Mojo… Mojo, un libro per il Guatemala
Una straordinaria iniziativa di solidarietà (alla quale partecipa anche “Quindici” che ha acquistato alcune copie del libro che regalerà ai nuovi abbonati alla nostra rivista) è legata alla pubblicazione dell'ultima fatica letteraria della scrittrice molfettese Gianna Sallustio, “Mojo… mojo” (ed. Genesi, Torino, 2007). Già in precedenza il ricavato delle vendite del volume “Sango Mondèle” (La Meridiana, Molfetta, 2005) era stato dalla Sallustio destinato alla costruzione della Clinique “St. François d'Assisi” nell'ex Congo Belga. «Il libro intitolato Mojo… mojo di Gianna Sallustio (copertina di Maria Addamiano) è donato a chi, volontariamente, dà un'offerta. Il ricavato sarà devoluto alla casa famiglia 'Hogar Santo Domingo Savio', in Playa Grande (Guatemala), cittadina fondata dal missionario salesiano nonché architetto Padre Tiziano Sofia, nel 1984. In quella casa famiglia vengono accolti bambini e ragazzi abbandonati per strapparli ai trafficanti di organi”. L'autrice, che agisce per conto del Centro Missionario “Frate Faccin” (Villaverla, Vicenza), è autorizzata a rilasciare regolare ricevuta a chiunque voglia contribuire. Raffinata e passionale raccolta di “storie nella storia”, Mojo… mojo ci introduce in un itinerario dalle molteplici sfaccettature, che, nell'Impero austro-ungarico come nell'Italia piagata dai conflitti mondiali o nell'Italietta che risparmia sulle spese sanitarie, disvela le ipocrisie legate all'esercizio del potere e tradisce l'aspirazione a un'esistenza all'insegna di valori autentici. Così le cavalcate della principessa Sissi insieme a Gyula Andrassy, ne “Il castello di Gödöllö”, appaiono figlie del desiderio di librarsi in volo lontano dalle convenzioni di un mondo in splendido sfacelo, la cui brama di dissoluzione è suggellata nel presunto “duplice suicidio” (quello di Rodolfo e di Maria Vetsera) di Mayerling. I fiori lasciati scivolare da una mano misteriosa nel pertugio di una cella e destinati a languire senza nutrimento assurgono, in un altro racconto, a emblema della fragile bellezza di Elisabetta Takanarova, vittima dell'impatto fatale con la spietata zarina Caterina II. Emerge, altrove, la fiduciosa operosità di donne come Maria Montaruli e Maria Grittani, immortalate, in “1948”, nella loro campagna tesa a “propagandare i valori e i programmi della Democrazia Cristiana”, con corollario di equivoci tra il serio e il faceto. La penna della Sallustio si sofferma su “Quel cretino di Garibaldi” (pubblicato su “Quindici”); sulle vessazioni perpetrate dai pansiniani ai danni dei sostenitori di Salvemini nelle elezioni del '13; sull'epopea del piccolo Cosimo, che sfida i rischi di “un freddo aprile di guerra” per riabbracciare i genitori dopo una lunga convalescenza. Ci sembra tuttavia opportuno soffermarci sul lungo racconto “La messa sotto il mango”, che apre la raccolta e ne racchiude il significato più riposto. Una narrazione accorata, che si avvale anche dell'ausilio della scrittura epistolare per ricostruire alcuni tra i momenti più significativi trascorsi dalla Sallustio durante la sua permanenza nelle missioni dirette da Padre Tiziano, mon père, nella Repubblica Democratica del Congo. Terra che palesa tuttora le storture figlie di un colonialismo non del tutto sopito… Seguiamo così le vicende di Gianna, la maman de l'hôpital, che, nel cuore dell'Africa, acquisisce consapevolezza degli inutili formalismi che dominano le nostre esistenze civilizzate. Siamo resi partecipi del suo sdegno contro una boriosa suorina nera, indifferente alla sofferenza della vecchia nuda e folle che le cammina accanto. Assorbiamo il suo dolore di leonessa ferita, quando assiste impotente, in “una fatiscente costruzione attigua all'ospedale” (unico ricovero possibile per chi non poteva permettersi “il fitto del letto”, ndr), alla morte di Cristina “la matta” e piange per Andrea, animo di estrema nobiltà che si spegne in un corpo “prigioniero dei suoi escrementi” e simile a “un verme raggomitolato”. È dalla volontà di non restare inermi dinnanzi alla morte che nasce il progetto culminato nella costruzione della Clinique dei poveri, vero e proprio schiaffo morale a gerarchie ecclesiastiche più interessate a una fastosa visualizzazione del proprio potere attraverso l'edificazione di una tronfia chiesa (contro cui si staglia l'immagine luminosa della chiesa rattoppata, rappresentata nel bell'acrilico dell'Addamiano in copertina) che alla possibilità d'incidere realmente sul territorio con atti concreti d'amore e solidarietà. Mentre il sottobosco della missione rivive in tutta la sua carica emotiva nella rabbia del negro albino Mondèle, nell'atavica saggezza di un rugoso Omer o nel dolceamaro saluto del coro dei bambini a Maman Gianna (“mojo… mojo”), il lettore finisce con l'attestarsi in una dimensione lontana dalle angherie del tempo Kronos, fautore di corse affannose che approdano nel nulla. E, volgendo “gli occhi della mente” al mango presso il quale il mistero della transustanziazione rivive con commozione, senza bisogno di futili orpelli, è chiamato a meditare sul potenziale salvifico che si cela in ogni atto d'amore.
Autore: Gianni Antonio Palumbo