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Primo Maggio a Molfetta: riporre il lavoro al centro della politica italiana Corteo della Cgil con i partiti di opposizione per un Primo Maggio dalla parte dei lavoratori. Colonna (Cgil Bari): crisi ancora presente. Filannino (Cgil Molfetta): Molfetta città dormitorio dove spadroneggiano i favoritismi del centrodestra
05 maggio 2011

MOLFETTA - Un primo maggio che non sa di retorica, ma che vuol essere dalla parte dei lavoratori, quello che ha preso vita a Molfetta. La celebrazione ha avuto inizio presso la Camera del lavoro Cgil (via Orsini) e da lì si è snodato il corteo, con l’appoggio di tutti i partiti della sinistra cittadini, che ha attraversato Corso Dante e via Sant’Angelo, facendo tappa alla villa comunale, dove sono state deposte due corone di fiori, una al busto di Giuseppe Di Vittorio, padre della Cgil, l’altra al monumento dei Caduti sul Lavoro.
Su Corso Umberto (altezza Liceo Classico), il comizio conclusivo. Giuseppe Filannino, coordinatore della Cgil di Molfetta, ha sottolineato come la festa del Primo Maggio serva a ricordare che l’Italia è unita dal lavoro, nonostante tutt’oggi persistano piaghe come quella del lavoro sommerso, dello sfruttamento, del lavoro sottopagato. Tutti frutti del malgoverno del centrodestra che in questi anni ha distrutto il contratto nazionale di lavoro, ha dissolto con il precariato il futuro dei giovani lavoratori costretti a scendere a patti e ricattati dal padronato, ha reinserito le gabbie salariali, secondo Filannino: per questo, non bisogna dimenticare le conquiste fatte dal sindacato e dai lavoratori, cercando di mantenerle in questo difficile momento.
Filannino ha analizzato la situazione della città di Molfetta, ridotta a quartiere dormitorio, dove il giovane lavoratore (molto spesso laureato) è costretto a riciclarsi nel pollaio dei call-center e, come nella maggior parte dell’Italia, il centrodestra spadroneggia, accumula potere, tramuta i diritti in favori concessi dal potente di turno. Per reagire a tutta questa barbarie, occorre un’idea di futuro diverso che non passi per schiavitù, continuando a gridare la voglia di dignità e di un avvenire migliore.
Ha preso poi la parola Matteo Petruzzella, portavoce dell’Associazione Studentesca Play Reverse, promulgatrice della riaffermazione del valore degli studenti all’interno della società e dell’impegno a ribadire la centralità e l’importanza di una scuola pubblica, libera e che si pone come simbolo di democrazia.
Si è passati, con Nicola Zaza (R.S.U-R.L.S Fiom Cigl), a parlare delle stragi che si consumano ogni giorno nei diversi ambiti lavorativi, dove la sicurezza e la salute dell’operaio sono posti in secondo piano rispetto alla ricerca spasmodica del profitto e alla smania crescente nell’ambito della competitività e della concorrenza, fattori che impediscono all’uomo di affermare la sua personalità sociale attraverso il lavoro.
Altro passaggio fondamentale è stato quello di Vito Messina (portavoce del Comitato Acqua Bene Comune di Molfetta), che ha puntato il dito contro l’oscurantismo mediatico sull’importante questione dell’acqua pubblica, che però non ha impedito la raccolta di un 1,4 milioni di firme utili alla proclamazione del referendum del 12 e 13 giugno prossimi contro la privatizzazione e per la ripubblicizzazione della stessa.
Il primo quesito referendario permetterà di abrogare la Legge Ronchi, impedendo la privatizzazione forzata della gestione dei servizi idrici, mentre il secondo quesito il “full cost recovery”, proibendo ai privati di ricavare profitti dalla gestione dell’acqua e prevenendo la gestione padronale degli acquedotti che può portare alla precarizzazione a una diminuzione dei diritti dei lavoratori impiegati in questo settore.
