MOLFETTA - Ti sei mai chiesto perché in questo momento sei qui, sulla pagina di questo quotidiano online? Voglia di conoscenza, voglia di sapere libero e non censurato, voglia di libertà, voglia di contatto con gli altri, voglia di coscienza del mondo che ti è intorno, voglia di spensieratezza, voglia di adeguamento? Queste domande sono state al centro del tema sociale, politico ed economico discusso ieri sera nella settima edizione della “Festa dei Lettori” intitolata La rete delle meraviglie: connessi o burattini. Riflessioni su web e democrazia, introdotta dal responsabile del Presidio del Libro di Molfetta, Antonello Mastantuoni, ed argomentata da Vincenzo Cramarossa, Carlo Formenti e Onofrio Romano (da sinistra a destra nella foto).
Si parla di globalizzazione oggi, di libertà, di riappropriazione delle proprie vite attraverso mezzi virtuali gratuiti, dove tutti sono alla pari, in una visione orizzontale della società. È il sogno di tutti, un “Paese dei Balocchi”, ma che in realtà non ci estende alla globalità, ma ci ingloba, crea confini e ci mangia come una “balena”. Non a caso è stato usato questo riferimento al burattino di Collodi: come Pinocchio ha viaggiato in lungo e in largo per brogli e pericoli così i Presìdi del Libro hanno preso ad emblema l’italiana novella per celebrare da Scampia a Lecce, da Savona ad Adria il 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
Chi di noi non conosce la favola della marionetta Pinocchio?! Da una lettura facile e leggera, però, bisogna “inter legere”, leggere tra le righe e cogliere quel significato ermetico che l’Autore massonico suggerisce disseminando nelle pagine del Romanzo simboli alchemici come il povero padre putativo falegname, la fata come donna angelicata, la figura dell’asino riconducibile a quella di Apuleio e così via. Lo stesso protagonista della vicenda, il burattino, è una straordinaria metafora, rappresenta noi, che alla ricerca della libertà ci svincoliamo dai fili, dalla rete che per definizione “è un trama che aggira i nodi, dove i nodi stessi siamo noi” come specifica Antonello Mastantuoni.
La rete, internet, fa parte della nostra vita da quasi vent’anni: lavoro, divertimento, comunicazione, libertà quasi si confondono influenzando la quotidianità. Ci sentiamo su facebook, hai visto quel post?, andrò a quell’evento, sto creando una app, sono stato contattato per lavoro da quel sito: chi di noi non ha mai sentito qualcosa del genere. Questo mondo virtuale sin dagli anni ’90 è stato accolto come Campo dei Miracoli dove bastava fare impresa con un click, il lavoro non è più fatica ma è tempo libero, fino al crollo del NASDAQ del 2000 dove la New Economy ha avuto una botta di arresto e ha concentrato sempre più potere nelle mani dei colossi della rete, che da un lato assorbono tutto il valore prodotto gratuitamente dagli internauti, dall'altro innestano dispositivi di recintamento a fini di profitto, i “web garden”, con buona pace della logica di accesso illimitato. Così la realtà virtuale, fondata sul paradigma di una società permeata dal pensiero sistemico, dove grazie ad una mitizzata libertà l’individualità e la natura si autoregolano, si è rivelata una grande menzogna poiché non c’è nessuno che garantisce i diritti degli utenti per le inconsistenti politiche di questo pensiero.
Un suggerimento a questa situazione è esposto da Onofrio Romano, sociologo dell'Università di Bari: “C’è bisogno di rivedere le idee mainstream”, quelle più in voga, quelle più diffuse, che stanno portando paradossalmente alla “fine del lavoro” inteso come rifiuto dello stesso, quando nella concreta realtà è alle fondamenta della nostra società, della nostra costituzione (rivedere l’art.1!), del Welfare. “Bisogna ragionare sulla forma della politica”, non eliminarla come in questo pensiero virtuale paramarxista, ma tornare ad analizzare la società che non è orizzontale ma eterogenea.
