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Off vase La non definizione di Gianni Veneziano
15 dicembre 2012

Zygmunt Bauman ne La vita liquida (2005) ha sostenuto che «una società può essere definita “liquido moderna” se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure […] la vita liquida, come la società liquido-moderna, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo» Per Bauman, dell’oggetto artistico, non è dato «conoscere i contorni e la forma che assumerà. Essa sarà diversa da tutto ciò che per noi è consueto». E’ in quest’ottica che dovrebbe essere analizzata l’estetica di Gianni Veneziano che si interroga spesso (e chiede risposte alla sua arte) sul significato del calice. Egli non approda ad un significato univoco, assoluto, incatenante; né fornisce al fruitore delle sue opere una visione definitiva, una definizione ultima. Questo modo di essere intellettuale ed artista è anche la filosofia dello studio Veneziano+Team avviato con la designer Luciana Di Virgilio. Recentemente l’indagine di Veneziano si è rivelata nella mostra organizzata da Triennale Design Museum di Milano: Off Vase dal 18 settembre al 28 ottobre scorsi all’interno del Triennale Design Café. Veneziano ha presentato dieci opere in vetro plasmate dal maestro Silvano Signoretto e realizzate a Venezia, presso la fornace di Adriano Berengo. Ha scritto Valia Barriello che «nella mostra l’oggetto “vaso” viene esplorato ed indagato non solo nella sua primaria funzione di contenitore ma anche nel suo aspetto di “significante”, che si definisce anche oltre e intorno all’oggetto in sé; esso diventa sintesi iconica dell’intera esposizione: un vaso scuro e impenetrabile, racchiuso in una bolla completamente trasparente a forma di teschio ». Lo stesso Veneziano scrive della sua “estetica del calice”: in questo mio racconto il mio oggetto non è un semplice calice, ma racchiude nelle sue forme una metafora della vita del viaggiatore nel suo eterno rinnovarsi. Ecco che ogni calice rappresenta così un possibile altro mondo a sé, in cui disperdersi, identificarsi, immergersi, immaginarsi. In Off Vase emerge l’idea che, per dirla con Stefano Caggiano, «il sacro non è religioso, è precedente, è laico. Poiché, più e prima degli oggetti religiosi, sono proprio gli oggetti quotidiani, laici, ad accogliere in sé i residui del sacro, argini articolati il cui silenzio materiale rinvia all’ ulteriorità di cui, minacciosamente, tacciono». L’etica della mostra di Veneziano sembra accostarsi a quella che Caggiano definisce “antropologia del profondo”, ispirata alla lectio di Wittgenstein. Nel calice, Veneziano rende materiale una progettualità che non è “creatività debole”, che preserva le forme archetipiche degli oggetti, ma “creatività forte” che ha a che fare con «la messa in movimento delle forme a priori del sistema oggettuale, cioè con quelle forme che siamo stati addestrati a tenere per ferme» (Caggiano). Il tempo della modernità liquida e del Web 2.0 è un tempo, per dirla con Rem Koolhaas, in cui gli oggetti «sono “sentiti” sempre meno come prodotti finiti e sempre più come dispositivi creativi partecipati. Aperti e in trasformazione». Il fatto che una lampada (o un calice come nel caso di Veneziano)sia proprio una lampada è solo una contingenza; di conseguenza, ammonisce Caggiano, «il valore percepito di un oggetto è sempre più determinato dalla sua evoluzione aperta piuttosto che dal suo permanere identico a se stesso: il “senso” del design del XXI secolo non sta in ciò che un oggetto è, ma in ciò che potrebbe essere». Per concludere, perché proprio il calice in e di Veneziano? Da tempo mi chiedo se il calice non sia quello(ma non solo) che Veneziano, da bambino, avrà spesso osservato dal balcone di Via Sigismondo a Molfetta nel Venerdì Santo, forse tenuto per mano da suo padre Marco. Tant’è che il calice (quel calice?) è divenuto archetipico della sua arte, della sua inquietudine progettuale.

Autore: Giovanni Antonio del Vescovo
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