Molfetta alla ricerca di un turismo possibile
INTERVENTO
E' davvero desolante girare per la città nei mesi estivi.
Sarà l'afa; saranno le palme moribonde poste a emblema delle sintetiche illusioni turistiche di chi ci governa; sarà la “giostrina” del Duomo; sarà l'acqua potabile, che al centro non arriva nemmeno al primo piano; o quella del mare nostrum, ricca di iprite e liquami Doc – garantisce il depuratore di cala San Giacomo -; saranno gli strilli di una estate “culturale” fatta di interessanti e apprezzabili, quanto costosi, spettacoli teatrali (quasi 25.000 delle vecchie lire a spettacolo), peraltro talvolta semideserti, e di singolari party per quattordicenni; sarà, forse, per qualche altro impercettibile motivo, ma la città è deserta.
Qualcuno rileverà, un po' superficialmente, che si tratti di un'ovvietà: l'estate tutti vanno via.
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Mi domando, allora: perché nelle stesse ore in cui Molfetta è disertata,a Trani, a Bisceglie e persino a Giovinazzo comincia la vita? Perché dalle 22.00 sono più frequentate la 16 e la 16 bis anziché le vie della città?
L'intento di chi scrive è di lanciare un lamento tanto autentico, quanto ragionato, vorrei azzardare alcune riflessioni sulla uggiosità di questa città, nella speranza che possa nascerne una necessaria, per quanto tardiva, discussione.
Intanto è bene sottolineare che non si tratta esclusivamente di non sapere che fare la sera, ma di una generale carenza di opportunità. Opportunità di lavoro, opportunità di recupero e riqualificazione del territorio, opportunità di fruizione della città, opportunità culturali, opportunità di spazi di socializzazione e così via.
Quindi, non è nemmeno un problema solo da ragazzi. E non è sicuramente una questione risolvibile con un paio di iniziative di grido, con un bel concerto o con un qualsiasi altro sporadico intervento. Tantomeno con una grottesca maggiore rigidità su orari di pub e locali notturni. Per questioni di “quiete pubblica” si legge nell'ordinanza sindacale che decretava il goffo provvedimento, poi silenziosamente ritirato. Il che è un problema reale e da risolvere, ma con misure serie e decise, che c'entrino più con gli schiamazzi, che con i miraggi di qualcuno.
Il fatto che Molfetta rischi di diventare una città dormitorio – di questo parliamo - è, al contrario, un problema insieme economico e culturale, che coinvolge più o meno coscientemente tutta la città dalle sue fondamenta.
Il punto focale della discussione è: può Molfetta essere virtuoso teatro di esperienze, attività ed iniziative sociali, artistiche e culturali proprie, da offrire non solo ai suoi cittadini, ma dirette anche ad un circuito di utenza più ampio? O, se preferite: può esserci turismo a Molfetta? E se si, che tipo di turismo?
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Ma andiamo per gradi.
Può esserci turismo a Molfetta? Molfetta è una città di mare, con una certa quantità di siti di qualche interesse storico e artistico, dotata di una buona rete viaria. La costa è impervia e totalmente abbandonata a se stessa, quando non è violentata da insediamenti scriteriati e oltraggiosi. Anche per i siti di interesse culturale si è scelto nei decenni precedenti l'eutanasia, privando la città di qualsiasi forma di riqualificazione e valorizzazione – ricordiamo la gettata di asfalto su via Dante, per dirne una -. Tutto questo in una assoluta esiguità di locali e di strutture ricettive. Eppure ci sono due elementi che rimescolano vorticosamente le carte in gioco: la città della moda, il potenziale interesse turistico che altre città del bacino, ed in primis Bisceglie, possono esercitare.
Molfetta, oggi, risulterebbe inadeguata a sopportare il carico turistico-ricettivo che la città della moda e i nuovi equilibri turistici regionali imporrebbero. Io vedo aprirsi sostanzialmente tre strade.