Discorso finale affidato a Pietro Colonna, segretario generale della Cgil di Bari, che ha iniziato la sua disamina dalla grave situazione economica che attanaglia il Paese e che i mass media quasi tutti controllati da Berlusconi mistificano. Non solo si racconta che si sta uscendo dalla crisi e che non occorrono interventi economici, ma si minimizza il reale e grave malessere etico, morale, economico e sociale: questo il risultato delle scelte deliberate negli ultimi 25 anni dalla destra europea e statunitense, che ha lasciato spazio alle politiche iperliberiste, portatrici di un concetto di lavoro non inteso come dimensione di ricchezza e sviluppo, perciò sfociato nella speculazione, nel capitalismo selvaggio e nell’impossibilità dello Stato di intervenire nelle politiche economiche. Insomma, un sistema che ha arricchito pochi e impoverito molti.
Contrapposta l’idea del lavoro da parte della Cgil, con le contromisure proposte per uscire dalla crisi, combattendo l’evasione fiscale e tassando le transazioni finanziare e i grandi patrimoni. Un tentativo per superare la precarietà della vita che il sistema attuale crea, facendo tornare il lavoro ad essere il centro della nuova idea di paese.

© Riproduzione riservata
Autore: Davide Fabiano
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2011 – Economia, società e politica possono essere considerate separatamente; la cosa, anzi, è stata fatta spesso. La crescita economica è in cima alle preoccupazioni dei governi dei paesi dell'OCSE e i loro consiglieri, funzionari o accademici che siano, contribuiscono a porre il problema al centro della politica, anche a costo di escluderne altri. Può servire la deregulation? E' proprio vero che l'inflazione rappresenta un utile lubrificante? Che tipo di imposizione fiscale si deve adottare per non impedire la crescita, ma anzi stimolarla? I teorici dell'economicismo – ossia coloro che erigono l'economia a ideologia politica – non solo ignorano i fattori sociali, ma li denigrano. Non è forse vero che un primo ministro, per incoraggiare gli individui a cavarsela con i propri mezzi, è arrivato a dire che “la società non esiste”? Ma anche in un periodo in cui i sociologi sono guardati con sospetto, e le loro fortune risentono del ricordo del Sessantotto, la società ha un numero sufficienti di difensori. Società, comunità, appartenenza, famiglia, religione: tutti questi temi sono soggetti a discussione. Si può dire che nei paesi dell'OCSE benessere economico, sociale e politico sono legati in modo nuovo e inquietante. Probabilmente la ragione è, per dirla in una parola sola, la “globalizzazione”. Tutte le economie sono intrecciate tra loro in un unico mercato competitivo, e nei giochi crudeli che si svolgono in questo teatro è impegnata dovunque l'intera economia. Sottrarsi a questi giochi è letteralmente impossibile, e gli effetti della globalizzazione si fanno sentire in tutti i campi della vita sociale. Lo scettico naturalmente inarcherà le sopracciglia perplesso e chiederà: siamo proprio certi che le cose vadano così? E perché dovrebbero andare così? E ancora: che cosa significa esattamente “globalizzazione”? Per come stanno le cose nel 2011, lo scettico ha ragioni da vendere: a tutt'oggi la globalizzazione è ben lungi dall'essere totale. Intere economie, tra cui quella cinese, sono più nazionali che globali (anche se una parte del successo conseguito all'interno è legato al loro coinvolgimento nel mercato globale). Si stanno formando regioni economiche che mirano a creare mercati comuni o aree di libero scambio (anche se questa può essere una reazione alle nuove forze produttive della globalizzazione più che un rifiuto delle stesse). All'interno dei vari paesi attività importanti come assistenza medica, asili infantili e istruzione elementare, se non l'istruzione tout court, sembrano sottrarsi completamente globale (anche se non può essere né un caso né una moda passeggera che i valori di un'economia globalizzante siano entrati in questi servizi). A questo punto, si potrebbe aprire un lungo discorso sulle imperfezioni della globalizzazione – ma resta tutto da dimostrare che si tratterebbe anche di un discorso contro la forza della globalizzazione.-
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