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Pip3, inedificabile vincoli paesaggistici contro le speculazioni
15 aprile 2012

Cosa sarà del Terzo Piano per gli Insediamenti Produttivi (Pip3)? Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (TSAP) di Roma ha rigettato il ricorso del Comune di Molfetta contro la Perimetrazione di Assetto Idrogeologico (Pai) dell’Autorità di Bacino (AdB). Il sindaco senatore Antonio Azzollini, con poco buon senso, ma pur sempre nel diritto, ha fatto ricorso alla Cassazione contro la sentenza del TSAP che, pur non avendo valore politico, è stata una caustica sconfitta per Azzollini&Co.. Infatti, impone paletti ferrei per governare la drammatica situazione idrogeomorfologica di Molfetta, intralciando la pianificazione urbanisticoedilizia- finanziaria comunale, non tanto per l’area urbana, quanto per quella industriale. Il Pai annulla il Pue del comparto 21, l’autoporto funzionale al nuovo porto commerciale. Mette in crisi il Consorzio Asi. Soprattutto il Pip3, uno dei totem azzolliniani, collocato su zone ad alta pericolosità idraulica, tagliato dalle acque pubbliche Lama Scorbeto e Lama Marcinase, oltre a Lama Pulo, aree interessate da numerosi vincoli restrittivi. PIP3 INEDIFICABILE? Troppi i vincoli paesaggistico-ambientali sul Pip3. Innanzitutto, i 75 m delle fasce di pertinenza fluviale, l’area subito inondabile durante gli eventi di piena (i possibili interventi sono subordinati a uno studio di compatibilità idrologica, alla realizzazione di opere di mitigazione del rischio e, soprattutto, al parere dell’AdB). A questi, si aggiungono i 150m della fascia di rispetto, l’area interessata dalla dinamica del corso d’acqua (Codice dei beni culturali e del paesaggio), che però non coincidono con i 150m della fascia di rispetto paesaggistica. Una novità nell’esame del Pip3, spiegata a Quindici dal dott. Guglielmo Facchini, portavoce dei proprietari dei suoli attraversati dalle lame ad alta pericolosità idraulica: «questa fascia si calcola dal ciglio più alto delle ripe dell’asta fluviale e, dunque, l’area di rispetto totale è di ben 300m a destra e a sinistra dall’asta fluviale». Altri i vincoli fissati dal Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (PPTR), come, ad esempio, la riduzione dell’artificializzazione del reticolo idrografico, della pressione insediativa e dei detrattori di qualità paesaggistica (unità edilizie) per garantire il naturale deflusso dei corsi d’acqua e conservarne gli elementi di naturalità. Perciò, sono vietati nuovi manufatti edilizi, scavi negli alvei delle lame, trasformazioni che aumentino la superficie impermeabile (es. le strade) e alterino gli equilibri idrogeologici, la rimozione della vegetazione arborea autoctona, infine la realizzazione di gasdotti, elettrodotti, linee telefoniche o elettriche. Insomma, tutte quelle opere non connesse alla presenza della lama. Il Comune e il Consorzio Asi hanno rispettato direttive e prescrizioni del vecchio Pai e dello studio del Dipartimento di Architettura e Urbanistica dell’Università di Bari? Secondo la cartografia georeferenziata fornita in esclusiva a Quindici proprio dal dott. Facchini, executive manager della Città della Scienza “San Corrado di Baviera”, che sovrappone alla mappa catastale della zona industriale i vincoli paesaggistico-ambientali, i due enti avrebbero concesso numerosi permessi di costruire in zone ad alta pericolosità idraulica in questi anni, nonostante i chiari divieti imposti dalle leggi. «Puntualmente quelle superfici sono state stuprate dalla edilizia selvaggia della amministrazione locale che ha ignorato le aree in cui è vietato costruire, occupando quelle vietate dello Studio DAU del 2000 e del PAI del 2006 e del 2009 - ha aggiunto Facchini -, situazione che, ora espone a rischio la vita dei cittadini e che oggi, a quanto pare, è all’esame della magistratura ». Questi i vincoli vigenti e futuri. Ma il ricorso in Cassazione lascia tutto in sospeso. «Se mai si dovesse riscrivere il Pai secondo le richieste del Comune, resterebbe alto il rischio idraulico a Molfetta, già inserita dalla Legge n.267 del 1998 (cosiddetta “Legge Sarno”, ndr) nell’elenco dei primi cento Comuni di Italia a forte rischio, come ribadito dalle Legge n.365 del 2000 che fissa gli interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato - ha aggiunto Facchini - nel 2000, però, non si era ancora attuato il saccheggio del territorio dell’ultimo decennio, che ha aggravato il rischio idraulico di allora». A quanto pare, l’AdB dovrebbe anche emettere un altro Pai. «È intenzione dell’AdB pubblicare, in caso di sentenza sfavorevole della cassazione, in due settimane di tempo il nuovo Pai perché, dopo molteplici segnalazioni di manufatti edificati in zone ad alta pericolosità idraulica, sta rivedendo in senso peggiorativo il Pai di Molfetta del 2009 - ha precisato Facchini -. La stessa Adb, avrebbe emesso comunque un nuovo Pai, a prescindere dalla sentenza della cassazione». Dunque, la nuova perimetrazione fotograferebbe una situazione più grave