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Pantaleo Murolo un ingegnere navale di Molfetta relatore in un prestigioso Symposium a Londra
15 marzo 2016

È stato invitato in qualità di relatore all’incontro internazionale sulle nuove tecniche della progettazione e costruzione navale e marittime svoltosi presso il Royal Institution of Naval Architecture a Londra. Si tratta del molfettese, Pantaleo Murolo. Project Manager di 51 anni, sposato e con due figli. In esclusiva per Quindici ha rilasciato una lunga intervista. Ing. Murolo, come e quando nasce professionalmente? «Professionalmente parlando nasco nell’83-84. Il mio primo lavoro è stato all’interno di una società di offshore a Ortona a Mare dopo essermi diplomato a Molfetta. Dopo quasi tre anni, l’azienda per la quale lavoravo, mi mandò a bordo delle navi per acquisire un po’di esperienza e dopo due anni fui coinvolto in un progetto di una nave offshore avente degli equipaggiamenti unici al mondo. Dunque una nave molto complessa la cui gestione mi portò a viaggiare tra Milano, Marghera e Ortona per l’esecuzione di questo progetto. Nel 1991 mi trasferii presso la società attuale, la VShips ed entrai a far parte del dipartimento delle nuove costruzioni, detto new building e ne diventai così responsabile nel 2005. Durante questo periodo eseguimmo svariati progetti di navi passeggeri, che poi sono risultate essere le più belle del mondo. Si trattava di navi cinque stelle costruite nei cantieri Italiane e Francesi. Completato questi progetti fui trasferito , in qualità di direttore3 tecnico negli uffici degli States. Ho continuato la mia carriera in questo ruolo fino al 2005/2006. Successivamente, nel 2007 la società mi offri una changes, cioè di frequentare l’università presso la Canterbury University, in Inghilterra dove acquisii la laurea in Technical Science. Quali sono state le difficoltà incontrate durante il corso di studio? «Naturalmente le cose non sempre si conciliano, tuttavia con molto sacrificio raggiunsi l’obbiettivo ». Come prosegue la sua carriera dopo il percorso universitario? «Finito il percorso universitario rientrai in Italia per brevissimo tempo, lavorando a Genova e ad Ancona». Immagino nel corso della sua carriera abbia avuto diverse offerte di lavoro. Come mai ha preferito rimanere sempre con la società attuale? «Ho preferito rimanere dove sono perché la società per la quale lavoro ormai da ben 25 anni investe sugli individui. Se ad oggi, decidessi di frequentare un corso o di specializzarmi in qualche altro settore, mi darebbe tutto l’appoggio possibile. Grazie a loro ho portato avanti tanti progetti perché hanno creduto in me. Poi il fatto di possedere una laurea conseguita all’estero, apre molte strade e in più. L’università di Canterbury è molto rinomata per il loro programma di studio tutto particolare orientato a fornire non solo competenze specialistiche utili allo svolgimento della professione desiderata, ma altre conoscenze importanti per una formazione culturale a 360 gradi». Che tipo di società è quella per la quale lavora? «È difficile trovare una società così, con 45 anni di storia. La Vships nasce a Montecarlo, ma l’ufficio principale è a Glasgow, in Scozia. È un’azienda che nasce da un gruppo di progettisti. Oggi ha quasi 6.500 dipendenti, altrettanti marittimi che girano per i mondo e circa mille navi in management». Ogni quanto tempo torna a Molfetta? «Passo in giro per il mondo circa 180 giorni l’anno. La mia assenza la faccio a tappe, e concilio bene il lavoro e la famiglia, che a volta viaggia con me. Quante lingue conosce e parla? «Parlo francese, spagnolo, portoghese ed inglese, naturalmente. Le ho imparate in giro per il mondo e, come si dice, ho fatto di necessità, virtù». Ma quando ha iniziato la sua carriera conosceva l’inglese? «Conoscevo solo l’inglese di base. Solo dopo, lavorando in un ambiente internazionale, ho imparato la lingua. Poi all’università mi sono perfezionato». È stato difficile acquisire un titolo universitario in una lingua che non è la propria? «No, perché l’importante era acquisire la