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Percorsi nella filosofia del Novecento (seconda parte) CAFFE' FILOSOFICO
15 dicembre 2014

L’università italiana sta att r aver s ando un momento di profonda crisi dovuta al fallimento del 3+2. Il reclutamento di forze giovani è nei fatti bloccato da anni ( vi sono circa centomila dottori di ricerca inoccupati). Specialmente nelle facoltà umanistiche insegnano ancora vecchi matusa particolarmente esperti in pratiche clientelari e nel nepotismo più sfrenato. Tutto questo incide sulla proposizione di una narrazione per il prossimo millennio. Le letture che verranno proposte ( fra l’altro si trovano anche on line su Facebook) sono intese a colmare le paurose lacune messe in campo dalle università di regime sempre più destinate alla penosa funzione di parcheggio e di controllo della forza lavoro intellettuale. Il quadro di riferimento, le coordinate culturali saranno fornite dal post-strutturalismo e dalla filosofia della decostruzione, problematiche sulle quali Marino Centrone ha lavorato negli ultimi vent’anni. 

Percorsi nella filosofia del Novecento Lettura I Pensiero formale e materialismo dell’incontro Lettura II Positivismo logico Lettura III Filosofia analitica Lettura IV Falsificazionismo Lettura V La distruzione della ragione Lettura VI L’opera filosofica di Jean Cavaillès Lettura VII Sigmund Freud e la Psicoanalisi Lettura VIII Surrrealismo e futurismo Lettura IX Post-strutturalismo Lettura X Scuola di Francoforte Lettura XI Strutturalismo Lettura XII Marxismo Lettura XIII Operaismo

 Althusser continua la sua ricostruzione del materialismo dell’incontro con la filosofia di Spinoza, da qualche parte aveva già scritto ‘in fondo quelli della mia generazione sono stati tutti spinoziani’. Pur partendo direttamente da Dio, il concetto di Dio-Natura apriva uno spazio di potente protagonismo alle monadi vaganti dell’universo. L’uomo è una monade sia per quanto riguarda l’attributo divino dell’estensione (il corpo), sia per quanto riguarda l’attributo del pensiero (le idee). Esiste un rigoroso parallelismo fra ordine del pensiero e ordine delle cose che elude ogni possibilità fondativa di natura trascendentale. Il referente polemico di Spinoza era la filosofia di Cartesio che partendo dalla coscienza e dal dubbio perviene, attraverso le tre prove di esistenza (ontologica, causalistica e finalistica), a Dio e alla visione gerarchica dell’universo. L’ordine delle cose, l’ordine del mondo non può essere assorbito nel mondo delle idee; la robusta consistenza ontologica dei fatti è garantita dal parallelismo fra i due attributi infiniti (pensiero ed estensione), il realismo. La conoscenza si muove dalla generalizzazione concettuale al concreto materiale, che rimane concreto, un concreto contraddittorio che deve essere svelato, rilevato, svuotato del suo contenuto ideologico. L’ideologia ha pertanto una base concretamente materiale che in seguito con Marx verrà definita come reificazione: il feticismo delle merci. Nel processo di conoscenza non è l’oggetto che cambia, un modo è sempre un modo, una articolazione della estensione, ma il rapporto che il soggetto instaura col mondo delle cose. L’oggetto teorico di Spinoza era la tragica situazione del popolo ebraico, era la sua potenza vitale, il conatus, era il suo corpo, era l’inerzia del reale mistificato, era il suo nascosto ateismo, il suo non confessato ateismo, era il nominalismo come preludio al materialismo. Althusser in quegli anni si appropria di questo dispositivo teorico e lo mette in campo nel dibattito politico, all’interno del partito, vuole farne uno strumento di lotta per ribadire la partiticità della teoria. Per Spinoza le monadi cadono come le gocce d’acqua, sono atomi vaganti nell’universo che possono o non possono incontrarsi, possono finire su una roccia o su una pianta, nel mare o in un torrente. Se trasferiamo questo quadro alle vicende umane, ne deriva una visione complessa della storia, densa di richiami alla situazione attuale, alla situazione del