MOLFETTA - «Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero». Chi ha una formazione umanistica subito riconosce in questa citazione la figura del latino Orazio, fertile e solida fondamenta della nostra Cultura italiana, poeta che è stato oggetto di approfondimento nell’incontro “Q.Orazio Flacco, poeta dell’equilibrio e della dignità umana” tenutosi nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, presso la sede dell’Aneb (Associazione nazionale educatori benemeriti).
Emerita auctoritas epicurea, Quinto Orazio Flacco vede la sua formazione presso la scuola patrizia romana e ad Atene per realizzare la sua persona come filosofus. Non dobbiamo però dipingerlo come avulso dalla realtà quotidiana, tutt’altro: a parlarcene è il prof. Michele de Chirico (presentato dalla presidente Aneb prof.ssa Annetta La Candia Minervini, nella foto col relatore) che con fervida voce descrive un uomo “leale, sincero, cortese e discreto” dalle origini vicinissime alle nostre. Horatius infatti è nato a Venosa, una città tra la Puglia e la Lucania, nata come colonia militare “in un Sud che non conosceva mafie, pizza e mandolino” come le “incrostazioni” che la società moderna ci affibbia, ma un sud Magna Grecia crogiuolo della Cultura Mediterranea.
Infatti la sua persona ha radici che affondano in un terreno fertile rappresentato dai valori insinuati dal suo padre liberto (schiavo affrancato, ndr) dalle umili origini che si rivela suo irreprensibile consigliere facendo riferimenti concreti e quotidiani a personaggi di quel di Venosa in uno spirito pratico e critico che rendono l’Autore sommo modello di metriòtes, per la quale mira ad un “giusto mezzo” che nella sua vita non riuscirà mai a raggiungere pienamente. Nonostante vivesse in un periodo storico cruciale per la fine della Repubblica Romana, Flacco mantenne uno stile di vita lontano dagli eccessi, accontentandosi del piccolo possedimento in Sabina donatogli da Mecenate e rifiutando ogni proposta che avrebbe compromesso la sua fiera indipendenza dai potenti secondo il concetto di autarkeia. In questo modo la sua originale penna dal labor limae e dalla callida iunctura ha prodotto opere, come le Satire, le Odi e le Epistole, nelle quali parla di strenua inertia, di inadeguatezza alle negatività, da superare cercando di carpire nelle piccolezze quotidiane ciò che di meraviglioso c’è e di vivere al massimo le sue possibilità. Riverbero della sua accidiosa insoddisfazione arriva fino alla letteratura più recente con Petrarca, l’inquietudine di Alfieri, “Gli indifferenti” di Moravia sino ad Antonioni, indubbiamente prodromi della Cultura e della Identità del Popolo Italiano.
Non poteva esserci modo migliore per festeggiare i 150 anni di Italia. Perché non esiste un progetto di futuro senza la conoscenza e la consapevolezza del passato, specie se glorioso come quello della nostra Italia, invidiata per davvero da tutto il mondo.
Avvicinandoci alla natura concreta del Poeta latino una domanda, nondimeno, sorge spontanea: dov’è l’Orazio del ventunesimo secolo? La nostra è la società degli eccessi, dove persino il nome dei governanti “sarebbe venuto meno”, secondo i consigli del genitore del venosino, per i loro costumi sessuali; dove gli stessi rappresentanti del Popolo lo insultano non cantando il proprio Inno nazionale; dove chi maneggia festeggia con leggi pro domo sua; dove la conoscenza e il pensiero sono mediati da mecenati giornalisti.
L’Orazio odierno vive nella nicchia, senza pubblicità, libero ed indipendente, adopera le proprie forze senza corruzione, è la voce fuori dal coro, è colui che è visto di cattivo occhio perché diverso, è l’operaio che adora passare la sera ad abbracciare i propri figli anche se sfinito dal lavoro, è il precario che non ha il posto fisso perché non è raccomandato, è colui che preferisce una utilitaria ecologica ad un macchinone, è lo stipendiato che sceglie la famiglia agli straordinari, è lo studente che prende un sudato 23 perché il padre non è collega del professore.
L’Orazio è apparentemente silente, ma urla per chi sa ascoltare.
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