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Metamorfosi della materia
15 ottobre 2009

Non ha l’ottimo artista alcun concetto / ch’un marmo solo in sé non circoscriva / col suo soverchio; e solo a quello arriva / la man che ubbidisce all’intelletto. Queste parole di un sonetto di Michelangelo esplicano bene l’idea di un artista che, scriveva Valentino Piccoli, considera “ogni blocco di marmo come il sacrario di un mistero nascosto”. L’eliminazione del soverchio svela la perfetta armonia che la materia, predisposta alla metamorfosi, racchiude in sé. A quest’idea mi pare improntata la collettiva di scultura “Metamorfosi della materia”, voluta dall’Associazione molfettese As.So.Arte, nelle persone dell’Ing. Michele Losito e di Francesca Pappagallo, e curata, con la fi nezza che lo contraddistingue, dal pittore e scultore Cosimo Allegretta. Paolo De Santoli prosegue nella sua creazione di totemiche lampade-sculture, sfociata nei cosiddetti “Cavalieri raggianti”, in un riuso creativo di memorie artistico-letterarie, da Ariosto a Miguel de Cervantes. Per questa collettiva, De Santoli ha scelto un trittico di lampade, non prive delle insegne dell’umanità. Cuori che alludono all’umano sentire di creature futuribili, ma che allo stesso tempo appartengono al passato; occhi di dimensioni ridottissime che si moltiplicano a dismisura... Lacrime che si addensano come foglie, non senza una buona dose di senso dell’humour. Quanto alle creazioni di Mauro Antonio Mezzina, è come se la sua produzione mettesse a nudo l’anima del ferro. Vi si scorge un misticismo dell’ascensione – non disgiunto da una vena d’ironia – che si traduce in movimenti di danza, o negli squarci dall’apparenza siderale che fendono la materia. Paolo Desario prosegue nell’itinerario di ricerca artistica solcato dallo scultore Alberto Viani, autore di numerosi, celebri busti femminili. Punti di partenza di Desario una precisa conoscenza dell’anatomia e un’innata eleganza stilistica; le sue fi gure, tuttavia, sono ben lontane da una realistica riproposizione delle forme, che acquistano, anzi, vitalità dalla torsione o si deformano, divenendo oblunghe, spigolose e, comunque, sensualissime. Malate d’infi nito, ma non ancora pronte a volare (mi riferisco alla “fi gura alata” e alla sua tensione imperfetta verso il cielo). Roberto Piccinni, scultore dalla tecnica raffi natissima, off re alla collettiva bronzi di straordinaria preziosità; apprezzabile soprattutto la patina rétro che conferisce loro il fascino di antichi tesori che affi orano dagli abissi marini, a dispetto di qualsiasi agente corrosivo. La magia del mare sembra il comune denominatore delle creazioni di Piccinni: dall’albero maestro scheletrico, su cui il vento esercita la sua azione di guida, all’onda, fi glia di un soffi o anomalo. Il dinamismo di un movimento tutt’altro che quietante è ripreso in una spirale bronzea dal moto avvolgente e dilatante al contempo, forse assimilabile alla compressione-espansione dell’impeto creativo stesso. Pasquale Guastamacchia declina il tema della mostra in maniera vigorosa a drammatica. L’idea che si dibatte nel percorso di acquisizione di una forma si contorce, dando vita a creazioni concettualmente indefi - nibili. Rimane nell’osservatore la sensazione di una concezione panica del cosmo, che induce l’artista a plasmare incroci, fi gli di un mito disossato, tra fi gure vagamente zoomorfe e altre riconducibili al mondo vegetale. In questo caso ci sembra si possano suggerire riferimenti all’arte di Henry Moore, alla sua compenetrazione uomo-mondo naturale; ci limiteremo a richiamare una “Gamba ad arco”, custodita in un museo giapponese all’aperto, quello di Hakone. Quanto a Mario Colonna, la sua Giuditta, accompagnata dall’ancella secondo un’iconografi a diff usa, è raffi gurata, come in Botticelli, nel momento successivo all’assassinio di Oloferne, diff erentemente dalle Giuditte del Caravaggio o della Gentileschi. Diversamente dal Filipepi è non la serva ma l’eroina stessa a recare con sé il sanguinario trofeo; il suo viso pago da Nemesi appare in netto contrasto con il volto della nutrice, trasfi gurato in una maschera d’orrore. Suggestioni di gran pregio anche nelle altre opere dell’artista: il rilievo dell’esodo, non privo di suggestioni dantesche; la disperazione di Luca, che cerca un ubi consistam tra i relitti di un mondo che può riservare ancora nuove scoperte; la divina quiete della “piccola stele della sera”, tra archeologia e tensione metafi sica... Un gusto classicheggiante, ma tutt’altro che manierato, connota le opere di Cosimo Allegretta. Molteplici sono le suggestioni mellifi cate nel suo procedimento creativo: dalla Venere di Willendorff (o in generale dalle Steatopige) alle Pomone di Marino Marini, dal ritratto classico al Bartolini della “Fiducia in Dio”. Nasce così la Pomona, che, nell’ipertrofi a delle forme, racchiude una promessa di fecondità, di perpetrazione della specie umana. Da una testa maschile di romana gravitas si passa all’estatica tensione di affi damento al trascendente, che connota la mistica icona del “Mattino”. Scultura con cui Allegretta intesse un sognante inno alla vita, bellissima nonostante o forse proprio per le infi nite metamorfosi cui la materia è da sempre e per sempre destinata.

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