lezione in lingua, pensando in lingua. Le università inglesi sono blasonate perché hanno un alto margine di persone che terminano il percorso di studi e si laureano. Nelle università italiane invece, mi raccontano che c’è un certo anacronismo». Cosa è necessario possedere per svolgere questo lavoro? «In questo mestiere bisogna essere dotati di spirito libero e se ti viene in mente una “genialata”, la devi fare. È fondamentale avere un gruppo di lavoro che ti segue e una società che ti aiuti e ti incoraggi a sviluppare un’idea anche attraverso la possibilità di un investimento ». Da dove nasce il progetto? «Il progetto è nato da una opportunità. Ovvero nella Baia di Santa Barbara, in California persistono delle piattaforme che estraggono il petrolio (il 7% della produzione nazionale americana ). Le stesse persistono in un’area marina protetta. Quindi c’era una lunga diatriba tra Governo, ambientalisti e la Exxon, perché queste installazioni, poco conciliavano con l’ambiente. Nel 2013 si pensò quindi di rimuoverle, con non pochi rischi per l’ambiente. Quindi la Exxon aprì un bid internazionale per la ricerca di risoluzioni per arginare il problema, rivolgendosi a tanti progettisti ed enti. E tra i tanti progetti hanno scelto il mio». In cosa consiste il progetto? «Innanzitutto consiste nello spegnere i generatori elettrici di queste piattaforme che per estrarre e pompare il petrolio a terra sono dotate di un gruppo pompante. C’era dunque da risolvere la questione relativa alle emissioni di gas. Partendo dal presupposto che per l’impatto visivo non ci si può far nulla, proposi di alimen-tare il gruppo di piattaforme dalla terra ferma, dotandosi di una nave speciale. Così ho progettato una nave priva di eliche e che si muove grazie ad un sistema di turbolenza d’acqua e in più riesce a posare i cavi elettrici dalla costa fino al gruppo di piattaforme, in modo tale che vengano alimentate da energia elettrica prodotta a terra dalle loro centrali nucleari. Dunque, per ovviare a questo inconveniente, ho creato un sistema di propulsione, ovvero un movimento di fluidi eccentrico in modo che la stessa riuscisse ad alzarsi e adagiarsi sulla riva senza creare problemi all’ambiente. A riguardo la soppressione delle emissioni di scarico dei fumi dei motori, per aggirare questo inconveniente ho sviluppato un’idea un chimico tedesco che mi spiegò come l’urea – che è un cristallo che viene fuori dalla sintesi della fermentazione degli organismi viventi in putrefazione – ha la proprietà di catturare gli elementi che inquinano come l’anidride carbonica e lo zolfo e renderli totalmente innocui per l’ambiente. Ora così come le macchine hanno un catalizzatore, ne ho montato una sulla nave in modo tale che i fumi di scarico dei generatori della nave venissero sufflati con questa urea che li cattura e li trasforma in un solfato di calcio, un materiale roccioso inerte che non si mescola con altre sostanze. E quando questo prodotto viene sufflato c’è un sistema di abbassamento della temperatura specifico che solidifica i fumi trasformandoli da materia inquinante a materia inerte. Poi questi fumi diventano pietra, utile a ricoprire il cavo una volta che è stato steso. In assenza, ci doveva essere una copertura in cemento che è inquinante e non si sarebbe dunque potuta utilizzare. Quindi questa roccia, ricondensata a bordo, è servita sostanzialmente a deviare il problema. Però, di contro l’urea è molto sensibile all’umidità: quindi comprare questo cristallo a terra e tenerlo a bordo in un ambiente umido, creava un problema di conservazione. Quindi bisognava produrla direttamente dagli scarti alimentari naturali in modo tale da convertirli, omogeneizzarli e trasformarli in questa sostanza. Il progetto è stato così approvato dalla Commissione ed è partito». Perché è stato invitato all’incontro internazionale presso il Royal Institute of Naval Architecture a Londra? «Sono stato invitato al Symposium perché ci si è iniziati a render conto di come una nave, per aver lambito la Baia di Santa Barbara, dovesse avere qualcosa di speciale. Quindi negli Stati