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Più nonni e meno neonati a Molfetta Una ricerca del prof. Veneziano dell’Università di Bari
15 febbraio 2001

Più nonni e meno neonati a Molfetta. Il dato emerge da uno studio del prof. Veneziano della facoltà di economia dell’università di Bari che ha condotto un’analisi dei movimenti demografici nella nostra città. Alla fine del 1861 Molfetta contava 25.528 abitanti, la popolazione ha poi raggiunto il plateau nel 1981 con 65.625 abitanti ma da quel censimento si è registrato un progressivo decremento. Dal 1998 ad oggi c’è stata una diminuzione di circa 1400 unità, lo scorso ottobre i dati hanno registrato 63.591 abitanti. Tale tendenza è da imputare al fatto che nel periodo tra il 1981 e il 1998 la componente negativa del movimento della popolazione (decessi più emigrazioni) ha prevalso su quella positiva (nati vivi più immigrazioni). È cambiata anche la composizione e la situazione economico-sociale dei residenti. Da una parte meno uomini, dall’altra donne più dinamiche. I primi sono passati da 97,8 ogni 100 donne nel 1961 a 95,2 nel ’98, mentre va scomparendo la figura della donna sposata, dedita a tempo pieno alle faccende domestiche, con il marito impegnato nel settore marittimo, per lunghi periodi lontano da casa e una copiosa prole da accudire. Anche nella nostra città si fa sempre più largo, invece, la figura della donna tra i tra i trenta e i quarant’anni, lavoratrice, con un partner più o meno fisso o in alcuni casi divorziata. Dunque per carità non parlatele di matrimonio o peggio ancora di figli: troppi problemi (costi e incertezze occupazionali) e poche case: meglio attendere! A causa di questi fattori dunque, anche il numero dei matrimoni è in calo a Molfetta ed è passato negli ultimi trent’anni da 8,64 ogni mille abitanti nel ’70 a solo 5,95 nel 1995. Meno matrimoni, meno nascite e profonde trasformazioni, quindi, soprattutto nelle famiglie. Per i nuovi nati, pochi a dire il vero (si è passati da 22,83 ogni 1000 abitanti nel 1960 a soli 9,40 nel ’95), meno cuginetti e nonni più longevi, come del resto in tutta Italia. Infatti, gli anziani con oltre 65 anni sono passati da 9,5 ogni 100 abitanti nel 1961 a 15,4 nel 1998. Per trovare coetanei con cui giocare i bambini dovranno trovare nelle città sufficienti ed efficienti strutture pubbliche o private che incentivino e facciano da contenitore sicuro alle esigenze di socializzazione dei bambini e al contempo rassicurino i genitori. Anche l’indice delle mortalità, il cui quoziente grezzo, cioè comprensivo della diversa composizione per età della popolazione, che è oscillato nel periodo 1960-1995 intorno ad un valore medio di 8,41 decessi per 1000 abitanti, registra negli ultimi anni un decremento effettivo che si giustifica con il miglioramento delle condizioni igienico sanitarie delle nostre città, con la crescente diffusione della cultura della prevenzione e con i progressi in campo medico scientifico compiuti negli ultimi anni. Tra le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione è importante monitorare la situazione del mercato del lavoro. Mentre nel 1961 su 100 giovani, tra i 15 e i 19 anni, che si affacciavano nel mondo del lavoro, soltanto 39,8 individui tra i 60 e i 64 anni si apprestavano ad uscirne, all’inizio del 1998 la disponibilità è quasi raddoppiata raggiungendo i 72,1 individui ogni 100. Nei piani di sviluppo della città andrà dunque considerata e dovrà avere un peso notevole nei programmi dei prossimi amministratori questa riconfigurazione del tessuto sociale. Si dovranno approntare misure e piani di sviluppo per migliorare la vivibilità della nostra città tenendo conto delle esigenze e dei bisogni di tutti i cittadini, giovani e meno giovani, considerando che dopo tutto, come scrisse lo scrittore francese Duvernois, bisogna avere una gioventù, poco importa l’età alla quale si decide di essere giovani. Michele de Sanctis jr.
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