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Perché i voti non sono tutti uguali Appunti sul prossimo futuro del centro-sinistra molfettese
15 aprile 2005

In politica, si sa, due più due non fa quattro. A due settimane dal voto, si fa un gran parlare di percentuali e di cifre. Assai quotate anche divertenti e inutili riflessioni su: chi ha sottratto consensi a chi, quanto ha pesato e quanto continuerà a pesare, nel centro-sinistra, il “fattore L” (fattore “inevitabile” con il quale “bisogna fare i conti”: una specie di calamità meteorologica mandata da Giove pluvio), come si potrà gestire il prossimo “fattore V” (annunciato come imminente dalle previsioni di tutti, persino dai pochi non-guru della politica molfettese). Nel frattempo si è pure riattivata la consueta elegia sul tema: “da soli non ce la faremo mai”. Cosa verissima, che però non può esimere nessuno dal porsi qualche domanda in ordine alle ragioni di questa che pare un'endogena inadeguatezza numerica. Il punto è: il voto d'opinione è uguale al voto ottenuto all'ultimo minuto dall'elettore occasionale? Certo che sì: l'urna non fa differenza. Ma prima di arrivare alle prossime urne, a un anno dalle elezioni amministrative, le percentuali, i pesi, le cifre registrate nell'ultima consultazione si devono leggere tutte alla stessa maniera? Esiste la possibilità di valutare il “potenziale” presente in ciascun risultato, tentando, se possibile, di investire molto di più nei potenziali maggiori? Alcuni che politologi non sono, né vogliono esserlo, ritengono che ragionare solo per “pacchetti di voto” non sempre paghi. Certamente esistono “bacini fissi”, ma accanto a questi possono e devono esistere “bacini mobili”: il voto d'opinione può crescere (o decrescere) anche di molto, il voto immobile (il “pacchetto”) può essere una garanzia, ma anche una pericolosissima zavorra. La domanda d'obbligo, allora, è: come si cresce? Su questo punto, al momento, i pareri sembrano abbastanza discordi, ma, in definitiva, sintetizzabili entro due orientamenti: quello dei “pragmatici” e quello dei “puristi”. I “pragmatici” credono che in politica le alleanze vengano al primo posto, che occorra “sporcarsi le mani” e che, in ultima analisi, per acquisire una vera “cultura di governo” si possa e si debba “andare al tavolo” con chiunque: del resto “tutti possono cambiare” e, per provvida discesa dello Spirito, fare ammenda dei propri peccati, sposando, finalmente, la giusta visione della politica. Sulla sponda opposta si arroccano i “puristi”, fieri del loro integralismo e, in fondo, anche del loro essere minoritari: niente accordi, niente dialogo, niente strette di mano, niente scambi né pericolose contaminazioni, con nessuno; qualsiasi mossa potrebbe essere fatale, perciò meglio restare ciascuno al suo posto; i “puristi” sono avvezzi a gridare vendetta e a vedere nemici dovunque, anche dove non c'è nessuno. Ben distribuiti in ambo gli schieramenti, sono, inoltre, gli alti, altissimi guru della politica molfettese: spesso passano il tempo a perfezionare sottili conversazioni sui massimi sistemi, godono e quasi si stupiscono della loro capacità di descrivere scenari, elaborare strategie, disegnare prospettive (il più delle volte non attendibili: ma questo non è importante); di norma discettano su questioni alle quali non a tutti è dato di esprimere un'opinione, ché, quand'anche si trattasse di pareri ragionevoli, si tratterebbe di punti di vista non sufficientemente legittimati dal consueto 'parterre' degli opinionisti di casa nostra. Non c'è dubbio: prendere posizione, partecipare, persino andare a votare è diventato davvero difficile per l'elettore di centro-sinistra, non quello dell'ultimo minuto, ma quello che tanto vorrebbe veder “crescere” lo schieramento nel quale, malgrado tutto, continua a credere. Molti elettori che, nauseati naturalmente da queste destre, disapprovando in toto le logiche e le scelte operate dalla maggioranza di governo (cittadina e nazionale), ancora danno il proprio voto (a volte più un “voto di fede”, che di fiducia) a uomini e partiti del centro-sinistra molfettese, molti di questi elettori sarebbero assai più felici se si perdesse meno tempo a disquisire, e, con più umiltà e impegno, ci si ponesse per obiettivo uno studio serio e un'analisi serrata dei problemi, delle cose, dei fatti, arrivando in tempi ragionevolmente brevi a una sintesi di proposte, di soluzioni pianificate e concertate, di progetti condivisi e allargati. Se il quesito è “come si fa a crescere” (quesito che diventa disperato se posto il giorno prima delle elezioni, ma che può ammettere risposte positive anche a un anno dalle prossime consultazioni), la risposta (una risposta) può essere: stando nelle cose, dotandosi della necessaria consapevolezza e intelligenza dei fatti che accadono, oltre che di un vero progetto di gestione e visione alternativa della cosa pubblica. “Sporcandosi le mani” sì, ma non coi tatticismi d'accatto; restando coerenti ai propri principi sì, ma non per snobismo o per cieco amore di diversità. Solo così possono nascere e crescere le passioni, anche quelle di sinistra. La chiarezza, la concretezza e la piana esposizione delle questioni, inoltre, renderebbero certamente più semplice l'accesso alla politica dei molti che ancora sono diffidenti, confusi o disillusi, ed anche di quelli che, pur ostinandosi loro a votare con una qualche convinzione il centro-sinistra, certamente non sono motivati a fare alcuna efficace opera di “proselitismo”, come pure potrebbero. Inutile dire che un lavoro del genere è oltremodo faticoso, per quanto appassionante. Che si tratterebbe di capitalizzare i “potenziali” maggiori nascosti nelle pieghe delle percentuali: resistere il più possibile alle facili sirene rappresentate dagli asfittici pacchetti di voto (ai quali, però, già ambiscono i “pragmatici”) e dialogare costantemente ed insistentemente con gli interlocutori più credibili (prospettiva, questa, che inorridisce i “puristi”). Eppure non sembra esserci altra scelta: del resto anche i guru, al momento, sembrano meno convinti e più divisi del solito. Colti di sorpresa dalla “rivoluzione gentile” di Nichi Vendola (ma senza ammetterlo: i politologi, a cose fatte, dicono sempre di aver previsto tutto), ormai stancamente coltivano il proprio, ristrettissimo salotto di superbi pensieri. Faciuntne intellegendo, ut nihil intellegant?/ [“Forse si sforzano di capire, per non capire nulla?”], si chiedeva oltre duemila anni fa Terenzio, a proposito dei suoi detrattori. Analogo quesito attanaglia oggi l'elettore del centro-sinistra molfettese, quesito al quale, in fondo, con pochissimi sforzi, si potrebbe già dare degna e sonora risposta. Tiziana Ragno tiziana.ragno@quindici-molfetta.it
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