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Politica urbanistica dieci anni di fallimenti
15 aprile 2011

Allarme urbanizzazione a Molfetta. Non solo “Cementiade”, ma inadempienze e ritardi di programmazione. Imputati il Piano Regolatore Generale approvato nel maggio 2001 e le amministrazioni comunali dell’ultimo decennio. Mancano 5 anni alla scadenza del Prgc: non è stato avviato nessun dibattito o confronto con la città per il nuovo piano regolatore, con la conseguente redazione di piani di settore. Molfetta resterà senza un piano urbanistico nel 2016: un lustro è insufficiente per l’iter burocratico e la pianificazione, mentre le norme attuative prevedono la ratifica del nuovo piano urbanistico prima della scadenza del precedente. Con questa inerzia, nemmeno nel 2020 Molfetta avrà un nuovo piano regolatore, che stabilisca il recupero delle aree degradate e fissi un piano dei servizi finalizzato a una città più vivibile. Grave lacuna, se il piano regolatore è il primo strumento di programmazione della vita economica e urbanistica di una città. Quindici ha intervistato l’ing. Lillino di Gioia, già assessore regionale all’Urbanistica ed esperto del settore, per capire lo stato di attuazione del Prgc e le eventuali inadempienze urbanistiche del Comune di Molfetta. Evidenti le inerzie delle amministrazioni che hanno rinunciato alla redazione di piani di comparto, lasciando libera iniziativa ai privati, e dei piani di contorno (commerciali, turistici, ambientali e costieri). Quali saranno le conseguenze negative per il mancato miglioramento della vivibilità nella città di Molfetta? Come possiamo definire il piano regolatore di Molfetta? «È forse il primo della Regione Puglia impostato come piano di ultima generazione». Cosa vuol dire? «I vecchi piani regolatori definivano nel dettaglio lo sviluppo urbanistico della città, le urbanizzazioni, i tempi, le modalità. Il Comune doveva limitarsi a seguire le norme tecniche di attuazione. Mentre i piani di ultima generazione presentano le linee generali, ne individuano gli obiettivi, definiscono il territorio nei suoi vari ambiti, dando indicazioni di massima, ma demandano la parte attuativa ai piani di secondo livello». Quante zone possiamo riconoscere nel Prgc? «Oltre alla parte già urbanizzata e alle zone di espansione residenziale, il Prgc classifica le zone per le infrastrutture per la mobilità, zone a servizi e attrezzature d’interesse pubblico, le zone residenziali, le zone produttive e quelle agricole (vedi foto). Le zone produttive sono distinte in zone D1 per attività artigianali, D2 per attività a carattere comprensoriale, ovvero la zona Asi, D3 per attività di commercio all’ingrosso, magazzino e deposito, D4 per attività turistiche, la D5 per la sede portuale, la D6 per attrezzature e servizi tecnologici urbani. Comparti specifici possono essere considerati il piano per il verde pubblico, come il parco naturale e attrezzato di Lama Cupa, e la zona archeologica del Pulo con il relativo parco tematico con annesso museo. In capo a tutti, il piano particolareggiato dei servizi relativo ai vari comparti edificati e all’intero Prgc». Primo strumento attuativo del Prgc per le zone residenziali sono i piani di comparto, che definiscono la viabilità, l’espansione residenziale e terziaria, produttiva e commerciale, le aree per standards, i servizi pubblici e privati, il parco urbano. Sono stati redatti dal Comune dei piani di comparto per la nuova zona residenziale? «Nelle zone di espansione residenziale, il Comune avrebbe dovuto elaborare per ogni singolo comparto (22 complessivi, ndr) un piano particolareggiato, in cui il 60% dei terreni e dei volumi relativi era destinato alle cooperative e il 40% ai privati, oltre alle aree adibite ai servizi. Il Comune non ha predisposto e programmato niente. Quei piani sono stati, invece, redatti da uffici privati, poi presentati in Comune per l’approvazione. Infatti, le NTA prevedono che il