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Molfetta, accoglienza profughi e rifugiati politici: necessario l'aiuto d'istituzioni socio-politiche
22 luglio 2011

MOLFETTA - Profughi al Centro d’Accoglienza «Don Tonino Bello», urge la collaborazione d’istituzioni socio-politiche. Da aprile i giovani volontari di Caritas, Croce Rossa, Amnesty International, A.V.S., Arci e Azione Cattolica, in collaborazione con la Protezione Civile di Molfetta per le pratiche burocratiche, prestano un costante e ottimo servizio anche nei turni feriali. Nati rapporti positivi con gli ospiti del centro, cui è stato insegnato anche l’italiano, l’accoglienza ha ora bisogno di nuove idee.
Arrivati il 24 maggio scorso, i 10 rifugiati richiedenti asilo politico (3 dalla Costa d’Avorio, 5 dal Mali, 2 da Ghana e Guinea) hanno già inoltrato domanda per lo status di protezione internazionale (il 28 giugno scorso), ma sono ancora in attesa di essere convocati e interrogati dalla Commissione Territoriale di Bari, che dovrà stabilire se concedere il permesso di soggiorno come richiedenti asilo politico.
Dopo l’interrogatorio in Commissione, qualora il parere dovesse essere positivo, il richiedente sarà inserito nello S.p.r.a.r. (Sistema di protezione italiano per richiedenti asilo e rifugiati), grazie a cui i Comuni interessati accederanno nei limiti delle risorse disponibili al Fondo Nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, garantendo interventi d’accoglienza integrata, vitto, alloggio e misure di orientamento legale e sociale e inserimento socio-economico.
In Puglia sono stati accolti già 966 rifugiati richiedenti asilo politico (ma 3300 è la soglia del piano di accoglienza per la Regione), parcheggiati - è il caso di dirlo - non solo in strutture Caritas, ma anche in alberghi, soprattutto lungo il litorale barese e brindisino e nell’area tarantina. Infatti, a maggio si presumeva i tempi si aggirassero tra i 3 e i 4 mesi: si prevedono, invece, tempi lunghi per l’attuale fase di stallo, se i rifugiati al Cara di Santo Spirito attendono da quasi un anno e mezzo.
Fino a oggi è stata la Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi a occuparsi della gestione finanziaria dell’accoglienza al centro di Molfetta con continue erogazioni, nonostante l’impegno economico nella costruzione di nuove chiese (ad esempio, dalla Comunità C.A.S.A. «Don Tonino Bello» di Ruvo di Puglia arrivano latticini e derivati, prodotti dagli ospiti della comunità stessa). Si attendono, però, nuove direttive e proposte dalla Protezione Civile della Regione Puglia, oltre alle tante promesse dei mesi passati.
Atteso l’intervento non solo della società civile, ma anche del Comune di Molfetta, in particolare del Settore Servizi Sociali. Perché non offrire momenti di svago ai rifugiati, confinati nel centro e impossibilitati per qualsiasi attività lavorativa? Perché non permettere agli ospiti di frequentare la piscina comunale, accompagnati dai volontari, individuando anche momenti d’integrazione sociale? Non solo devono essere accelerati i tempi burocratici per chiarire la loro situazione, spezzare lo stallo e avviare anche corsi di formazione professionale, ma individuati altri volontari che non siano guardiani, bensì animatori.
Del resto, non va dimenticata la presenza di 5 tunisini (3 assunti con contratto stagionale, 2 alla ricerca di un lavoro) e dei poveri che ogni giorno usufruiscono del pasto serale e dei servizi del centro.
Latita la Molfetta cosiddetta “per bene” nelle istituzioni socio-politiche, rapita dai bagliori estivi, sconvolta dalle inchieste giudiziarie, lontana dai reali problemi sociali, annebbiata dal falso mito politico del «tutto va bene» e convinta che non serva più rimboccarsi le maniche.

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Autore: Marcello la Forgia
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La funzione propria delle professioni d'aiuto e dei servizi sociali dovrebbe essere, stando a quanto si dice spesso oggi, quella di sbarazzarsi di disoccupati, disabili, invalidi e altre persone deboli che, per una ragione o per l'altra, non sono in grado di mantenersi e dipendono, per la propria sopravvivenza, dai servizi sociali; tale funzione, come è evidente, non si sta adempiendo. Poiché le professioni del sociale, come ci viene ricordato, dovrebbero essere giudicate – al pari di qualsiasi altra azione umana – sulla base del bilancio tra costi e benefici prodotti, nella loro forma attuale esse non hanno, in termini economici, alcun senso. Gli specialisti dell'aiuto giustificherebbero la propria esistenza soltanto se rendessero indipendente chi è dipendente, se mettessero chi fatica a camminare nelle condizioni di camminare da solo. L'assunto implicito, raramente riconosciuto come tale, è che le persone che non sono indipendenti, come chi partecipa al gioco dello scambio di mercato, non c'è spazio nella società dei giocatori. “Dipendenza” è diventata una parolaccia: qualche cosa di cui la gente perbene dovrebbe provare vergogna. Quando Dio domandò a Caino dove si trovasse Abele, Caino, adiratosi, replicò con un'altra domanda: “Sono forse io il custode di mio fratello?”. Il maggiore filosofo morale della nostra epoca, Emmanuel Lèvinas, osservò che da quella rabbiosa domanda di Caino ebbe inizio ogni immoralità. E' certo che io sono responsabile di mio fratello; e sono e rimango un essere morale fin tanto che non chiedo un motivo speciale per esserlo. Che io lo ammetta o no, sono responsabile di mio fratello perché il suo benessere dipende da ciò che io faccio o che mi astengo dal fare. Sono un essere morale perché riconosco questa dipendenza e accetto la responsabilità che ne consegue. Nel momento in cui metto in discussione tale dipendenza domandando ragione – come fece Caino – del perché dovrei prendermi cura degli altri, in questo stesso momento abdico alla mia responsabilità e non sono più un essere morale. La dipendenza del fratello è ciò che fa di me un essere morale. La dipendenza e la morale o si danno insieme, o non si danno. (Z. Bauman)



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