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Nuova Asl Ba/2. Il direttore generale Canosa: ecco come valorizzerò l'ospedale di Molfetta
15 novembre 2005

Nuovi scenari si profilano all'orizzonte della tormentata e controversa sanità pugliese dove, per dirla con un eufemismo molto usato in campagne politiche di ogni tempo e genere, comincia a “soffiare il vento del cambiamento”: speriamo, almeno, che non si tratti di brezza passeggera e che, in ogni caso, esso non si limiti a scuoterne la superficie, lasciando intatte e polverose le fondamenta. Una figura interessante e, ci si augura, innovativa in questo senso, sembra essere quella del nuovo direttore generale della ASL Ba/2, dott. Rocco Canosa, da poco insediatosi con il dott. Francesco Bux e il dott. Gennaro Valente, rispettivamente direttore sanitario e amministrativo della stessa. Del dott. Canosa, 55 anni, psichiatra, presidente nazionale di Psichiatria Democratica dal 1996 e direttore del Dipartimento di Salute mentale alla AUSL di Matera, ci colpisce il curriculum di tutto rispetto: laureatosi in Medicina a Bari nel 1974 (è nato a S. Costantino Albanese, in provincia di Potenza, ma all'età di nove anni si è trasferito a Trani con la famiglia), nel 1976, dopo la specializzazione, ha lavorato nel Centro d'Igiene Mentale cittadino e per due anni a Trieste con Franco Basaglia. Tornato in Puglia all'inizio degli anni '80 e resosi conto che ancora nulla era stato fatto per la realizzazione della legge 180 sulla chiusura dei manicomi, sceglie di lavorare al S. Paolo di Bari: un'esperienza che non esita a definire “forte, importante, senz'altro decisiva per la mia carriera. E' durata 16 anni e mi ha fatto toccare con mano i mille aspetti di una società capace di generare follia attraverso emarginazione, marginalità urbana, contraddizioni ed incongruenze di ogni genere”. “In quegli anni - racconta a QUINDICI -, ho lavorato anche come esperto di salute mentale per il ministero degli Esteri in Nicaragua, Salvador, Guatemala, sud America, e, in tempi più recenti, in India e Bosnia”. Ci troviamo negli uffici della Direzione Sanitaria dell'ospedale di Terlizzi dove il dott. Canosa, non potendo giungere in tempo all'appuntamento prefissato, ci ha fatto accogliere dal dott. Domenico Ruggiero, Primario di Medicina, e una volta arrivato, si è sinceramente scusato per il ritardo (“il rispetto per gli altri è alla base di ogni tipo di rapporto”). In che modo la sua cultura e le esperienze professionali maturate in contesti così difficili possono aiutarla ad affrontare e svolgere questo incarico amministrativo? gli chiediamo. “Penso e spero che mi aiutino molto – dice Canosa - avendo io 'inventato' negli anni '80 servizi psichiatrici che non esistevano ed avendo fatto lo stesso in alcuni Paesi in via di sviluppo. L'aver lavorato per il piano di dismissione dell'ospedale di Potenza su incarico dell'assessorato regionale alla sanità e l'aver contribuito a “formulare” nella Finanziaria del 1996 il passo che ordinava la chiusura dei manicomi entro il 31 marzo 1998 pena sanzione, sono esperienze che mi hanno ulteriormente formato.Culturalmente penso, poi, che uno psichiatra o, meglio, un buon psichiatra, sia fondamentalmente un esperto di relazioni, in grado, quindi, di gestire conflitti, interpretare tensioni e reazioni del personale, ecc. Una buona comunicazione è importante quanto gli obiettivi da raggiungere, anzi, può servire a raggiungerli meglio e prima”. Secondo lei è possibile coniugare l'aspetto sociale della medicina con una visione , oserei dire, aziendalistica , della stessa? “Aziendalistico è la forma perversa o degenerativa di aziendale che dovrebbe essere il termine più appropriato.Per visione aziendale, in questo caso, intendo una economicità di