Natale povero e confuso
Questo Natale non sarà ricco, sarà povero e confuso, come poveri stanno diventando quegli italiani della classe media che precipitano sempre di più nella scala sociale. È “l’effetto del colpo di rinculo” del ceto medio, come lo definisce Giuseppe De Rita presidente del Censis, sociologo e attento analizzatore dei mali d’Italia. Insomma, l’amaro risveglio di chi faticosamente aveva scalato la scala del benessere fino a divenire la classe dominante di questo Paese e soprattutto il suo motore economico, attraverso quella capacità di accrescere i consumi, contribuendo in maniera determinante alla crescita. Il risparmio delle famiglie rappresentava la vera forza economica, una riserva utile per affrontare i periodi di magra, ma anche per concedersi beni voluttuari, a “rate mensili”, che contribuivano a migliorare la qualità della vita. Dal 2000 in poi – ricorda sempre De Rita – quello che lui chiama il grande lago, ha cominciato a svuotarsi, con un’accelerazione maggiore dalla crisi del 2008, dalla quale non si è più ripresa. La crisi sociale, conseguenza di quella economica si è sempre più radicalizzata accompagnata da una crisi politica che si è manifestata con una classe dirigente vissuta su un altro pianeta, nel mondo dorato dei privilegi, dell’accumulo di ricchezza, ma anche della corruzione dilagante: il denaro come obiettivo. Fuori del Palazzo, invece, cresceva un altro mondo, quello del disagio e del malessere sociale che, purtroppo, all’inizio non era avvertito dalle stesse vittime del sistema, drogate dalla tv e dalle sue false immagini della realtà. Del resto non era proprio l’artefice di questa illusione collettiva, l’ex premier Silvio Berlusconi a negare la crisi perché, secondo lui, “non si trovava posto sugli aerei e i ristoranti erano pieni”? E le masse adoranti gli sono andate dietro nella corsa verso il baratro, nel quale sono poi precipitate senza accorgersene, restando poi sole con la loro miseria. E ancora oggi, questo popolo di scarsa cultura, drogato dal gratta e vinci, dall’illusione perenne, non comprende le ragioni del malessere e continua a giocare alla roulette della vita, sperando di vincere. E quando si accorge di aver perduto tutto, decide di farla finita. E’ la polverizzazione del Novecento, come la definisce il sociologo Marco Revelli, dell’amaro risveglio di chi si è illuso di possedere ancora un benessere che non c’era più e oggi non accetta la triste realtà, scende in piazza e protesta alla cieca, un po’ come Grillo. La crisi della politica ha lasciato un cumulo di macerie. Nasce da questo malessere la protesta dei “forconi”, una sorta di Vandea italiana, variegata e piena di contraddizioni con le sue identità corporative. Ricordano vagamente anche i fasci siciliani del 1892. Oggi per l’effetto contagio di una rabbia che covava sotto la cenere e non era mai esplosa, il movimento si è allargato ad autotrasportatori, piccoli imprenditori, commercianti, disoccupati, anziani, casalinghe e perfino studenti con poca voglia di studio e tanta voglia di protesta, anche giusta, ma finalizzata solo a marinare le lezioni. Quanto sono lontane le proteste del ’68! Quel rifiuto del conflitto e della protesta che aveva caratterizzato gli anni scorsi nella illusione che l’imprenditore al governo avrebbe arricchito tutti, creando anche un milione di posti di lavoro, è franato miseramente (è il caso di dirlo) di fronte alla realtà dei fatti e oggi esplode con una protesta generalizzata e indefinita, che mette insieme la destra, con la Fiamma Tricolore e Casa Pound, e la sinistra estreme che hanno sempre sposato la logica antisistema del tanto peggio tanto meglio, non avendo nulla da perdere. E i “forconi”, con la loro origine ambiguamente reazionaria, con quella retorica collettivistica che annulla l’individuo in nome del popolo (che piace tanto a Berlusconi e al nostro Azzollini) protestano senza progetti: “non so per cosa si protesta, ma sono d’accordo” dicono in molti e ognuno mette del suo in questa rivolta senza sapere cosa pensa quello che gli sta a fianco nel corteo. Un movimento senza idee, senza guida culturale e soprattutto non in grado di proporre soluzioni economiche valide, se non la folle idea demagogica di abbandonare l’euro (una soluzione devastante), dividendo ancora di più un Paese che avrebbe invece bisogno di coesione per venire fuori dalla crisi. Come uscirne? Sempre De Rita suggerisce di partire dalle periferie, dove, secondo lui ci sono tutti gli elementi che sono stati in grado di “puntellare l’edificio sociale nel nostro Paese”: la famiglia, che ha fatto del risparmio una nuova strategia di consumo, l’impresa diffusa, comprese le piccole aziende artigianali che si sono reinventate attraverso l’uso del digitale, le donne che si sono fatte avanti come imprenditrici (5000 imprese femminili in più solo quest’anno), i giovani che sono andati all’estero, “navigatori di un mondo globale” e la risorsa immigrati. La periferia ci può portare a crescere, uscendo da una logica di mera sopravvivenza, valorizzando i nostri punti forti, a cominciare dalle risorse culturali, rovesciando l’idea diffusa soprattutto da Berlusconi e dal Pdl che la cultura non dà da mangiare. Il Rapporto Censis fotografa un’Italia “sciapa e malcontenta” che non aspira più a nulla, si trascina tra “furbizia generalizzata e immoralismo diffuso”. E questa crisi ha accentuato il divario tra Sud e Centro-Nord. Questa è l’Italia oggi, questa è Molfetta oggi, periferia sempre più al centro dell’attenzione nazionale per gli scandali edilizi e del porto. “Quindici” ha ritardato la sua uscita in edicola per registrare il fenomeno, esploso in questi giorni, ma che sicuramente è destinato a far parlare ancora di sé e a influire sul futuro della politica, se non si sgonfierà strada facendo. Abbiamo modificato l’impostazione della rivista per mantenere fede alla nostra politica di fare il mensile col ritmo del quotidiano e offrire al lettore sempre un prodotto fresco dell’ultima ora. Quello dei forconi è un fenomeno che, pur registrando una rabbia giusta, rischia di divenire pericoloso per possibili derive autoritarie che potrebbe scatenare. Per questo va seguito e non sottovalutato come avvenne nel 1921, quando proprio la sottovalutazione dei moti fascisti portò alla dittatura di Mussolini. La protesta di questi giorni rappresenta un nuovo gravoso problema per la nuova amministrazione di centrosinistra che deve già fare i conti con la pesante eredità ricevuta dal centrodestra del sen. Antonio Azzollini, che lascia sotto l’albero, come efficacemente esprime nella sua vignetta il nostro Michelangelo Manente, tanti regali negativi e un clima di odio e di divisione che si manifesta anche nel comportamento dell’opposizione in consiglio comunale: dalla macchietta Caputo al livoroso Camporeale. Ma crediamo che occorra dare un segnale di speranza e il nuovo sindaco Paola Natalicchio, pur tra mille difficoltà e una carenza di risorse finanziarie, si sforza di farlo ogni giorno puntando anche su quella cultura di cui parla De Rita che può far crescere il Pil e nella quale nessuno aveva creduto, inseguendo la follia di un porto inutile, costoso e pieno di insidie, che oggi siamo costretti a portare a termine. E con questo messaggio di speranza che facciamo gli auguri ai nostri lettori per un sereno Natale e un 2014 migliore: con la speranza e la fiducia si possono creare crescita e futuro. AUGURI!
Autore: Felice de Sanctis