Presentato a Molfetta il rapporto sulle povertà della Caritas diocesana
MOLFETTA - Il rapporto sulle povertà, «un modo per rendersi conto delle sensibilità espressa nei confronti dei bisognosi, un’occasione per far emergere elementi utili nell’identificazione dei nuovi poveri»: la documentazione dei bisogni espressi dall’utenza per intervenire in modo mirato e conoscere la realtà del territorio, secondo Mons. Luigi Martella.
Tuttavia, la presentazione del terzo dossier sulle povertà Al disopra di tutto: la Caritas, tenutasi nell’aula magna del Seminario Vescovile, è stata, anche quest’anno, ignorata sia dalla comunità molfettese (se si esclude qualche interessato e i volontari della Caritas), sia dall’ente comunale, dal momento che un solo assistente sociale, di Terlizzi, è stato presente.
Del resto, i volontari della Caritas di Molfetta, hanno sottolineato che «nella creazione dei piani sociali di zona, il Comune di Molfetta non ha tenuto conto né del dossier sulle povertà, né dei dati e dell’attività della Caritas»: ma un piano di zona che misconosce la realtà effettiva di una città, non potrà mai essere veritiero e efficace.
La presentazione dei dati relativi a Molfetta è stata redatta dalla volontaria Mariachiara Pisani (a sinistra della foto), che ha registrato per Molfetta il maggior numero di utenze (385 su 841 rispetto al 2007 con 183 su 562), «un quadro complesso e variegato, come emerge dai dati raccolti dai 12 Centri di Ascolto parrocchiali, dal Centro d’Ascolto cittadino e dalla Casa d’Accoglienza. Sono storie di sofferenza, dolore e povertà legate alla solitudine - 14% rispetto al 4,37 del 2007 - e alle crescenti difficoltà della crisi economico-finanziaria».
L’utente-tipo è una donna, di 40 anni, italiana, coniugata, con un’istruzione discreta ma disoccupata, che gestisce con difficoltà l’economia familiare, soprattutto quando il marito non ha stabilità lavorativa. Sono situazioni in cui il reddito insufficiente non permette di fronteggiare le spese ordinarie (viveri e vestiario) e straordinarie. L’utente-tipo riproduce bisogni che riguardano l’intera famiglia: la disoccupazione del marito, il mantenimento dei figli, la gestione della casa.
In calo l’utenza straniera, «perché gli extracomunitari, soprattutto albanesi e marocchini, possiedono un permesso di soggiorno - il 21% rispetto all’1,22% del 2007 - e sono ben integrati nella comunità, con un lavoro ed una casa. Allo stesso tempo le mutate condizioni socio-politiche e l’impossibilità di trovare un lavoro li spingono verso altre mete».
In aumento i senza fissa dimora (6% rispetto al 4,37% del 2007): si tratta d’italiani e stranieri che alloggiano nei dormitori comunali, nelle stazioni ferroviarie o nelle carrozze abbandonate dei treni, nei casolari abbandonati di campagna, vittime di sfratti o senza nessun reddito, impossibilitati nel pagamento dell’affitto. A ciò si aggiunge la problematica della casa: «inadeguata, priva dei servizi igienici necessari, senza contratto d’affitto regolare, sovraffollata e con un canone d’affitto elevato». Crescono, pertanto, le difficoltà nel pagamento delle rate mensili, soprattutto per coloro che hanno un reddito molto basso: la mancanza di adeguati servizi sociali comunali obbliga molti indigenti a rivolgersi ai volontari della Caritas che riescono, nei limiti, a tamponare questa drammatica situazione.
Critiche le condizioni dei pensionati che si rivolgono alla Caritas: «ben il 73% è obbligato a gestire la propria vita con 400 € mensili, che oggigiorno non coprono nemmeno le spese delle prime due settimane del mese. Spesso non riescono a procurarsi non solo i beni di prima necessità, ma incontrano difficoltà per le spese mediche, le tasse e le bollette».
È sensibilmente aumentato anche il numero di persone portatrici di handicap non tanto fisici quanto psichici (l’1,85% rispetto allo 0,55% del 2007): «spesso sono persone in cura presso il SIM, considerate autonome, ma incapaci di gestire la propria vita».
Il dato che meglio descrive la situazione economico-sociale riguarda l’utenza distribuita per classe d’età: il 22% tra i 19 ed i 34 anni ed il 42% tra i 35 ed i 55 anni. I primi sono coloro che, provenendo da situazioni sociali o famigliari difficili, non riescono a trovare un lavoro e a integrarsi nella comunità, i secondi lamentano un reddito insufficiente (il 25%) rispetto alle normali esigenze: «a volte, non riescono a fronteggiare le spese di carattere ordinario legate alla gestione dell’economia famigliare, anche perché incapaci di rinunciare al superfluo».
È evidente che il problema maggiore è la precarietà o la mancanza assoluta di lavoro, che colpisce giovani e adulti, creando disagi e insicurezze. Sono uomini di mezza età che, in cassa integrazione o licenziati, si accontentano di lavori saltuari, magari anche malpagati o sottopagati. «È il lavoro la gravità più importante, contro cui si resta impotenti. Di fronte ad una richiesta di lavoro a tempo pieno del 22,26% solo nel 2% dei casi siamo riusciti a intervenire. Occorre trovare delle soluzioni efficaci e non temporanee, ottenere una collaborazione con gli enti comunali, fino ad ora latente, ed intensificare quella con le associazioni molfettesi di volontariato».
Eppure, il governo Berlusconi non manca mai di mostrarsi ottimista, di presentare una Italia uscita dalla crisi con successo. La crisi continua, invece, a mietere le sue vittime alla base della piramide sociale: è il popolo che soffre e che dovrà affrontare, da solo, un tasso di disoccupazione che nel 2010 sarà del 10,5% (dati OCSE). Nessuno, però, ancora lo rende pubblico a tutta l’Italia.
Autore: Marcello la Forgia