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No al voto di scambio Azione cattolica, difendiamo la libertà di scelta Speciale Elezioni
15 maggio 2013

Dopo gli slogan, i banchetti pre-elettorali, le alleanze fatte e saltate, gli attacchi diretti e satirici, alla fine anche questa campagna elettorale per le amministrative del 26 e 27 maggio a Molfetta andrà in archivio come tutte le altre. Un attimo dopo lo spoglio, politicanti “specializzati” e militanti di partito saranno impegnati a contare schieramenti e percentuali, arringare la folla su exploit e débacle, fantasticare sulle conseguenze del famoso “dato elettorale”. L’utilizzo distorto che la maggioranza degli elettori è ormai abituata a fare del proprio diritto di voto è, infatti, uno dei motivi principali che rende la democrazia italiana una democrazia incompiuta con governi che ufficialmente nessuno vota e leggi cucite su misura sugli interessi di lobby più o meno criminali. Non si fa uno scoop se si dice che le elezioni in Italia e, soprattutto, al Sud sono storico ostaggio del voto di scambio. Il voto di scambio non è soltanto un reato disciplinato dall’articolo 416ter del Codice Penale. Voto di scambio è l’attimo in cui il cittadino rinuncia al suo unico momento di amministrazione di potere, mette da parte idee e ideologie e svende il suo diritto di cittadinanza. Un meccanismo perverso che inquina l’esito delle consultazioni elettorali. Il fatto è che dopo 65 anni di “libere” elezioni chi cerca voti capisce dall’inizio qual è il prezzo potenziale dell’elettore che ha di fronte. E si muove di conseguenza. C’è un voto, un voto evanescente e difficile da rintracciare, che è quello che ha un prezzo monetario ben preciso: per le elezioni amministrative si va dai 20 ai 50 euro. Gli elettori potenziali saranno spesso neodiciottenni che non sapranno che farsene della tessera elettorale o persone che vivono sotto la soglia di povertà. Come fa una persona a vendere il proprio voto in cambio di una pizza, di una bolletta della luce, di banconote da 50 o 200 euro? E come fa un cittadino a vendere il proprio voto a una persona che ha una così bassa concezione della politica e amministrerà con gli stessi principi usati in campagna elettorale? Che concezione della cosa pubblica, del bene comune unisce nello stesso reato chi compra il voto e chi lo vende? A prescindere dal fatto che il voto di ognuno di noi non ha un prezzo, meno che mai può valere così poco. Ci stimiamo davvero così poco come cittadini? Certo, poi, c’è la promessa di un alloggio popolare o della cancellazione di una multa e, persino, la minaccia di licenziamento o il lavoretto affidato all’impresa: ma qui siamo già ad “alti livelli” di contrattazione. Nell’istante in cui accettiamo quel tozzo di pane, quell’elemosina in cambio del nostro consenso diventiamo complici e alimentiamo quella macchina che finirà con il saccheggiare il nostro territorio. Sono proprio i cittadini con la loro compiacenza, il silenzio, l’omertà, la loro scarsa autostima a nutrire questo sistema. Con la campagna «Io cambio...il mio voto non lo scambio!!» l’Azione Cattolica ha lanciato un chiaro segnale ponendo al centro del proprio percorso formativo la lotta alla vergognosa pratica del voto di scambio. In particolare, l’AC ha chiesto ai candidati sindaci delle prossime amministrative di evitare il reclutamento dei rappresentanti di lista in cambio di elargizione di soldi o di altri tipi di compensi. Le elezioni permettono al popolo di esprimere il proprio parere, di dare fiducia ad una certa area politica e, perché no, di esplicitare il proprio dissenso. È, insomma, un momento di vera e propria partecipazione, un momento in cui la gente, con un solo gesto, offre un contributo enorme all’intera nazione. Perché un semplice voto vale tanto, molto più di quel che si pensa ed è per questo che ogni cittadino deve adempiere a questo indiscutibile dovere. Purtroppo, ci troviamo in un Paese in cui anche uno dei principi cardini della nostra Costituzione rimane ingabbiato nella situazione e nella condizione tragica che stiamo attraversando. La disoccupazione aumenta, i disagi pure. La povertà si espande a macchia d’olio su gran parte della popolazione, specie tra gli anziani e chi non ha un lavoro. Ed è proprio qui che la politica (quella marcia, sia chiaro) riesce a fare spesso bottino pieno. Un bottino che può essere tramutato in voti, in favori e tanto altro. Se un pacco di pasta vale molto più che una “semplice” croce apposta sul simbolo di un partito qualunque, allora significa che la democrazia non è poi così sana né tanto viva. Se tutto ciò è ancora possibile, significa che la politica ha fallito gravemente e non basteranno altre elezioni perché la gente torni a votare con senso civico e rispetto. Il voto di scambio è un problema ben più grave di quel che sembra, per questo tutti dobbiamo essere in grado di saper dire “no”.

Autore: Andrea Saverio Teofrasto
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