MOLFETTA - Fine ingloriosa dei nuovi arbusti di leccio trapiantati circa 3 anni fa in via Giovanni XXIII: sono inesorabilmente seccati. Avrebbero dovuto sostituire gli splendidi pini che sono stati abbattuti con feroce protervia. Questo lo scempio ambientale: quello che un tempo era un vero e proprio polmone verde è stato ridotto a landa arida e desolata nella degradata periferia molfettese. Insomma, via Giovanni XXIII (foto) da viale alberato a enorme pista d’asfalto, senza ombra e aria salubre, con arbusti senza storia, secchi e aridi, come la coscienza degli amministratori locali attori di questo e di altri scempi urbani.
Il cittadino avverte ormai da tempo quel quid plus sotteso che oltrepassa le apparenti ragioni di pubblica utilità e sicurezza. Anzi, è sgradevole la sensazione che in molti casi queste ragioni ufficiali siano solo uno specchietto per le allodole. Si assumono decisioni urgenti e per pubblica utilità che, però, sfociano sempre in affidamenti diretti a ditte o imprese locali. Allo stesso modo, si è varata la distruzione del polmone verde di viale Giovanni XXIII e disposto l’estrazione di migliaia di basole dalle strade di Molfetta e la reiterata pitturazione delle strisce pedonali rosse.
Con questa logica tutti gli alberi di Molfetta potrebbero essere abbattuti: basterebbe uno schiocco di dita. Pubblica utilità o interesse privato camuffato dalla presunta pubblica utilità? Angoscioso dilemma. Possibile che nemmeno uno di quegli alberi si sia potuto salvare? Il dubbio è dietro l’angolo. Allo stesso tempo, eliminare i polmoni verdi da Molfetta, già scarnificata di aree a verde pubblico e attrezzato, potrebbe anche incrementare l’inquinamento atmosferico cittadino (nessuno mai ha pubblicato dati ufficiali in merito).
Tra l’altro, il verde agricolo, le aree verdi e i piccoli polmoni urbani si bruciano proprio con questi meccanismi amministrativi basati su scelte sciagurate e non del tutto giustificate da parte di alcuni pubblici amministratori. Surrogati alle calamità naturali, divengono ex abrupto l’incarnazione della calamità non naturale, ma umana, quella governata dal lucro finanziario ed elettorale. Basti pensare all’investimento comunale per gli alberi nuovi piantati e al loro astato attuale, favorito dall’assenza di un impianto d’irrigazione (semplice dimenticanza?).
Tuttavia, anche gli alberi che rinsecchiscono velocemente hanno una loro finalità: il reimpianto di nuovi, magari con un altro affidamento d’urgenza e con altri soldi dilapidati. C’est plus facile, soprattutto in campagna elettorale. La moltiplicazione dei pani e dei pesci, nel caso in questione, diventa la moltiplicazione degli affidamenti diretti per la stessa opera pubblica.
Dov'è il dibattito culturale molfettese su questi temi ambientali e amministrativi? Dove sono i molfettesi intelligenti, istruiti, acculturati, coloro i quali si distribuiscono premi e riconoscimenti, additati alla comunità come esempio pubblico? Non una voce, non un semplice pensiero: meri sofismi, a volte cultura tombale. Quando arriverà la prossima primavera e i primi fiori e il caldo primaverile annunceranno le elezioni comunali, salteranno tutti fuori come piccoli e grandi “lumaconi” per dipanare le filosofie dell’alternativa. Ma anche loro avrebbero qualcosa da dire come “calamità umane”, di cui Molfetta dovrebbe liberarsi.
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