MOLFETTA - Parlo italiano: l’età umanistico – rinascimentale.Questo è il titolo del terzo di un ciclo di incontri sull’evoluzione della lingua italiana, tenutosi il 19 gennaio presso la sede dell’ANEB (Associazione Nazionale Educatori Benemeriti) di Molfetta, presieduta da Annetta La Candia Minervini, e curato dal prof. Michele De Chirico (foto), che ha tracciato un’excursus linguistico – letterario del Quattrocento e del Cinquecento, i secoli dell’Umanesimo e del Rinascimento. In apertura della propria relazione, il prof. De Chirico è partito dalla considerazione che per poter comprendere le ragioni dell’affermazione dell’età umanistica, da lui considerata una sorta di “rivoluzione culturale”, è necessario fare un passo indietro dal punto di vista cronologico, nel senso che il Quattrocento è storicamente preceduto dal Medioevo, un periodo considerato da molti “oscuro”, ovvero negativo. Invece il Medioevo era stato un periodo operoso e utile durante il quale, per la verità, gli studiosi avevano trascurato quasi completamente il mondo antico.
Nel Quattrocento i tempi erano maturi per qualcosa di nuovo: la cultura medievale era in declino e gli studi letterari, filosofici e religiosi che essa aveva fatto fiorire non interessavano più gli studiosi. Di conseguenza si affermò l’Umanesimo, che si rivelò un fenomeno culturale straordinario, un vero e proprio rinnovamento di tutta la cultura, non solo in Italia, ma anche in altri Paesi europei. Gli “umanisti” riscoprono il mondo classico consultando, nelle biblioteche di monasteri, abbazie e conventi, numerosi manoscritti delle opere della latinità classica (pazientemente trascritte dai monaci amanuensi durante il Medioevo).
Vengono pertanto trascritte e commentate opere di Cicerone, Lucrezio, Seneca, Virgilio, Ovidio, Orazio, Livio, ecc. Petrarca fu il primo a intraprendere questa attività, agevolato in questo dalla sua veste di chierico, che gli consentiva di avere libero accesso nei monasteri, lasciando in tal modo un’importante eredità ai suoi ideali allievi, gli umanisti Coluccio Salutati, Marsilio Ficino, Lorenzo Valla e tanti altri, anche se, paradossalmente, a livello letterario l’Umanesimo non ha prodotto scrittori di spicco. Gli antichi testi che suscitavano la curiosità degli studiosi erano chiamati “Humanae litterae”: di qui il nome di umanisti dato ai letterati del nuovo indirizzo culturale. Ma non fu solo questa la ragione per cui l’Umanesimo si chiamò così: questa denominazione si ricollegava direttamente all’uomo che, mediante la sua capacità di creare, di studiare, di indagare, di ideare, ecc. è al centro dell’interesse dei letterati. In questo periodo, infatti, l’uomo viene considerato come un essere libero e padrone di se stesso il quale, mediante le sue doti di virtù e di volontà, è in grado, oltre che di imporre il proprio potere sulle cose del mondo, di acquisire consapevolezza di sé e di essere protagonista della storia (faber suae fortunae).
A sostegno di questo concetto, il prof. De Chirico ha letto un brano dal De dignitatis hominis di Pico della Mirandola il quale, per spiegare la nuova concezione dell’uomo, ci dice che cosa successe quando Dio creò l’uomo. L’uomo, secondo Pico, ha in sé nello stesso tempo l’umano e il divino, proprio nella sua condizione di essere privilegiato da Dio, in quanto dotato di ragione. A seguire, il relatore ha posto l’accento sul fatto che il Quattrocento, dal punto di vista storico, si identifica con l’affermazione delle Signorie. I signori facevano opera di mecenatismo, invitando a corte intellettuali regolarmente stipendiati; questi, di conseguenza, si sentivano in dovere di dedicare le opere che componevano ai signori che li ospitavano. Contemporaneamente, si diffondono le Accademie letterarie, che permettono a letterati, filosofi e scienziati di scambiarsi le idee: tra le più rinomate, vanno ricordate l’Accademia Pontaniana (dal nome del suo fondatore, il poeta Giovanni Pontano) a Napoli, l’Accademia Pomponiana a Roma, fondata da Tito Pomponio Leto, l’Accademia Neoplatonica a Firenze, affermatasi per iniziativa di Marsilio Ficino, l’Accademia Aldina a Venezia, fondata da Aldo Manuzio, uno dei più importanti editori e stampatori italiani, a cui si deve la nascita dell’Editio Aldina.