piano di comparto possa essere anche d’iniziativa privata purché presentato dai proprietari di almeno il 30% delle aree interessate. Insomma, i privati si sono sostituiti al Comune inadempiente». Con i piani di comparto redatti dai privati, non si rischia di privilegiare l’edificazione di palazzine rispetto alle aree a servizio? «Se il Comune avesse affidato agli uffici comunali la redazione dei singoli piani di comparto, avrebbe organizzato l’area secondo una logica di perequazione urbanistica. Ad esempio, i servizi sarebbero stati distribuiti in modo equo all’interno del comparto, non in aree marginali». Secondo le NTA, gli interventi urbanistici e edilizi possono essere disciplinati dai piani pluriennali di attuazione, che hanno un periodo di validità quinquennale. È stato utilizzato questo strumento? «Il Comune di Molfetta ha scelto di non realizzare piani pluriennali di attuazione, lasciando ampia libertà ai privati. Sono stati sbloccati costruzione e vendita di quasi 4500 appartamenti in contemporanea, provocando lo spopolamento del centro città. Con i piani pluriennali avrebbe risparmiato nella realizzazione delle urbanizzazioni primarie, quali strade, delle fogna bianca e nera, negli allacci alla rete idrica e elettrica, realizzando quelle più vicine alle zone già urbanizzate». Insomma, nessuna programmazione per il quindicennio. Le NTA citano anche il piano particolareggiato dei servizi, che tipizza gli usi delle aree del comparto, determina le carenze esistenti e la realizzazione delle infrastrutture, dei servizi e delle attrezzature pubbliche. «Secondo l’articolo 5 delle norme di attuazione del Prgc, “entro sei mesi dall’approvazione del piano regolatore l’amministrazione comunale adotta un piano particolareggiato dei servizi finalizzato a coordinare le preesistenze e le previsioni di aree e di manufatti destinati a tale scopo”. Il Comune avrebbe dovuto portare in parallelo edificazione e servizi, anzi programmare prima il piano dei servizi, per realizzare insieme case e servizi. Sono passati dieci anni e questo piano non esiste». Quali le conseguenze possibili? «Mancando un piano dei servizi, non è possibile identificare le aree destinate al verde, alla scuola, all’impianto Lillino Di Gioia 7 15 aprile 2011 sportivo, alla chiesa, a centri commerciali, parcheggi o altro. Ad esempio, il Comune di Molfetta, invece di collocare il verde nelle aree a servizio, lo accumula nella lama come quota spettante per legge nel Prgc al verde attrezzato e risolve così il suo errore. L’assenza di servizi non solo congestiona il centro città, privo di parcheggi e senza navette di trasporto dalla periferia al centro, ma trasforma questa maxi area in un quartiere dormitorio. Intanto le aree a servizio sono rimaste marginali e abbandonate». L’assenza di un piano dei servizi influisce anche sul piano delle opere pubbliche? «Senza dubbio, perché, non avendo un piano dei servizi, non è possibile realizzare le opere pubbliche, che restano sempre sulla carta». Quando i privati hanno presentato il piano del comparto, il Comune approvandoli ha stabilito le quote delle urbanizzazioni primarie (strade, parcheggi, acqua, energia elettrica, fogna, gas, telefono, ecc.) e secondarie (verde, attrezzature scolastiche e socio-culturali, sanitarie e assistenziali, amministrative, ecc.), da pagare al rilascio delle concessioni edilizie. Se il piano dei servizi non è stato ancora redatto, le urbanizzazioni primarie sono parziele e le secondarie “in mente dei”, quelle quote come sono state utilizzate? «Le quote delle urbanizzazioni sono depositate su un conto bancario, ma per legge, se il Comune non le utilizza, può servirsi del 50% di quegli oneri per altri scopi, cosa che è sempre avvenuta anno dopo anno. Inoltre, quelle quote, elaborate dall’ing. Giuseppe Parisi (ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico Comunale fino al decennio scorso, scomparso nel febbraio 2009, ndr), risalgono alla lira