tempo presente. Anche la situazione implosiva che Althusser descriveva in quegli anni con quell’urlo disperato alla nuova giovinezza del mondo, era la presa d’atto che le politiche restaurative messe in atto dalle destre (l’epoca di Reagan) non avrebbero definitivamente compromesso la forza protagonistica dei soggetti, il conatus, i bisogni dei soggetti, la loro forza vitale. Del resto vi è nei testi di quegli anni un richiamo forte a dei protagonisti sociali che nel ventennio successivo avrebbero dominato la scena politica, il sottoproletariato e i lavoratori del subappalto, l’altro movimento operaio, i sans papier e i migranti. Un ruolo viene riservato nella ricostruzione che si sta proponendo anche a Hobbes; questo pensatore inviato dal demonio - sostiene Althusser – pensava che la società era costituita da uomini che agivano nei confronti degli altri come lupi, la competizione, la gara, l’appaltarsi il cibo per i bisogni primari. Era la descrizione della nascente società capitalistica, era il mercato che stava distruggendo i vincoli della precedente società feudale. Nella competizione, nello scontro, nella guerra bisognava trovare un momento di mediazione, il pactum subiectionis, il patto di soggezione, il momento in cui i soggetti alienano la propria libertà ad un capo, un desposta che può disporre della loro vita e della loro morte. La funzione del sovrano, del despota, del Leviatano è quella di garantire la convivenza; la paura del potere, la possibilità di essere annientati costringe gli uomini a convivere, a non sbranarsi, a non cibarsi del corpo altrui. Anche in questo spazio di costrizione vi è tuttavia la possibilità di agire, la possibilità del fare, di amare, di generare, di produrre, di pensare; uno spazio aleatorio come quello configurato da Epicureo e Spinoza. Nel Settecento si colloca l’opera di J.J. Rousseau e le sue tesi innovative sullo stato di natura. Nell’analisi viene riservata una riflessione particolare al Discorso sull’origine delle lingue: lo stato di natura viene descritto come presenza dispersa di uomini non ancora inseriti in una comunità, atomi vaganti nelle foreste alla ricerca di cibo e di animali, di legna da ardere, di una grotta in cui potersi difendere dalle intemperie. In questo contesto le relazioni fra uomini, le relazioni fra donne e uomini erano fugaci, occasionali; ci si poteva amare solo per una notte per mettersi in viaggio il giorno dopo sempre alla ricerca del cibo e della legna. Secondo Rousseau furono le grandi catastrofi naturali che spinsero i primi abitanti della terra a cercare relazioni e insediamenti più stabili, a determinare nuove modalità di comportamento nella cura e allattamento dei figli. Tutto questo avveniva sulla base di scelte radicalmente umane non definite da un Telos originario o da un preteso Ordine universale; gli uomini nella tragiche circostanze del loro esistere erano gli unici protagonisti del proprio destino e il contratto sociale nacque come bisogno di sicurezza e premessa di continuità della specie. Derrida ha descritto in modo meraviglioso nella Grammatologia i primi incontri d’amore, quando le ragazze venivano ad attingere l’acqua dalle fontane e i giovani pascolavano le greggi e vi erano i primi sguardi dolci, i primi sguardi d’amore, e i suoni della lingua giorno dopo giorno non erano più grugniti, ma suoni musicali e diventavano canto, nenia, la nenia che accompagnava le dolci carezze. Questi uomini non avevano bisogno di dei, né di stati, per loro era sufficiente non sbranarsi, era sufficiente tendere la mano e con il tendere la mano formavano le prime famiglie, le prime comunità, le prime occasioni di incontro. L’acqua era un bene comune, quel magnifico cristallo che usciva dalle fontane, non era stata appaltata da nessun padrone o protetta da cancelli per impedire l’accesso a chi ne aveva bisogno, le grilles, le inferiate; la fluidità dell’acqua come la fluidità del pensiero, l’uso dell’acqua come un bene universale, lo scorrere delle acque come il ritmo del pensiero, come il flusso