Da un lato quella di rimanere completamente e definitivamente subalterni, dall'altro quella di svendere tutto: il territorio, le nostre flebili peculiarità culturali, la nostra storia. Tutto per dare ad un pubblico volubile e disattento una città artificiale usa e getta, fatta di cemento, di palme hawaiane, di villini sulla costa, di american bar senza stile e, perché no, di sabbia comprata e riversata sulla spiaggia per divertire il cliente. Nulla di più triste.
Ma, a parere mio, è possibile seguire anche una terza difficile, sebbene indispensabile, strada. A Molfetta abbiamo il dovere di definire un orizzonte “possibile” – e sottolineo il possibile – di incontro tra vocazioni economiche e culturali della città e futuro. Oggi occorre ridefinire una nostra precisa identità da promuovere e valorizzare. Un'identità che sia realizzabile, oltre che concretamente sostenibile da un punto di vista ambientale e sociale.
Il punto è: che tipo di sviluppo turistico e culturale per la città? Occorre muoversi su due terreni: territorio e cultura.
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Il poderoso attacco al territorio non sempre è visibile ad occhio nudo. Per lo più si presenta come pseudo-opportunità di lavoro o di ricchezza, come per Torre Calderina, o per gli altri mille progetti – accordi di programma e conferenze dei servizi - che da settembre fioccheranno da tutte le parti. Ecco perché nel medio periodo occorre stabilire un quadro di regole condivise che facciano da filtro a tutte le ipotesi di improduttivo sfruttamento del territorio e che rimodulino, di fatto, lo stesso Piano Regolatore, per capitalizzare tutte le reali nuove opportunità. Questa operazione si avvierà già nei prossimi mesi con il Piano delle Coste e la fase finale del PUTT, che mi auguro sia più partecipata possibile. Ma non basta. E' tempo di pensare a dei piani particolareggiati sulla costa: servizi sulle spiagge, migliore viabilità, recupero della morfologia naturale della fascia costiera – muretti a secco e trulli, ad esempio -, parchi marini, fruibilità di tutta la costa e così via. Tutto questo con una cosciente e decisa operazione di recupero delle realtà ambientali ed architettoniche di pregio.
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E per la cultura? Qui il discorso sarebbe ancora più ampio. Ma la logica è la stessa: rendere visibile e riconoscibile la città per la sua storia, le sue peculiarità, le sue esperienze artistiche. Concentrare la propria proposta culturale su un target, o una particolare forma d'arte – a differenza del pietoso spettacolo dell'Estate 2001 - è una giusta strategia. Ecco perché ritengo apprezzabile lo sforzo un po' scomposto dell'Amministrazione di impostare l'Estate molfettese sul teatro. Ma anche qui l'anima dell'arte non può essere inventata. A me pare opportuno, in questo senso, incentivare quel fermento culturale che già c'è. Si ripresenta un annoso problema: gli spazi culturali e giovanili. Credo che oggi i tempi siano maturi per ritornare a parlare di Centro Sociale – il che non significa per forza centro occupato -. Ma affianco a queste riflessioni ve ne sono diverse altre da fare. Ad esempio sulla promozione del prodotto locale e penso in particolare al prodotto agricolo di qualità come l'olio, o all'inserimento nei circuiti di turismo enogastronomico pugliese.
Se a tutto questo verrà aggiunta una ragionevole dose di cooperazione con le città limitrofe, forse, l'area nord-barese potrebbe aspirare a divenire interessante tappa turistica. Ma sarebbe una scelta politica precisa. Abbandonare la strada del sintetico e dell'usa e getta – tipo riviera romagnola – e imboccare quella della caratterizzazione culturale. Se questo avverrà, sono certo che cominceranno a nascere anche locali e opportunità di svago – quindi, nuove economie – per giovani e non, di carattere meno banale di quelle di cui talvolta ci si accontenta. Ma solo allora.
Corrado Minervini
Consigliere comunale Ds