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Morrelli, custode del Comune va in pensione e si racconta a Quindici
15 dicembre 2009

Cosimo Morrelli, 65 anni, comunista non pentito, custode del Comune di Molfetta, è una figura storica a Palazzo di città: ha visto passare 9 sindaci e 3 commissari prefettizi e decine di assessori, ha visto da vicino personaggi importanti che sono transitati per la sede comunale in occasioni ufficiali e anche in privato, custodisce segreti, ma anche aneddoti ed episodi curiosi accaduti nel corso di questi anni. Ora, dopo 32 anni di servizio e ben 48 anni di contributi (un record, oggi!) è andato in pensione. Quindici ha pensato di avviare una piacevole conversazione con lui, per raccontare un po’ della sua vita, che è poi anche la vita meno nota della sede comunale, nella quale Cosimo Morrelli ha anche abitato per tanti anni. Vi proporremo, perciò, questa storia, arricchita da aneddoti ignoti che serviranno a delineare meglio la personalità dei sindaci e di alcuni personaggi della vita pubblica molfettese degli ultimi decenni. Come si sente ora ad essere pensionato, dopo tanti anni passati a fare “il cane da guardia” del Comune, a controllare chi entra e chi esce, a volte con severità verso gli arroganti, a volte con comprensione verso i più deboli? «Come tanti lavoratori mi sento fortunato ad aver raggiunto il traguardo della pensione. Sì è vero: sono un caso singolare perché vado in pensione dopo 48 anni di lavoro, ma le posso garantire che sono stati tutti lavorati con passione». Qual è stato il suo primo lavoro? «La prima esperienza è stata da barbiere ed è stata davvero una importante lezione di vita, cominciata all’età di 12-13 anni. Nella sala da barba dove lavoravo la clientela era davvero varia, dall’ultimo degli operai fino ai più importanti professionisti. Il contatto umano era continuo. In occasione degli onomastici, matrimoni, nascite, comunioni ed altre importanti ricorrenze tutti ci offrivano da bere! Ad esempio, per la festa di San Francesco, il 4 ottobre, nome molto diffuso, per giorni si bevevano caffé per festeggiare tutti i clienti con quel nome. Ricordo un caso particolare: poiché molte domeniche accadeva che fino a 30 clienti fossero in attesa, uno di loro in particolare di nome Carmine, per far trascorrere il tempo più velocemente, aveva trovato un escamotage: approfittando di qualche scusa banale (un’auto nuova, un compleanno o altro) faceva pagare il caffé a qualcuno dei presenti, caffé che poi andavano divisi tra tutti i clienti. Tra gli altri clienti c’era un signore molto riservato, il quale parlava solo tre volte: “buongiorno” quando entrava, “grazie” quando finiva di farsi radere e “buongiorno” quando usciva. Una domenica, prima di andare via, questo cliente chiese al maestro se lo poteva seguire fuori dal locale perché aveva bisogno di parlargli. La sua lamentela fu che si sentiva offeso perché a lui non veniva mai fatta richiesta di pagare il caffé. Il maestro prese atto del suo risentimento al punto che la domenica successiva, la richiesta del solito Carmine di un uomo generoso che offrisse il caffé fu rivolta proprio a lui. Mentre gli altri bevevano il caffé si leggeva sul volto di quest’uomo la soddisfazione di essere finalmente partecipe del gruppo». Una bella storia della vita semplice di un tempo. Ci può raccontare qualche altro episodio? «Una domenica, ricordo, arrivò un geometra con una automobile “Giulia” bianca, che si rese disponibile a pagare da bere e mangiare qualsiasi cosa perché si era realizzato il suo sogno di poter comprare quell’auto. Accadeva, poi, che se tra i clienti ci fossero figli di emigrati in Italia o all’estero. Il loro servizio era pagato, a loro dire, dai genitori: questo non perché i figli, che spesso erano professionisti, non se lo potessero permettere, ma per il piacere dei genitori di offrirlo». Cosa le è rimasto di quella prima esperienza lavorativa? «La cultura che ho maturato in quegli anni, la ritengo quella di una università della vita e del sapere: è nato in quegli anni l’amore per la musica classica e in particolare per le marce funebri, grazie a uno dei tanti clienti che ci prestava un registratore che cominciava a suonare il giorno delle ceneri e finiva il sabato santo». E poi perché, vista la soddisfazione che le procurava quel lavoro, ha deciso di cambiare? «Questa è un’altra bella storia, ve la comincerò a raccontare dalla prossima puntata». Ci rivediamo, allora, il prossimo mese, nel nuovo anno 2010, si goda la sua meritata pensione e tanti auguri.

Autore: Felice de Sanctis
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