interventi che si basa su una ridistribuzione ed un potenziamento delle risorse , su un ridimensionamento degli sprechi e non su un taglio dei servizi. Certo, se al criterio del razionamento si sostituisce quello della razionalizzazione e se non si opera solo in nome di pareggio di bilanci ma soprattutto per tutelare il diritto alla salute dei cittadini, questo è possibile”. Ci parli di questa famosa inversione di tendenza che dovrebbe caratterizzare la nuova politica sanitaria. “Inversione di tendenza è soprattutto rivalutare il territorio e riproporne l'importanza in una visione più sistemica intendendo per sistema una logica unitaria che colleghi i vari aspetti della sanità e dia risposte immediate ed efficaci proprio là dove vive la gente, cioè sul territorio. I servizi non si erogano solo negli ospedali ma nelle stesse abitazioni (assistenza domiciliare), centri per anziani, disabili, consultori. A proposito di consultori, pensi che in quello di Terlizzi manca ancora il computer mentre a Giovinazzo ho addirittura trovato una lampada attaccata con la carta gommata. E' fondamentale, inoltre, rivalutare il ruolo dei sindaci perché il sistema sanitario è collegato con quello sociale. Con i sindaci, attraverso protocolli d'intesa, si possono elaborare progetti per fasce specifiche di popolazione e concordare i cosiddetti “piani di zona” cioè piani di assistenza sociale per anziani, minori, portatori di handicap, ecc. Il territorio va rilanciato anche dando ascolto e spazio all'associazionismo, volontariato, forze sindacali oppure 'sburocratizzando' i procedimenti per rafforzare i distretti, le iniziative e la stessa medicina del territorio”. Lei è presidente di Psichiatria Democratica, il movimento fondato anni fa da Franco Basaglia che si caratterizzò per la lotta contro i manicomi. Non crede che ancora oggi ci sia la tendenza a “circoscrivere” e, quindi, ad istituzionalizzare coloro che, per condizioni o motivi sanitari, vengono considerati “diversi”? “Questo è un pericolo sempre presente in ogni tipo di società: emarginare, allontanare, creare dei ghetti dove poter rinchiudere ed isolare quasi coloro che, per qualche ragione, non ci somigliano, i cosiddetti “diversi”. Ecco perché bisogna privilegiare soluzioni più “morbide” come i centri diurni e sociali, mettere in comunicazione le fasce deboli con percorsi di vita “normale” offrendo a pazienti e familiari condizioni di vita accettabili”. Carenza e demotivazione del personale: in che modo combatterle? “Puntando alla professionalità e con concorsi trasparenti, facendo quella che io chiamo una “campagna acquisti” su tutto il territorio nazionale, riducendo al minimo le consulenze esterne. Gli operatori, inoltre devono avere il senso della collettività, sentire che fanno parte di una squadra e che possono partecipare alle decisioni per perseguire un progetto comune. L'organizzazione non deve essere calata dall'alto e tutto deve nascere da un lavoro di ricerca collettivo”. In attesa del piano di riordino ospedaliero quali strategie verranno adottate in questo momento così delicato per la sanità pugliese? “La Regione ha dato delle linee guida e dei criteri generali da seguire, in più ha assegnato ad ogni direttore generale 24 obiettivi che vanno dal pareggio di bilancio all'ascolto di tutte le forze sociali. Finora ne abbiamo realizzati una buona metà”. Il dott. Canosa, nonostante sia pomeriggio inoltrato, deve continuare le sue riunioni di lavoro. Avremmo dovuto parlare di ticket, liste d'attesa, dipartimenti (quelli previsti dalla Riforma Bindi e mai completamente attuati) e di altri argomenti ancora ma è davvero tardi e c'è gente che lo aspetta. Ci incontreremo per un'altra intervista. Beatrice De Gennaro
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