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Molfetta dedica una strada delle zone di nuova espansione ad Almirante
02 marzo 2008

MOLFETTA - Nell'anno in cui ricorre il ventennale della scomparsa dell'on. Giorgio Almirante (foto), dopo le proposte fatte in commissione toponomastica da Giuseppe Porcelli prima e Sergio Ragno poi e dall'assessore Mauro Magarelli, la giunta comunale molfettese ha deliberato l'intitolazione di una strada nella nuova zona d'espansione edilizia. Ne dà notizia un trionfalistico comunicato dello stesso Magarelli, ex An e attuale presidente del Movimento politico "Molfetta in azione" e di Giacomo Rossiello, presidente di "Azione giovani", in cui si sostiene che «Giorgio Almirante (Salsomaggiore 27 giugno 1914 – Roma 22 maggio 1988) è stato uno dei padri più illustri, ma mai totalmente compreso della politica italiana; è stato colui che ha realizzato una destra moderna, è stato colui che ha immaginato il futuro; il primo a parlare di Patria, il primo a parlare di riforme istituzionali e costituzionali, il primo a parlare di moralità pubblica, il primo a parlare di Europa. E' per questo che Azione Giovani MOlfetta e l'associazione culturale “Molfetta in azione” si compiacciono della scelta effettuata dalla giunta del Comune di Molfetta». Ecco una biografia di Almirante (fonte Wikipedia): Giorgio Almirante (Salsomaggiore Terme, 27 giugno 1914 – Roma, 22 maggio 1988) è stato un politico italiano. Giorgio Almirante fu il più importante esponente del Movimento Sociale Italiano, partito politico di destra, da lui fondato nel 1946 insieme ad altri reduci della Repubblica Sociale Italiana (come Pino Romualdi ed ex esponenti del regime fascista come Augusto De Marsanich). Il padre, attore, direttore di scena di Eleonora Duse e di Ruggero Ruggeri e poi regista del cinema muto, apparteneva ad una famiglia di attori e di patrioti, con ascendenti appartenenti all'alta nobiltà di Napoli (gli Almirante erano stati dal 1691 i duchi di Cerza Piccola). A causa del lavoro del padre visse i primi 10 anni di vita in giro per l'Italia per poi stabilirsi prima a Torino e quindi a Roma. In questa città si laurea in lettere nel 1937 con una tesi sulla fortuna di Dante nel Settecento italiano con l'italianista Vittorio Rossi. Periodo fascista e adesione al razzismo Parallelamente agli studi iniziò la sua carriera come cronista presso il quotidiano fascista Il Tevere dove lavorò fino al 1943 e di cui fu caporedattore. Firmatario nel 1938 del Manifesto della razza, dal 1938 al 1942 collaborò alla rivista La difesa della razza come segretario di redazione. Diverse le tesi da lui sostenute in tale rivista. In primo luogo si occupò di far penetrare in Italia le tesi razziste provenienti dalla Germania nazista, che già avevano portato all'approvazione nel 1938 delle leggi razziali fasciste, e che faticavano ad imporsi nella società italiana, dov'erano percepite come un elemento estraneo alla cultura nazionale. All'accusa che il regime si stesse appiattendo sempre più sulle posizioni naziste, Almirante, già nell'ottobre del 1938, rispondeva che "il razzismo è il più vasto e coraggioso riconoscimento di sé che l'Italia abbia mai tentato. Chi teme ancor oggi che si tratti di un'imitazione straniera non si accorge di ragionare per assurdo: perché è veramente assurdo sospettare che il movimento inteso a dare agli italiani una coscienza di razza […] possa servire ad un asservimento ad una potenza straniera". Ancora nel maggio del 1942 Almirante, nell'articolo "Contro le pecorelle dello pseudo-razzismo antibiologico", ribadiva l'adesione del regime alle tesi razziste rispondendo alle accuse che le indicavano come un corpus estraneo alla cultura cattolica e nazionale: "Noi vogliamo essere, e ci vantiamo di essere, cattolici e buoni cattolici. Ma la nostra intransigenza non tollera confusioni di sorta […] Nel nostro operare di italiani, di cittadini, di combattenti – nel nostro credere, obbedire, combattere – noi siamo esclusivamente e gelosamente fascisti. Esclusivamente e gelosamente fascisti noi siamo nella teoria e nella pratica del razzismo". La collaborazione alla Difesa della razza fu l'unica esperienza che sconfessò completamente affermando «di aver superato la sua adesione al movimento razzista per ragioni umane e concettuali, per uno di quei superamenti di coscienza ai quali bisogna pur pervenire se si