di coscienza, la giusta esigenza universale del pensiero di pensare. In questo senso è necessario rileggere Il Capitale di Marx specialmente in quelle parti in cui parla del modo di produzione; anche nella produzione avviene un incontro fra il detentore del denaro e dei mezzi di produzione (il capitalista) e colui che detiene solo la forza-lavoro (il proletario), quell’incontro avrebbe potuto non aver luogo, sono i soggetti che instaurano l’incontro e le modalità dell’incontro, i tempi della giornata lavorativa. Togliendo all’incontro ogni determinazione necessaria, si scardina uno dei postulati del dettato capitalista per cui i rapporti di produzione sono eterni, quasi naturali e si restituisce ai soggetti un piano virtuale di affermazione e di pratica politica, si restituisce ai soggetti la possibilità della parola. Sulla dialettica langue e parole è facile proporre l’analogia con la dialettica servo-padrone o il rapporto fra il pozzo e la piramide, perché la parole è la parola del soggetto, ci sono, esisto, esisto come soggetto pensante, mentre la langue rappresenta, l’ordine costituito del linguaggio, se vuoi parlare devi usare questi fonemi, questi morfemi, questa struttura sintagmatica. Nel Novecento i due livelli si sono definiti come produzione del teorico, la produzione all’interno della langue, del contesto-linguaggio che è poi diventato l’inglese, da una parte, la produzione di parole, di pratiche teoriche dell’incontro dall’altra. Questo dualismo si è coniugato con la divisione internazionale del lavoro immateriale sul piano mondiale. Centri di ricerca in cui si lavora all’interno della langue, centri di ricerca ed accademie in cui ancora si coltiva la parola. Geograficamente le due aree tendono ad identificarsi con la divisione del lavoro intellettuale fra gli Stati uniti d’America (M.I.T., Harvard, Yale, Stanford) e il vecchio Continente insieme alle università del sub-mondo. In questo contesto sarebbe opportuno allargare l’analisi a quello che sta avvenendo in Cina, in India e nell’America latina come, anche, delle cose pregevoli avvengono nell’università di Gerusalemme. Nelle università americane, non sono del tutto banditi insegnamenti scomodi; basti pensare che nel recente passato hanno insegnato P. Feyerabend, il sostenitore dell’anarchismo epistemologico e N. Chomsky, l’autore che ha inventato la grammatica generativa, anche se è un leader anarchico. La Boston University che con il Boston Colloquium ospita filosofi europei, la stessa Columbia che promuove una decisa internazionalizzazione della cultura. Tuttavia in una prospettiva globale possiamo parlare, con una certa attendibilità, di divisione internazionale all’interno del lavoro intellettuale, il capitale cognitivo, la conoscenza come fattore produttivo. Ed in questo contesto scegliere un settore particolare, quello della produzione di teoria, la teoria della conoscenza. All’interno di questo settore esistono e si sono definiti nel corso del Novecento due comparti: la filosofia analitica e la filosofia continentale. I due autori che con lucidità hanno investigato il problema sono stati E.Husserl in Logica formale e trascendentale e L.Wittgenstein nel Tractatus logico-philosophicus. Per Wittgenstein dopo aver creato il linguaggio algoritmico e formale bisogna liberarsi della scala perché allora cominciano i problemi filosofici, Husserl pone invece fin dall’inizio il problema del senso, del telos, del rapporto delle scienze con il mondo della vita e conduce questa indagine attraverso un serrato confronto con i due giganti del pensiero, i creatori dell’alfabeto del mondo G. Frege e D. Hilbert. Il secondo nella cattedrale di Göttinga intuì che quell’alfabeto, quel linguaggio poteva essere ridotto a linguaggio macchina, linguaggio che si poteva associare a simboli, a numeri, linguaggio computabile, la gödelizzazione (K. Gödel). Husserl avvia dopo la separazione da M. Heidegger, una serie di ricerche che ancora oggi sono prevalenti nelle università tedesche: il rapporto con Bolzano, con l’algebra di