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Per ricordare il '68, ex sessantottini a Quindici
15 novembre 2008

Che il Sessantotto sia stato un grande movimento internazionale di contestazione giovanile è quello che tutti sanno e ripetono banalmente. Ma che cosa realmente contestassero i giovani di quei Paesi dove la protesta scoppiò, che cosa chiedessero e contro cosa urlassero i nostri genitori mi era sempre sembrato di non capirlo. Non lo capivo perché, a distanza di 40 anni da quel caldo biennio, del Sessantotto si parla in tv, nei documentari, quando si guarda Woodstock ma non si spiega nelle aule scolastiche e anche il mio libro universitario di storia contemporanea non vi dedica che poche pagine, a testimonianza del fatto che a volte l'Università non approfondisce la formazione scolastica né ne colma le lacune; a volte, semplicemente, le fa rimanere tali. Per tutti questi motivi quando ho saputo dell'incontro organizzato da Quindici per ricordare cosa quel movimento portò nella nostra città e della presenza di sessantottini “originali” in redazione ho preso il mio vecchio libro per rispolverare i ricordi di uno studio riuscito ma di fatto lacunoso, ma più leggevo quelle poche pagine più crescevano le mie domande e quella brutta sensazione di non riuscire a capire che cosa avesse significato per davvero per un ragazzo della mia età vivere il 1968. E proprio dai miei dubbi e da quelli degli altri componenti giovani della redazione è partito il confronto con alcune delle persone che, all'epoca liceali, hanno partecipato attivamente alla protesta della sezione molfettese del Movimento e tra di loro, oltre ad alcuni ex compagni di classe del nostro direttore, anche il papà di uno di noi collaboratori. Inutile nascondere che i racconti personali e gli aneddoti legati ad adolescenze così particolari siano risultati molto più interessanti e chiarificatori di un qualsiasi libro di storia ma, tralasciando il clima nostalgico dei dolci ricordi, quello che mi colpisce è la passionalità che doveva animare in quegli anni questi nostri ospiti la cui forza traspare dai loro occhi e dalle loro narrazioni. La franchezza delle parole di Alina Gadaleta Caldarola risuona, mentre scrivo, nella mia mente: «contestavamo tutto — dice — la guerra, il consumismo, i quadri dirigenti e lo stile di vita borghese di cui, noi per primi, eravamo figli. A volte non ci rendevamo conto di quello che stavamo facendo ma eravamo convinti di poter cambiare la società, di poter ottenere maggiori diritti e più eguaglianza e per ottenerli non ci saremmo fermati di fronte a niente». A dispetto di tanta energia e di tanto fervore il pensiero dell'inerzia che caratterizza le nostre generazioni anche di fronte a tanti spettacoli di degrado civile e culturale mi incupisce senza che io possa mascherare la mia incertezza. «Ma per tanti aspetti eravamo ingenui, — afferma Pietro Ragno per rispondermi — impetuosi ma ingenui e inconsapevoli di tante cose. Voi ragazzi oggi siete molto più razionali, più consapevoli, più formati da questo punto di vista». «E non dimenticare Giovanna — interviene Nunzia Scardigno — che noi agivamo all'interno di una protesta internazionale che nasceva da precise situazioni politiche: eravamo o credevamo davvero di essere sul punto di rovesciare le cose. Eravamo come sulla crosta di un'onda e ci facevamo trascinare completamente dall'acqua». Forse quest'onda ha fatto la differenza o forse può spiegare solo in parte il grande divario esistente fra la loro generazione e la nostra. È una distanza palpabile che all'interno della redazione rende tutti dubbiosi sull'ipotesi che un fenomeno di tale portata possa riproporsi oggi, in quelle stesse forme e dimensioni. Ed è sempre Alina a chiudere questa parte della discussione concludendo che «sono passati 40 anni e troppe cose in mezzo perché si possano fare collegamenti tra quell'epoca e le problematiche della nostra società». «A 40 anni da allora — chiede infine il direttore Felice de Sanctis rivolgendosi ai suoi ex compagni di liceo — cosa è rimasto a tutti noi di quel momento? Cosa ci ha lasciato perché vivesse ancora in noi oggi?». Un'educazione all'impegno, alla volontà, ad avere una coscienza critica che non si lasci assorbire dalle logiche imposte dall'alto e si ribelli sempre alle manipolazioni e omologazioni. Anche se con parole diverse quasi tutti hanno dato la stessa risposta. E a noi cosa ha lasciato quest'incontro? Personalmente a non lasciarsi irretire dall'inerzia e dall'ignoranza, a guardare oltre i libri e a non abituarsi mai a ciò che non è lecito, che non consideriamo giusto e che vorremmo migliore.
Autore: Giovanna Bellifemine
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