vive con piena onestà la propria fede e la propria dottrina». Durante la Repubblica di Salò Dopo aver partecipato alla campagna d'Africa, con l'armistizio dell'8 settembre e la successiva creazione della Repubblica Sociale Italiana, Almirante passò a Salò arruolandosi nella Guardia Nazionale Repubblicana con il grado di capomanipolo. Successivamente, dopo aver ricoperto il ruolo di capo di gabinetto del ministro della Cultura popolare di Mussolini, passò al ruolo di tenente della brigata nera dipendente dal Minculpop, come veniva chiamato il Ministero della cultura popolare della RSI. In questa veste, al pari delle altre camicie nere, si impegnò nella lotta ai partigiani in particolare in Val d'Ossola e nel grossetano. Qui, il 10 aprile 1944, apparve un manifesto: « tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuorilegge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena. I gruppi di sbandati qualunque ne sia il numero dovranno inviare presso i comandi militari di Polizia Italiani e Tedeschi un proprio incaricato per prendere accordi per la presentazione dell'intero gruppo e per la consegna delle armi. » Nel dopoguerra Almirante verrà accusato di aver firmato quel manifesto. Un Tribunale della Repubblica accerterà la falsità di questa accusa, alla quale tra l'altro, il segretario del MSI risponderà con la pubblicazione delle sue memorie che intitolerà ironicamente "Autobiografia di un fucilatore" Il dopoguerra Dal 25 aprile 1945 fino al settembre 1946 rimase in clandestinità. Il 26 dicembre 1946 Almirante partecipò a Roma alla riunione costitutiva del Movimento Sociale Italiano (MSI). Diresse "Rivolta Ideale" settimanale di propaganda. Nel nuovo partito assunse subito la carica di Segretario, che mantenne fino al gennaio 1950. Fu eletto in Parlamento fin dalla prima legislatura (1948) e sempre rieletto alla Camera. Dopo la morte del segretario Arturo Michelini torna dal 29 giugno 1969 fino al dicembre 1987 al vertice del partito. La lunghissima permanenza di Almirante alla segreteria del MSI può essere spiegata dalla sua abnegazione e alla sua personalità pacata e consensuale, indispensabili in un partito dove, soprattutto dopo la fusione con i monarchici nel 1971, militavano personalità diversissime per provenienza politica e per caratteristiche caratteriali. Si distinse in diverse battaglie per la difesa dell'italianità sul territorio nazionale, pronunciando discorsi fiume (anche di nove ore) a favore del ritorno all'Italia di Trieste, la cui "questione" non era ancora stata risolta, e poi contro la modifica dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige, con la quale veniva attuata la tutela della comunità di lingua tedesca ma che a suo vedere era troppo sbilanciata a sfavore della comunità italiana e contro l'istituzione delle regioni nel 1970. Criticò anche la legge Scelba che vietava la ricostituzione del Partito Fascista. Agli inizi degli anni Sessanta si batté anche contro la nazionalizzazione dell'energia elettrica e agli inizi degli anni Settanta, per disciplina di partito, contro l'introduzione del divorzio. Infatti la sua posizione di apertura era stata messa in minoranza durante le discussioni alla direzione del MSI. Egli stesso si era avvalso delle possibilità offerte dalla legge Fortuna-Baslini per divorziare da Gabriella Magnatti e risposarsi con Assunta Stramandinoli, conosciuta quando era sposata con il marchese De Medici e rimasta poi vedova del primo marito. Almirante fu l'artefice di quella che fu definita la "politica del doppiopetto", in bilico tra le rivendicazioni dell'eredità fascista e l'apertura al sistema. Nel 1972, grazie anche alla fusione con il PDIUM il MSI ottenne il suo massimo storico alle elezioni politiche (diventando MSI-Destra Nazionale), 8,7% alla Camera e 9,2% al Senato, eleggendo 56 deputati e 26 senatori. Già l'anno prima il MSI (ormai Msi-Dn) aveva ottenuto un notevole risultato alle elezioni regionali in Sicilia, con un clamoroso 16 per cento. Divenuto il principale simbolo della destra anticomunista, fu ripetutamente e fortemente attaccato dalle forze della sinistra, soprattutto estrema, che lo accusarono anche di esser stato un "fucilatore" durante il suo passato nella Repubblica Sociale Italiana, ma come si è detto più sopra si trattava di accuse del tutto infondate. Almirante rispose comunque per vie legali ed editoriali, pubblicando