Boole, il nesso fra sintassi e semantica di un linguaggio, che cosa in sostanza significa pensare. Dopo la seconda metà del secolo il dualismo fra Filosofia analitica e Filosofia continentale si accentua, anche ad opera di maestri del pensiero che nel periodo del nazismo erano fuggiti in America ( R. Carnap, O. Neurath e gli altri) al punto che uno degli ultimi esponenti della filosofia analitica H.Putnam poteva tranquillamente parlare di due culture, due diverse immagini del mondo. “ C’è naturalmente un’audace minoranza di filosofi per esempio Kuhn almeno in alcuni suoi momenti, Feyerabend ed alcuni importanti filosofi continentali come Foucault che si schierano sotto l’etichetta opposta. Essi concordano sul fatto che l’unica alternativa a una concezione ingenua della verità come copia, come corrispondenza alla realtà, consiste nel considerare soggettivi i sistemi di pensiero, le ideologie e persino (secondo Kuhn e Feyerabend) le teorie scientifiche e quindi propongono in maniera vigorosa una visione relativistica e soggettivistica “E ancora“ Sia Feyerabend sia Michel Foucault hanno inteso proporre posizioni sempre più estreme: c’è qualcosa di politico nelle loro mentalità: infatti, entrambi quei filosofi mettono in relazione i nostri attuali criteri istituzionalizzati con il capitalismo, lo sfruttamento e persino con la repressione sessuale. Vi sono naturalmente molte ragioni diverse fra loro per le quali oggi molti sono attratti da un relativismo estremo e una di queste ragioni sta nell’idea che tutte le istituzioni e le tradizioni esistenti sono un male in se stesse”. Feyerabend e Kuhn, a parere di Putnam, hanno avuto illustri predecessori, i maestri del sospetto Marx, Freud e Nietzsche. “Marx, Freud e Nietzsche avevano in comune il fatto che consideravano le nostre idee etiche e religiose più radicate come il riflesso dell’irrazionale, dell’interesse di classe ( nel caso di Marx), dell’inconscio ( nel caso di Freud e di Nietzsche). Al disotto di quelle che amiamo considerare come le nostre vedute morali e spirituali più profonde giace un calderone ribollente di pulsioni di potere, interessi economici e di fantasie egoiste. Questa è la visione del mondo al margine estremo del relativismo, oggi“. Sullo stesso ordine di idee sono comparsi in Italia dopo la liberazione sia maestri del pensiero come Ludovico Geymonat sia squallidi imitatori, i campioni del positivismo logico che occupano tutte le cattedre di Filosofia della scienza nel nostro paese. In queste letture è nostra intenzione proporre una visione, una prospettiva diversa; preferiamo parlare di continenti teorici, storia delle idee e mostrare i momenti che hanno rappresentato la Filosofia del Novecento: Positivismo logico e Filosofia analitica, il Falsificazionismo di K. Popper, la filosofia di G. Lukàcs, Sigmund Freud e la Psicoanalisi, G. Bataille e il surrealismo, la Scuola di Francoforte, Strutturalismo e Post-strutturalismo, Marxismo ed Operaismo. Perché la concezione del mondo oggi, nel terzo millennio, è cambiata: ai due aggregati omogenei che costituivano gli strumenti interpretativi del secolo scorso ( borghesia e proletariato ) si è sostituito un soggetto molecolare e proteiforme con una molteplicità di figure intermedie alla ricerca di una collocazione di classe, il cittadino dell’impero, le nude vite che sono in attesa di una nuova narrazione. Uno degli elementi di questa nuova narrazione è la soddisfazione dei bisogni primari che la società odierna non riesce a garantire per tutti allo stesso modo, non riesce a garantire neanche un lavoro, un salario perché viviamo una fase in cui esiste la carcerazione dei migranti nei Cpt e la precarizzazione del lavoro intellettuale. L’ottica, la chiave di lettura che proponiamo è nell’uso del dispositivo teorico messo in campo da György Lukàcs, il classismo della conoscenza, per proiettarlo sui nuovi saperi. 2 - Fine (la puntata precedente è stata pubblicata nel numero precedente)

Autore: Marino Centrone
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