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“Non mollare è il nostro motto”
15 settembre 2018

L’importanza di questo libro è in primo luogo da vedersi nella coraggiosa analisi retrospettiva di un secolo della storia italiana. Impresa difficile, controcorrente, quasi un atto di autochirurgia, e tuttavia necessaria forse mai come in questa fase storica. Viviamo, in effetti, in un’epoca che sembra ormai incapace di una seria auto-analisi. Concentrata sullo hic et nunc, costretta dai mezzi elettronici della società digitale a vivere in un immediatismo privo di prospettive, senza interesse per il passato, prossimo e remoto, quindi non in grado di capire il presente e progettare razionalmente l’avvenire, l’attuale generazione appare disorientata, dominata da emozioni incontrollabili, continuamente, alla lettera, bombardata da informazioni che deformano invece di formare, tanto da non potersi costruire una propria tavola di priorità e di concentrarsi, facendo tacere o quanto meno riducendo il chiasso interiore. Nessuna meraviglia che in queste condizioni, come Cosmo Sallustio Salvemini persuasivamente dimostra, la democrazia rischi di vedersi ridotta a mera procedura e che l’ottimismo normativo, tipicamente italiano, segni il trionfo di immortali azzeccagarbugli e apre le porte alla corruzione più insidiosa, quella che piega la ingens sylva delle leggi esistenti in favore di inconfessabili interessi settoriali contro l’interesse pubblico. Nulla, dunque, a che vedere con la crociana “Storia d’Italia dal 1871 al 1915” in cui l’autore appare così trionfio e sicuro di sé da ritenere di poter scrivere e interpretare la Storia prima ancora di averne esperienza nell’ampio senso di “vita storica”. Qui, invece, Salvemini si pone l’intento di andare oltre un’interpretazione elitaria e di documentare, nelle endemiche pratiche corruttive (attive e passive), il filo rosso che percorre e tiene insieme la storia italiana dell’ultimo secolo: emotività contro razionalità, dal volo su Vienna dannunziano del 1918 alla Marcia su Roma del 1922, all’otto settembre 1943, quando i gruppi dirigenti (monarchia in testa) si sfaldano e vengono meno alle loro responsabilità essenziali. Non è solo la conferma del guicciardiniano “particulare”, tanto più che occorre ricordare come Francesco Guicciardini si spenda personalmente nella difesa di Ferrara, e neppure un ricorso della disinvolta “amoralità” di Machiavelli, tenuto conto della generosa invocazione per l’unità d’Italia che chiude “Il Principe”. E qualche cosa di più profondo e di meno percepibile, tanta è la sua pervasività nella vita quotidiana degli italiani. E l’accettazione della buffoneria, anche della più smaccatamente truffaldina, invece della pacata analisi, e quindi della pragmatica soluzione dei problemi specifici. Sembra prevalere su tutto, e questo libro ne è un documento impressionante, una corruzione endemica che mina alla radice la democrazia e la perverte nel dominio illegittimo di gruppi di potere incontrollabili. Dalla democrazia di facciata occorre passare alla democrazia di partecipazione, ma senza indulgere per questo, e furbescamente “more italico”, a illusorie scorciatoie. La democrazia non è mero sondaggio di opinioni, ancor meno ricerca di mercato. Nessun dubbio che l’interruzione della continuità, più o meno sotterranea ma sostanziale, fra pre-fascismo, fascismo e post-fascismo passi attraverso la ricostruzione di efficaci strumenti di autogoverno locale. Ma lo stesso governo locale, quello che teoricamente dovrebbe essere più vicino alle finti della sovranità popolare, si mostra torbido, personalistico, affamato di consenso ad ogni costo e portato quindi a cedere a pressioni settoriali e a interessi privati contro le esigenze dell’interesse generale della comunità. Il libro di Cosmo Sallustio Salvemini è, in questa prospettiva, un prezioso, ragionato segnale d’allarme.

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