescovo. Pasqua di Risurrezione 1993». Al termine della messa dei giovani entrarono nella stanza portando una grossa scatola di cartone. Don Tonino l’aprì e ne uscì fuori un grosso pallone a forma di cuore con una scritta augurale. Il presule fu contentissimo e pregò che quel pallone fosse adagiato sull’armadio di fronte al letto, in modo che Egli lo potesse vedere continuamente. Intanto, nell’atrio del palazzo vescovile si erano radunati centinaia di giovani che piantarono, in omaggio al vescovo, un albero in una delle due aiuole prospicienti l’ingresso principale del Seminario. Ho fin qui raccontato qualche episodio dell’episcopato di don Tonino, ma avrei potuto citarne tanti altri. Voglio aggiungere che noi diciamo di chi è colpito da un male incurabile che adesso soffre meno. E’ vero, ma adesso saremo noi a soffrire la Sua mancanza
Autore: Michele de Sanctis