Uniti hanno iniziato ad indagare e hanno scoperto che oltre il sistema innovativo della propulsione, i fumi venivano catturati e trasformati nel modo in cui vi ho spiegato. Inoltre si va a risolvere un grande problema che tutte la navi passeggeri hanno: ogni giorno producono dalle 12 alle 16 tonnellate di residuo alimentare. E questo è un problema, perché conservarlo a bordo – attraverso il congelamento – e poi smaltirlo a terra ha un costo notevole. Inoltre le navi odierne sono sempre più grosse e producono sempre più scarti. Quindi una nave fatta con quel sistema non inquina e non muove l’acqua perché la propulsione è superficiale. Mi hanno iniziato a cercare quando ero a Singapore per un nuovo progetto. Sono poi stato contattato da Londra dalla comunità di settore perché i progettisti volevano capire come è stato realizzato un simile progetto che farà da apripista alle navi passeggeri che si vogliono approcciarsi a questa realtà. Siccome gli inglesi sono molto campanilisti, hanno tentato di tener sempre fuori gli italiani nonostante in Italia progettiamo le più belle navi del mondo: abbiamo una cultura millenaria. Mi hanno contattato e per me è stato un grande onore e soddisfazione personale e un appagamento di tutti i miei sacrifici e del mio gruppo di lavoro. Sono andato lì oltre a spiegare il mio lavoro, che è nato da un necessità, anche a rappresentare l’Italia perché è accaduto di nuovo dopo 16 anni che un italiano partecipasse ad un tale evento. Sono andato a rappresentare anche la mia città. Perché ho spiegato loro che noi in Italia – nel Sud, in Puglia – abbiamo delle eccellenze importanti e sono certo non solo nel mio campo». Come è stato accolto il progetto? «Con molto scetticismo all’inizio, ma dopo averli smossi un po’, la cosa è andata sempre acquisendo interesse fino a che anche i più blasonati progettisti sono dovuti scendere a compromessi e fare domande al punto tale che hanno dovuto indire una sessione straordinaria solo per evaderle tutte. È stato molto interessante, ha stimolato idee innovative perché tale progetto va a risolvere la questione attinente gli scarti alimentari e dell’inquinamento». Come ha vissuto la sua società questo enorme successo? «La società è rimasta scioccata perché ci sarà un grosso ritorno commerciale, ma allo stesso tempo ci ha incentivati perché credeva in quello che stavamo facendo». Quali sono i progetti futuri? «Il futuro è green e tutto quello che sarà fatto, sarà ecosostenibile e orientato dunque ad affinare le tecniche per rendere possibile tale idea e affinché anche le progettazioni navali seguano questa orma. Ho proposto anche di cambiare le tecniche di costruzione, perché oggi le navi passeggeri diventano sempre più grosse a discapito della sicurezza delle persone ed anche perché l’incidente dal punto di vista tecnico è gestibile, a differenza del fattore umano. Bisognerebbe fermare questa progettazione scellerata di imbarcazioni sempre più grandi e orientare la progettazione sulla tecnica e non solo, sul decoro. Insomma, realizzare navi a portata d’uomo che siano tecnicamente efficienti». Come vede il suo futuro? «Il mio futuro lo vedo incentrato nell’innovazione perché gli stimoli che mi sono stati dati dai miei predecessori e da questo progetto, mi aiutano ad andare avanti e progettare qualcosa di nuovo che porti un beneficio non solo commerciale, ma che sia utile all’uomo e alla natura. Lo vedo anche improntato sulla mia famiglia, per passarci più tempo insieme ma anche orientato a creare qualcosa per la mia amata città. E ho diversi progetti in mente tutti ecosostenibili tanto è vero che insieme a degli amici abbiamo creato un gruppo che si chiama Sailors e non fa altro che ascoltare il territorio e restituire all’Amministrazione comunale delle idee: difatti stiamo creando un progetto per il Porto di Molfetta che non ci sia imposto, ma che venga dal basso. Come è noto, le grandi opere funzionano quando vengono fatte bene e vengono dal basso, quando è la gente che le vuole».

Autore: Angelica Vecchio
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