Quando l'amicizia annulla il tempo: scolari di Cesare Battisti si ritrovano sessant'anni dopo nella loro scuola
Una foto in bianco e nero, ingiallita dal tempo e scattata nell’aprile del 1954, nell’atrio di una scuola elementare. Questa storia un po’ libro Cuore e un po’ Carramba parte da lì, da quello scatto dei primi anni Cinquanta. Una normale foto ricordo di quelle che si fanno ogni fine anno a scuola: ci sono una trentina di scolari (tutti maschi perché all’epoca le classi miste erano ancora solo un sogno proibito) e al centro un uomo distinto e sorridente, Angelo Domenico Palumbo, il maestro. La vicenda degli scolari molfettesi della scuola elementare Cesare Battisti che si cercano, si trovano e si rincontrano cinquant’anni dopo, dando vita a una di quelle storie bianche ed emozionanti, che profumano di buono, prende corpo proprio nel 1990 quando il maestro Palumbo muore e tra i suoi ricordi personali spunta quella foto. Sul retro, a penna, sono segnati i nomi di tutti gli scolari. Un’accortezza che denota sensibilità e amore per i propri ragazzi e che uno di loro, Cosimo Morrelli, pensa di trasformare nell’occasione giusta per rincontrarsi tutti insieme ancora una volta. Dopo mesi di ricerca il primo incontro (1990) a cui ne fa seguito un altro nel 2004 per i cinquant’anni appunto. La rimpatriata dei “ragazzi” della Cesare Battisti, intanto, è diventata un libricino (di Cosmo Morrelli, Ricordi emozionanti di uno scolaro) e un’ospitata televisiva alla celebre trasmissione Piazza Grande condotta da Giancarlo Magalli andata in onda nel marzo del 2007 con prevedibile successo di ascolti (ben il 25% di share). E quest’anno che di anni da quello scatto ne sono passati ben sessanta, il rito non poteva che ripetersi. L’istituto Cesare Battisti è ancora un grazioso edificio color crema e il quartiere è più o meno quello anche se qua e la è “spuntato” qualche palazzo in più. Anche il grande portone verde scuro, ogni giorno attraversato da bambini festanti, sembra quello del ‘54: “appena suonava la campanella e le lezioni finivano scappavamo in strada: il primo che arrivava sul Corso vinceva” ricorda qualcuno sfogliando l’album dei ricordi ben impresso nella memoria. “Noi sedevamo sempre dietro perché di studiare non ne avevamo voglia, Giorgio invece sempre nei primi banchi!”. Arriva il deus ex machina dell’incontro Cosimo Morrelli che saluta Cosimo Amato (un vispo sessantenne con una vita da panettiere alle spalle) e Vittorio Mazzone (36 anni da funzionario all’Asl) e poi abbraccia Giorgio Muti, ingegnere dell’Eni in pensione, fratello di Riccardo. La classe del maestro Angelo si rianima all’improvviso e rivive di aneddoti, scherzi e giochi che riempiono di festosi ricordi il fossato scavato dal tempo. Un mondo dove i bambini giocavano con figurine e biglie quando andava bene e tappi, ciottoli e pezzi di sughero quando andava male. “Ma ci si divertiva lo stesso! Si giocava insieme spesso a pallone, prendendo gli stracci inutilizzati della mamma arrotolati alla bene e meglio e trasformando in porte improvvisate gli androni dei portoni! Giocavamo così delle ore e a volte per le lezioni non c’era tempo!”. Seguono strizzate d’occhio e sorrisini, poi è il momento di entrare. Saluto di rito alla direttrice, sguardo d’intesa con i custodi e dritti sicuri e spediti verso lo stesso atrio di sessant’anni prima. Ora in quell’angolo di cortile, c’è un alberello in più, ma per il resto è tutto uguale. Si scherza sul tempo passato, sui rari agognatissimi momenti passati all’aperto dagli scolari del tempo, su quanto sia bello essere ancora lì tutti insieme sessant’anni dopo. Qualcuno cerca di indovinare quale fosse la finestra della loro classe e la indica col dito sicuro, altri scherzano sulla trappola dei pennini (non esistevano ancora le biro) e su quanto fosse facile imbrattare il quaderno di inchiostro nero. Morrelli cerca di mettere ordine e sistema i suoi compagni di classe in un angolo. Ora è tutto pronto per la foto di rito e immortalare il momento: le mogli al seguito scattano, partono i flash, c’è spazio solo per i sorrisi. Poi tutti a zonzo per l’istituto. I corridoi della Cesare Battisti si tramutano in una miniera di ricordi, in un prolungamento di se stessi che permette di tornare indietro nel tempo anche solo per una manciata di secondi. Muti chiacchiera con Mons. Pietro Amato, allora studente modello, oggi insigne studioso di Corrado Giaquinto nonché direttore del Museo storico Vaticano oltre a importanti archivi religiosi a Roma. Poi si entra in palestra e “in classe”, la loro classe. Da uno smartphone salta fuori la foto di gruppo appena scattata. Sono tutti sorridenti, uniti e spensierati come quella mattina di sessant’anni fa.
Autore: Onofrio Bellifemine