rispetto a quella accertata nel 2009, per l’urbanizzazione selvaggia che il Comune di Molfetta ha continuato a imporre al territorio. LA PANZANA DI PULCINELLA Com’è possibile affermare nella Relazione Tecnica Illustrativa che modesta sarebbe la pericolosità idraulica dell’area interessata dal Pip3? Che il piano non compromette la situazione geomorfologica e idraulica del territorio, ma riduce sensibilmente, o addirittura elimina, le portate di futuri eventi alluvionali? Può davvero essere innocua una lama deviata, ostruita e a tratti obliterata? Quando Lama Scorbeto, Lama Marcinase e Lama Pulo avrebbero perso «le caratteristiche che, da un punto di vista idrologico, ne potessero fare un elemento critico del territorio»? Il piano dell’ing. Rocco Altomare, allora dirigente del Settore Territorio, prevedeva anche impianti di raccolta, riutilizzo e smaltimento delle acque. Queste vasche di laminazione avrebbero potuto davvero evitare o attenuare l’onda di piena (milioni di metri cubi) o sarebbero state inadeguate, come pare sia l’opera di mitigazione sul Gurgo per Lama Scorbeto? Chi ha controllato l’operato dell’ing. Altomare, considerati i presunti reati contestati dalla Procura di Trani nell’inchiesta “Mani sulla città”? Ancora più sconvolgente leggere che Lama Marcinase, inclusa nell’Elenco delle Acque Pubbliche, sarebbe un semplice «fosso» per l’elevata antropizzazione: una mossa tecnica per liberare l’area nord del Pip, collocata dove si incrociano gli affluenti di Lama Marcinase (anch’essi acque pubbliche), a po- Sovrapposizione georeferenziata e catastale del PAI 2009, dello studio DAU 2000 (blu scuro) e della zona industriale - Consorzio ASIchi metri dallo sbocco a Cala San Giacomo, in prossimità del comparto 21 (autoporto) e dell’ampliamento della zona ASI. Questo era il Pip3: una serie di “forzature” con cui si sarebbe potuto anche derubricare e poi edificare le lame, aumentando la pericolosità idraulica dell’area e violando la normativa vigente. Persino in barba alle pur limitate prescrizioni del Prgc del Comune di Molfetta, secondo cui le aree a vincolo idrogeologico non sono edificabili. SPECULAZIONI ANCHE SUL PIP3? «È risaputo che costruire il Pip3 a tutti i costi dove non si può potrebbe nascondere interessi personali e speculazioni finanziarie - ha commentato Facchini -. Anziché sprecare denaro pubblico per opere inutili e faraoniche, sarebbe ora di mettere in sicurezza le zone già edificate dove cittadini innocenti e lavoratori rischiano la loro vita in caso di inondazioni». Facchini ha lasciato intendere che le imprese che avrebbero fatto domanda per l’assegnazione dei lotti del Pip3 non sarebbero 100, bensì appena ventisette, «alcune comparse solo per far numero, qualcun’altra potrebbe anche avere legami con la “corte del re” e pare, inoltre, che non tutte abbiano avuto le caratteristiche di aziende per attività produttive per l’inclusione nella graduatoria». Altra questione non secondaria, i prezzi dei disciplinari delle opere delle urbanizzazioni. «Si tratta d’importi che mi sembrano poco vicini a quelli ufficiali, come anche per il Pirp e altre opere pubbliche previste o già eseguite », il parare di Facchini, in base ai listini dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Bari e quelli provinciali delle opere pubbliche, aggiornati e pubblicati periodicamente secondo le deliberazioni della Regione Puglia per impedire abusi e truffe. «Sono sprechi di risorse pubbliche, malcostume tutto italiano perché politici e funzionari sono a totale digiuno di urbanistica - ha commentato Facchini -. L’amministrazione comunale di Molfetta, pur avvisata dalla Regione Puglia, continua a fare orecchio da mercante e ora chi ne paga le conseguenze sono i cittadini, che potrebbero chiedere un risarcimento danni al Comune e al Consorzio ASI». UN NUOVO PIP? Un nuovo Pip sarà possibile se spostato nelle aree prive dei vincoli paesaggistico-ambientali, alle spalle dell’attuale zona industriale e ASI, a prescindere dall’esito del ricorso contro il TSAP. Ma Molfetta ha davvero bisogno di un nuovo Pip, dopo il flop del programma economico-commerciale degli ultimi anni? La sentenza del TSAP aveva indirizzato il Comune di Molfetta verso la valorizzazione del territorio, con il restauro dei paesaggi storici e la salvaguardia dei caratteri identitari e delle unicità del paesaggio locale, evitandone cancellazione, omologazione e banalizzazione, come avvenuto sin dagli anni ’70. «Con il “Patto territoriale Area metropolitana Terra di Bari 2015” - ha ricordato Facchini - la Regione Puglia ha destinato 9,5milioni di euro per la salvaguardia e il ripristino delle acque pubbliche di Molfetta con piani di recupero di Lama Cupa (la Lama, ndr) e Lama Marcinase, deturpate dalla speculazione edilizia dell’amministrazione Azzollini, nonostante il PUTT/p ne fissi la protezione». Eppure, mancano provvedimenti comunali per ottenere l’erogazione di questi fondi. Così si devastano le acque pubbliche di Molfetta

Autore: Marcello la Forgia
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