Il prof. De Chirico prende spunto proprio dalla diffusione sempre più ampia della stampa, per affermare come la lingua italiana cominciasse ad assumere caratteristiche ben precise, dal momento che il volgare era sempre più adoperato nelle opere, e di conseguenza era soggetto ad una naturale evoluzione a livello lessicale. Ad esempio, il termine “repubblica” deriva dal’espressione latina res publica, che nell’antica Roma indicava “lo Stato”; nel ‘400 lo stesso vocabolo assume invece il significato di “forma di governo”. L’espressione “a monte” nel ‘400 designava un “cumulo di interesse a profitto”. Nel 1472 viene costituito il “Monte dei Paschi di Siena”, e probabilmente questa denominazione derivava dai prestiti a interesse che la banca dava a chi li richiedeva, compresi i pastori, che “pascolavano” le loro greggi (per cui “paschi” forse indicava i pascoli).
A seguire, il prof. De Chirico ha declamato i versi del celebre Trionfo di Bacco e Arianna, considerato il capolavoro di Lorenzo il Magnifico,tratto dai Canti carnascialeschi (componimenti che venivano cantati durante il carnevale, o carnasciale, dalle allegre maschere in coro), composti per celebrare il festoso tumulto del Carnevale fiorentino: si susseguono, sui carri riccamente ornati, le maschere rappresentanti miti classici, il lieto ed ebbro corteggio di Bacco e della sua sposa Arianna, costituito da satiretti, ninfe, il vecchio Sileno (precettore di Bacco) e il re Mida. Il ritornello (Quant’è bella giovinezza, / che si fugge tuttavia! / Chi vuol esser lieto, sia: / di doman non c’è certezza.) ripete insistente l’invito alla gioia e all’amore. Il Magnifico ha tradotto nei modi rapidi e slegati del suo discorso l’eccitazione un po’ febbrile di chi confonde la propria allegria con quella della folla. Pure, in tanta programmatica spensieratezza, si affaccia costantemente, come un ritornello, una nota di malinconia e di scetticismo: la giovinezza è fugace, il domani è incerto. Si direbbe che quella gioia di un giorno, così tenacemente inseguita, abbia un suo gusto amaro.
Nella seconda parte della conferenza, il prof. De Chirico ha illustrato le prerogative culturali del Cinquecento, il secolo in cui si afferma il Rinascimento, e durante il quale le corti signorili si segnalano sempre più come punti nevralgici dello sviluppo letterario e artistico, oltre che scientifico, dell’Italia. È un secolo complesso e drammatico per l’Italia che, frazionata e divisa com’era, cade sotto l’egemonia spagnola. Tuttavia è anche il secolo che porta a una splendida fioritura intellettuale, con la quale le premesse quattrocentesche giungono alla loro più matura espansione. Infatti il Cinquecento è il secolo di Ludovico Ariosto, di Niccolò Machiavelli, di Francesco Guicciardini e, in riferimento all’evoluzione della lingua, di Pietro Bembo, l’autore delle Prose della volgar lingua, nelle quali lo scrittore veneziano ci offre una delle primissime trattazioni storiche della lingua italiana.
Egli indica nel fiorentino del Trecento, illustrato da Dante, Petrarca e Boccaccio, il modello letterario più valido da seguire: in tal modo il volgare trionfa come lingua letteraria e il Bembo ce ne dà la prima grammatica. Un altro intellettuale è Baldassar Castiglione, il quale ci dà la perfetta rappresentazione dell’ideale letterario dell’uomo rinascimentale con Il Cortegiano, un trattato in forma dialogica; quest’opera costituisce la sintesi degli ideali umanistici, di tipo cortese – cavalleresco e intellettuale, che i gentiluomini di corte cercano di assimilare per rivestirsi di un’aura di splendore, raffinatezza, perfezione e stile.
Di Ariosto viene messo in risalto come il poeta dell’Orlando Furioso ricorra ad uno stile impeccabile e come la sua poesia si snodi fluida e musicale, dipingendo garbatamente tutto un universo mascherato nelle vesti dei paladini di Carlo Magno. Anche Niccolò Machiavelli, autore di opere a carattere storico – politico, ma anche di una bella novella (Belfagor arcidiavolo) e della commedia La mandragola, ancora oggi rappresentata con successo nei teatri italiani, dà il proprio contributo all’evoluzione della nostra lingua, ricorrendo al volgare per comporre l’opera che ne ha decretato la fama, ovvero il trattato Il Principe, nato dall’urgenza dei problemi del tempo in cui egli era profondamente coinvolto, sia per la sua naturale passione per la politica, sia per il ruolo rivestito nella Segreteria fiorentina.
Dall’opera il prof. De Chirico ha letto il XXVI capitolo, che rappresenta un’appassionata invocazione a Lorenzo II dei Medici (nipote del Magnifico) perché prenda su di sé la missione di salvare l’Italia dalle ingerenze straniere e ne faccia uno Stato unitario sotto la sua guida. Ha concluso la conferenza la lettura di alcuni Ricordi civili e politici di Francesco Guicciardini, secondo il quale l’uomo politico, attraverso la discrezione, deve soprattutto essere dotato della capacità di adeguarsi alle situazioni sempre mutevoli per non farsi travolgere; deve accettare sempre la situazione, ricavandone il maggior vantaggio, il «particolare» (particulare), ovvero il tornaconto individuale.
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