e ai conteggi degli anni Novanta. Quando saranno realizzate le opere di urbanizzazione secondaria, quegli oneri saranno decuplicati e il Comune sarà costretto a mutui onerosi. È interessante capire quanto hanno versato cooperative e privati e sapere quando le urbanizzazioni primarie saranno complete e le secondarie diventeranno realtà. Questo è un sacrosanto diritto del cittadino. Bisogna evidenziare che siamo all’anno zero per la predisposizione di altri piani, a partire dal piano delle coste e spiagge con il raddoppio del lungomare e dal piano del verde attrezzato, dalla zona archeologica del Pulo e relativo parco tematico attrezzato. Per il nuovo piano della zona artigianale, restano i conflitti sulla individuazione della zona per la presenza delle lame e la velleitarietà delle due torri di 100 metri. Per la zona turistica delle D4 da Molfetta a Giovinazzo, parallela alla costa di Levante, non è stata avviata nessuna predisposizione, mentre il piano della mobilità e dei parcheggi è inesistente con finanziamenti perduti. Infine, il porto commerciale e turistico è il più grande fallimento per Molfetta. Si dovrebbe auspicare in merito un rifacimento dell’intera questione». Dopo dieci anni, è stato recentemente adottato dal Consiglio comunale il Piano dell’agro, con polemiche e accuse tra gli schieramenti politici. «Nel piano dell’agro ci sono molte storie e conflitti d’interesse di tecnici e sodali di molti rappresentanti della maggioranza comunale, com’è stato evidenziato nei mesi passati. Bisogna sottolineare che, in base alle NTA, nell’agro non dovevano essere consentite edificazioni o alterazioni ambientali permanenti di alcun genere, tranne che per soddisfare le necessità della produzione agricola, dunque solo l’abitazione del coltivatore». Cos’è successo? «Sono state edificate numerose villette, accatastate come case coloniche. Infatti, una forzatura della normativa consente a un proprietario terriero di sommare i volumi dei suoi poderi, far risultare il possesso di un grosso appezzamento e edificare una villetta. Questo la norma non lo consente, perché si tratterebbe di casa colonica, non di villetta. Però, nell’ultimo decennio, nell’agro di Molfetta sono state costruite molte villette con questo espediente in vacatio del piano dell’agro. E alcune particolari aree del Piano dell’agro potrebbero essere oggetto di questa somma di volumetrie». I piani di comparto o i piani particolareggiati devono tendere a riqualificazione funzionale dei manufatti di archeologia industriale, come Pal Bertig, Pansini Legnami, Cementificio Sallustio, Legnami Pisani, Cementificio Gallo, Cementificio de Gennaro, Fonderia di Pietro, Latterificio Messina, Opificio Pansini&Gallo. All’inizio del ‘900 Molfetta era stata chiamata la “Manchester del Sud” per la notevole attività industriale. Cosa è stato fatto in questi 10 anni per recuperare questi manufatti? «Essendo “zone bianche”, potevano essere recuperate e adibite a servizi pubblici, come teatro, museo, centro commerciale, verde attrezzato, incrementando quegli standard indispensabili per accrescere la vivibilità della città. Con una pesantissima forzatura, questi edifici sono stati azzerati e il Comune ha destinato le aree all’edificazione di palazzine». Cosa si potrebbe fare all’interno del Prgc? «Nella campagna elettorale del 2006 proponemmo un polo della socialità, che comprendesse l’Oratorio di San Giuseppe, l’Ex Mercato ortofrutticolo e l’Istituto Apicella, e della cultura a Ponente con la Fabbrica di San Domenico, l’Anfiteatro di Ponente che necessita di una copertura, l’Ospedale dei Crociati, fuori da ogni programmazione turistica, e la Casina Cappelluti. Era programmato anche lo spostamento dell’attuale mercato ittico nelle zone D3, come previsto dall’art.38 delle NTA, in cui si potrebbe collocare un teatro comunale sul porto esigenza sentita dalla città».

Autore: Marcello la Forgia
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