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Non lavate questo sangue RECENSIONE - Le cronache di Genova nelle parole di Concita de Gregorio. Un'altra informazione è possibile
15 febbraio 2002

Appassionante e necessario. Questo, in due parole, “Non lavate questo sangue” (cronaca delle giornate di Genova durante l'ultimo, turbolento G8), libro edito da Laterza e scritto da una carismatica e coraggiosa Concita de Gregorio. Pisana, classe '63, da dodici anni inviata di “Repubblica”, Concita, con questo libro, assolve al diritto-dovere del buon giornalista: quello di testimoniare, con onestà e senza troppo concedere all'autocensura, i brandelli di storia registrati in diretta sul proprio taccuino. A raccontare Genova - per spiegarla a chi non ci è stato e per rendere giustizia a chi vi è tornato con addosso lividi fisici e morali - ci stanno provando in tanti, ma quasi nessuno, anche tra le grandi firme, è riuscito a farlo come lei. Dosando con mestiere cronaca oggettiva e stati d'animo soggettivi, in un collage di immagini ed episodi che spezza il fiato e ingoia il lettore, senza lasciargli scelta, in una Genova di un luglio da dimenticare. Anzi da ricordare. All'infinito. Come monito e avvertimento. E offrendo una versione dei fatti equilibrata ma veritiera, poliedrica e multicentrica. Senza astenersi, tuttavia, da una presa di posizione chiara. Sono piene di dettagli, le cronache di Concita, tutt'altro che superflui. Raccontano dell'allestimento del “set cinematografico” genovese prima dell'arrivo degli otto grandi, “perché anche la democrazia, come ogni forma di potere, ha bisogno di essere messa in scena”. Dei teli con facciate rinascimentali fatti stendere da Berlusconi sui palazzi “più antiestetici” del centro genovese . Dei limoni gialli e maturi fatti cucire col filo di cotone sulle piante della città al posto di quelli acerbi, piccoli e verdi. Del divieto di stendere mutande disposto ai cittadini del capoluogo ligure. Raccontano degli intenti pacifici della contestazione no-global, partita tra i colori del corteo dei Migranti. Descrivono l'odore dei primi lacrimogeni sparati contro i manifestanti , ricordano che a Genova (anche se la televisione ce li ha fatti vedere pochissimo) c'erano i carrarmati e i cecchini sui terrazzi. E poi la morte di Carlo Giuliani mentre il vertice dei grandi si conclude nell'inconcludenza. Il sangue fresco della Diaz, mentre Gianfranco Fini arriva a Genova a dare conforto ai poliziotti, “avete fatto quel che dovevate”. 93 ragazzi, e giornalisti, e parlamentari fermati con accusa di flagranza di reato per associazione a delinquere (senza mandato di perquisizione, su 95 persone presenti nella scuola); “documenti strappati, portafogli svuotati, macchine fotografiche divelte, rullini aperti”. Le decine di feriti in rianimazione. L'Ansa che qualche ora dopo liquida l'accaduto con questo lancio bugiardo: “Perquisizione nella Diaz: ferito un agente”. E infine Bolzaneto, monumento alla vergogna dell'Italia anti-democratica. Il carcere delle torture, dei pestaggi, dei tentati stupri, degli arrestati costretti a gridare “Viva il Duce. Viva Pinochet!” e a firmare carte in bianco. Il libro dimentica forse i contenuti della contestazione, le assemblee del Public Forum. Ma sulle “parole di Genova” altro inchiostro è stato versato. Non meno importante. Per quanto, volente o nolente, non è stato questo il punto. Non è per questo che è ancora necessario discutere sulla settimana nera della democrazia italiana degli ultimi vent'anni. Concita lo ricorda, raschiando sul fondo della menzogna perbenista e conservatrice un po' di verità, da cui ricominciare. Lo fa a modo suo, con la scrittura sincopata e il ritmo incalzante. Usando le parole come schiaffi salutari. Il giornalismo è questo. E il popolo democratico ringrazia. Una informazione diversa è possibile. Paola Natalicchio
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