Il web ha dalla sua parecchie doti positive: velocità, prezzo contenuto, comunicazione a distanza. È per questo che la gente si è riversata nella rete per cercare di “riappropriarsi della propria vita”, prendendo voce e cercando di prendere parte alla cosa pubblica. Ma questo non è del tutto corretto dato che la cosa può partire di lì, ma deve arrivare alle piazze, alle strade, alla efficacia. “Alla gente non basta più spingere un candidato o una idea, ma ambisce a diventare partecipe” è quanto afferma Vincenzo Cramarossa, delle fabbriche di Nichi, che parla della esperienza costruttiva delle fabbriche come autentico crogiuolo di idee concrete e azioni nelle varie facce della società, in una realtà dove anche la sinistra ha interpretato le originarie idee liberali e ha capito che si è liberi aspirando ad una tessitura diversa di quella rete politica che governa le nostre vite.
Nel world wide web l’unica politica che regna ormai è quella economica, “limite invalicabile anche della destra e della sinistra, che oggi possiamo chiamare le due destre” rimprovera Carlo Formenti, docente di Teoria e tecnica dei nuovi media all'Università del Salento, esperto di comunicazione, giornalista del Corriere della Sera, analista della rete, sociologo e saggista. L’unico vero partito è quello di “Wall Street”: la potenza economica come quella di “Re Zuckerberg” che sta “brasilianizzando” l’occidente, sfruttando il lavoro sottopagato e gratuito di milioni di giovani, o come quella di compagnie che vendono la privacy e censurano utenti di regimi come quello siriano o cinese. “Pecunia non olet”.
“Ho scritto questo libro per rabbia e frustrazione” dichiara Carlo Formenti presentando il suo ultimo libro Felici e sfruttati. Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro. Ormai in una “limbo generation”, dove il 15% dei neolaureati è ancora in attesa di prima occupazione, l’albero della cuccagna della rete si è rivelata per la sua natura, non fonte di guadagno facile per tutti, ma solo per coloro che sono in grado di vendere una libertà apparente e facile. “Internet era uno spazio libero solo agli albori quando era formato solo dagli stessi costruttori come ingegneri ed hacker” continua il saggista “i neolaureati non servono più: non basta rimboccarsi le maniche”: con queste vibranti parole Formenti distrugge il “sogno americano” di un facile impiego, quasi dovuto, toccato dalla inerzia che vede i giovani in piazza solo nei Flash Mob, come quello di Molfetta nella video gallery di Quindici, che sono una nuova forma di mobilitazione, deficitaria però nella organizzazione, nella memoria e nella tradizione che sono in grado di mitizzare l’accaduto e impregnarlo di un senso sociale.
Nella conclusione dell’incontro si capisce, quindi, l’ambiguità dello strumento della rete, la quale mantiene la sua straordinarietà nelle potenzialità comunicative e di mobilizzazione di massa. Per questo però c’è bisogno di ricostruire l’identità di massa, la sua coscienza e la sua organizzazione. Deve essere reinterpretata l’intero sistema politico attuale, cosa di estrema complessità alla quale non sa rispondere neanche lo stesso Formenti. Lo stesso concetto di partito deve essere rivisto e la gente deve dialogare nelle piazze, nelle “fabbriche” e non solo nella rete dietro un nick. “C’è bisogno di una ricomposizione della mentalità di conflitto” suggerisce l’autore, intendendo con conflitto la continua verifica della leadership.
Quindici è il primo quotidiano online di Molfetta per fondazione e numero di accessi: specchio di una attività concreta svincolata da ogni forma di servilismo partitico, grazie alla quale ha vinto tante ingiustizie sfruttando le potenzialità tecnologiche per rendere cosciente la cittadinanza molfettese. Ma la via per la vera libertà è ancora lunga e la popolazione è troppo dormiente, qui a Molfetta come in Italia, è forse in grado di prendere vita come il pupazzo di legno solo se non più in grado di pagarsi il canone internet e altri ninnoli.
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