Autobiografia di un fucilatore: «Un titolo doppiamente bugiardo, poiché non è un'autobiografia, né io sono un fucilatore». L'allora Procuratore Generale di Milano, Luigi Bianchi d'Espinosa, decise di chiedere alla Camera l'autorizzazione a procedere nei suoi confronti per tentata ricostituzione del Partito fascista; l'autorizzazione fu concessa il 24 maggio 1973 con 484 voti a favore contro 60 ma l'inchiesta non ebbe alcun esito e venne archiviata. Così come non ebbe alcun successo la raccolta di firme promossa dalla sinistra extraparlamentare per lo scioglimento del MSI. Nel 1977 affrontò con serenità la scissione che portò alla nascita di Democrazia Nazionale, effimero partito composto per lo più da elementi di provenienza monarchica ma anche da esponenti "storici" del Msi come De Marzio, Cerullo e Anderson che con un programma moderato intendevano tentare un aggancio con il centro democristiano. I fatti gli daranno ragione, perché alle elezioni politiche del 1979 Democrazia Nazionale non ottenne alcun seggio e sparì dalla scena politica. Nella seconda metà degli anni Settanta, in piena emergenza terrorismo, si schierò per la introduzione della pena di morte per i terroristi colpevoli di omicidio; tuttavia nel clima di violenza politica indiscriminata dell'epoca mantenne sempre un atteggiamento di moderazione, tentando di frenare l'escalation della violenza. Successivamente avversò la legalizzazione dell'aborto, e sostenne i provvedimenti del Governo Craxi per l'attuazione del decreto legge per la liberalizzazione del mercato televisivo. Le sue condizioni di salute lo obbligarono nel 1987 ad abbandonare la segreteria del partito, a favore del suo delfino Gianfranco Fini, già segretario del Fronte della Gioventù. Una scelta che aveva il significato di tagliare i ponti col passato, perché «Nessuno potrà dare del fascista a chi è nato nel dopoguerra». Il 24 gennaio 1988 fu eletto presidente del partito dalla maggioranza del comitato centrale. Morì a Roma il 22 maggio dello stesso anno, dopo anche un intervento eseguito a Parigi successivamente al quale le sue condizioni peggiorarono notevolmente. La sua morte cadde il giorno successivo a quella di Pino Romualdi. La presidente della Camera dei deputati Nilde Jotti e il leader comunista Giancarlo Pajetta si recarono alla camera ardente a rendere omaggio ai due capi storici del Msi. Lo stesso Almirante nel 1984 si era recato insieme a Pino Romualdi a rendere omaggio alla salma di Enrico Berlinguer a Botteghe Oscure. Per i due leader missini si svolsero esequie comuni a Roma, a Piazza Navona. Il successore di Almirante Gianfranco Fini, da lui stesso designato, onorò il suo predecessore e maestro definendolo "un grande italiano" e "il leader della generazione che non si è arresa".
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...il tenente della brigata nera dursalante salò Nei giorni 16-18 ottobre 1943, ebbe luogo l'arresto e il trasferimento verso Auschwitz degli ebrei di Roma. Vennero deportate 1022 persone, delle quali solamente 17 fecero ritorno; tra i deceduti, 839 (l'89%) furono subito eliminati nelle camere a gas. Il 21 novembre 1943, da Borgo San Dalmazzo (Cuneo) furono deportati direttamente ad Auschwitz 350 ebrei che fino all'8 settembre avevano trovato rifugio nelle regioni della Francia occupate dagli italiani. Nel febbraio 1944, i tedeschi ordinarono alle autorità fasciste della Repubblica Sociale di concentrare a Fossoli (un piccolo paese vicino alla città di Carpi, in provincia di Modena) tutti gli ebrei detenuti nelle carceri italiane. Il primo convoglio per Auschwitz (650 persone) partì il 22 febbraio; di questi deportati ne sarebbero tornati solo 23 (8 donne e 15 uomini, tra cui Primo Levi). In tutto, da Fossoli partirono per Auschwitz sei convogli ferroviari, per un totale di 2 445 persone. Nel complesso, i deportati per motivi razziali dall'Italia furono circa 7 500. Solo 826 sopravvissero e ritornarono in Italia. Ai morti nei campi, vanno aggiunti altri 318 ebrei, fucilati dai tedeschi in Italia. L'episodio più noto avvenne il 24 marzo 1944: dopo che in un attentato partigiano, compiuto in via Rasella, a Roma, erano morti 33 soldati tedeschi, per rappresaglia i nazisti uccisero 335 detenuti italiani alle Fosse Ardeatine. Di questi, 75 erano ebrei. Via degli ebrei italiani


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